Il declino del calcio ungherese, tra politica ed economia

Qualche anno fa parlare del calcio ungherese sarebbe stata un’opera masochista, conoscendo già dove la discussione sarebbe terminata: o nel ricordo avvincente quanto melanconico della grande nazionale del passato oppure in una desolante constatazione della nullità odierna. Oggi però la stessa discussione potrebbe avere esiti diversi, più positivi di quanto si creda, nonostante la recente eliminazione dai campionati Europei.

Il calcio ungherese ha un passato glorioso, indimenticabile la spettacolare “squadra d’oro” di Puskas che sfiorò il primo posto al mondiale del 1954 e conquistò l’oro olimpico nel 1952. Non solo la nazionale ma anche giocatori e allenatori rivestirono ruoli di prestigio in Europa. Tecnici magiari allenarono Inter (dal 1926 al 1936), Milan, Roma e molte altre. Nomi come Arpad Weisz e Bela Guttman (in Portogallo con il Benfica vinse due Coppe Campioni) non dicono nulla ai giovani di oggi ma hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del calcio.

E’opinione comune decretare la fine del calcio in Ungheria con il 1956, anno della rivoluzione e dell’intervento sovietico. Da quel momento iniziò un periodo travagliato tanto che si è diffusa una “leggenda” che narra di come gli ungheresi abbiano smesso di giocare per protestare contro il regime. In realtà fino al 1989 i risultati calcistici non sono stati particolarmente disastrosi: 6 partecipazioni mondiali e due ori olimpici per la nazionale; una Coppa delle Fiere vinta dal Ferencvaros contro la Juventus nel 1964 e una finale persa dal Videoton contro il Real Madrid nel 1985. Negli anni sessanta arrivò anche l’unico pallone d’oro ungherese per Florian Albert.

Il dramma è iniziato dopo l‘89, tanto che si potrebbe ribaltare la “leggenda” di Budapest per affermare che gli ungheresi in realtà abbiano smesso di giocare a calcio con l’arrivo del capitalismo. In vent’anni la nazionale non si è mai qualificata per competizioni internazionali, ed anche le squadre di club sono state praticamente cancellate dallo scenario europeo. I motivi di questo declino sono molteplici e in molti casi eludono dal sistema calcio per intrecciarsi con problemi di ordine economico e politico.

Vi è innanzitutto un problema di finanziamento. Durante il socialismo, per motivi ideologici, l’attività sportiva era fortemente sovvenzionata dallo stato. Questo sistema si è interrotto dopo l’89 mandando sul lastrico numerose società che sono dovute ricorrere a bilanci truccati oppure al fallimento. La mancanza di investimenti ha fatto si che le infrastrutture sportive siano rimaste ferme al periodo socialista, così oggi la situazione degli impianti è disastrosa. Gli stadi evidenziano un’arretratezza cronica non solo rispetto l’occidente ma anche rispetto ai paesi vicini come la Romania che nell’ultimo mese ha inaugurato due impianti all’avanguardia, uno a Bucarest che ospiterà la finale di coppa UEFA del 2012 e uno a Cluj.

A delineare un programma di rilancio è stato il governo del Fidesz, il primo ministro Viktor Orban d’altro canto non ha mai nascosto di essere un grande appassionato di calcio. I risultati ottenuti sono però altalenanti.
Il restyling degli stadi non ha avuto grande successo. Il progetto è stato portato a termine solo in 4 impianti, uno di questi, lo stadio Szusza, considerato il fiore all’occhiello è stato fortemente danneggiato l’anno scorso da scontri tra tifoserie. Il più grande investimento dovrebbe partire quest’anno con la costruzione di un nuovo impianto al posto dell’ormai obsoleto Puskas di Budapest.

Il progetto di riforma della Lega calcio è iniziato con la nomina del nuovo presidente Csanyi Sandor, banchiere ed amico fidato di Orban. Gli obiettivi che si pone sono però fortemente legati all’aiuto economico statale, tutt’altro che scontato nella situazione economica attuale. Il rafforzamento dei vivai sembra dare maggiori soddisfazioni grazie alla fondazione nel 2004 dell’Accademia di calcio Puskas.

Per anni gli unici giocatori conosciuti a livello internazionale sono stati i “datati” Kiraly, portiere dell’Herta Berlino famoso più che altro per i suoi pantaloni che per le sue parate, Gera attaccante del Fulham e Feher giocatore del Benfica tristemente famoso per la sua morte avvenuta durante una partita. Oggi invece protagonisti sono i giovani come Dzsudzsak (acquistato dall’Anzhi per 13 milioni di euro, è il giocatore ungherese più valutato di sempre), Koman (Sampdoria) e Rudolf (Panathinaikos). E’ stato proprio Koman a riportare dopo 17 anni un magiaro a segnare nel campionato italiano; l’ultimo fu Lajos Detari fantasista stravagante e talentuoso del Bologna.

I tentativi avviati per ridisegnare lo scenario calcistico nazionale si devono confrontare però con un problema di fondo: l’Ungheria è un piccolo paese che difficilmente potrà competere con i campionati occidentali. Questa problematica ha suscitato dibattito anche in altri paesi, come quelli della ex-Jugoslavia che prefigurano una possibile riunificazione calcistica, forse anche l’Ungheria dovrebbe prendere in considerazione una possibilità del genere.

Un occasione da non perdere sarà la scelta per la sede degli Europei del 2020, quando probabilmente si candiderà in coppia con la Romania, segnale importante non solo dal punto di vista calcistico.

Chi è Aron Coceancig

nato a Cormons-Krmin (GO) nel 1981. Nel 2014 ho conseguito all'Università di Modena e Reggio Emilia il Ph.D. in Storia dell'Europa orientale. In particolare mi interesso di minoranze e storia dell'Europa centrale. Collaboro con il Centro Studi Adria-Danubia e l'Istituto per gli incontri Culturali Mitteleuropei.

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