BOSNIA: Srđan Aleksić, un Giusto di Trebinje

“Srđan Radov Aleksić: compiendo il proprio dovere umano, ha tragicamente perso la propria giovane vita, a 27 anni”. Recitano così le prime righe del manifesto funebre affisso per le strade di Trebinje esattamente vent’anni fa, il 27 gennaio 1993. Quelle parole le aveva scritte Rade, il padre di Srđan, un ragazzo con un passato da talentuoso nuotatore e con la passione per il teatro.

Trebinje è una bella città nell’estremità sud-orientale della Bosnia Erzegovina, a tre quarti d’ora d’auto da Dubrovnik. Nel gennaio 1993 la Bosnia aveva già trascorso nove mesi in guerra e Trebinje era occupata dall’Esercito della Republika Srpska (VRS). Il giorno 21, una pattuglia di quattro miliziani della VRS gira per i dintorni del mercato di Trebinje, in pieno centro. La pattuglia s’imbatte in Srđan e nel suo amico Alen Glavovic, chiede loro i documenti. Alen viene insultato e poi malmenato brutalmente dai soldati perché identificato come bosgnacco musulmano. Srđan cerca di difenderlo e di mandare i via i miliziani. Ma questi iniziano a picchiarlo e lo riducono in fin di vita. Alen riesce a salvarsi grazie all’intervento di Srđan, che viene ricoverato all’ospedale di Trebinje e morirà dopo sei giorni di coma.

A venti anni di distanza, il riflesso istintivo di Srđan in difesa di Alen viene ricordato come un supremo esempio di coraggio civile e solidarieta’. Un gesto così naturale, semplice e straordinario allo stesso tempo che parla da se’, senza doverlo gonfiare di retorica e senza risaltare troppo la «differenza» nazionale tra i due amici, il serbo-bosniaco Srđan e il musulmano-bosniaco Alen.

 Gli “eroi virtuosi”

La storia di Srđan va ricordata anche perché non è un fatto isolato. Nelle guerre dell’ex-Jugoslavia ci sono stati numerosi gesti di resistenza civile e di solidarietà umana, che forse meriterebbero maggior attenzione da parte dei media (tanto internazionali, quanto locali), per rendere giustizia alla memoria di questi individui. Ma soprattutto, per vedere nel passato l’esempio di esperienze comuni virtuose e costruttive, e non solo un grimaldello per fomentare le differenze e colpire il «diverso». Questi «eroi virtuosi» si contrappongono agli altri «eroi», cioè le icone dello sciovinismo e della purezza identitaria, protagonisti dei conflitti degli anni Novanta (alcuni in prima persona, altri perché presi a modello dai loro presunti discendenti o eredi).

Per gli «eroi virtuosi» delle guerre jugoslave esiste un premio. Si tratta del «Premio per il coraggio civile Duško Kondor», assegnato ogni anno dalla ONG sarajevese Gariwo. Il riconoscimento e’ dedicato alla memoria di Duško Kondor, un attivista dei diritti civili di Bijelijna, ucciso nel 2007 per aver testimoniato di fronte a un tribunale locale contro i crimini di guerra compiuti nel 1993 dalle milizie serbo-bosniache nella sua città. Vale davvero la pena sfogliare le biografie dei vincitori del premio (molti di questi sono postumi, proprio perche’ pagarono con la vita il proprio coraggio solidale). Tra di loro c’è ovviamente Srđan Aleksić, vincitore postumo del premio 2010 assieme al pope Krstan Bijeljac, al poliziotto Slobodan Pejović, all’operaio Esad Alić e al tassista Mile Plakalović.

A Srđan sono state intitolate strade in diverse città della Bosnia Erzegovina e della Serbia, tra cui Sarajevo, Tuzla, Bihać, Pancevo e Novi Sad. Alla figura di Srdjan sono stati dedicati, tra le altre cose: un documentario della tv nazionale serba («Srđo», trasmesso nel 2011), un film uscito di recente («Krugovi», una co-produzione internazionale, verra’ presentato al prossimo festival del cinema di Berlino) e un fumetto contenuto nel libro «Yugoland», di Andrea Ragona e Gabriele Gamberini.

 Alen e Rade

Alen Glavović, che quel 21 gennaio 1993 fu salvato dall’amico Srđan, vive da anni in Svezia, dove si e’ sposato e ha due figli. Torna a Trebinje ogni estate e non manca di visitare la tomba di Srđan. E subito dopo passa a trovare il padre di Srđan, Rade Aleksic, ancora oggi legatissimo all’amico che deve la vita al figlio scomparso. «Ah, il mio Aco! Qui lo chiamavamo tutti così. […] Non ricordo come si chiama di cognome perché per noi, per la gente di Trebinje, per la vecchia raja di Trebinje, i cognomi non hanno mai significato nulla. Ci chiamavamo per soprannomi, ci riconoscevamo nell’essere buoni. E io in questa Trebinje credo ancora oggi», ha dichiarato il signor Rade Aleksić in un’ intervista di due anni fa. In un’altra intervista racconta di quando, durante il processo agli assassini del figlio, il loro avvocato difensore gli si avvicinò dicendo: «E’ ciò che si merita quando si difende un musulmano». Quel processo si concluse con la condanna a soli due anni di carcere per tre dei quattro assassini di Srđan (il quarto era morto in guerra). Questi episodi così aspri dimostrano la difficoltà della riconciliazione, ma non sono bastati a piegare Rade, che prima della guerra aveva perso la moglie e l’altro figlio. Oggi non si stanca di ricordare Srđan e incarnarne la «bonta’». Queste parole, pronunciate da Rade nel documentario «Srđo», valgono più di tutte. «Srdjan voleva bene agli altri, e’ cresciuto in un luogo, diciamo, ‘multietnico’. Ma per lui non era un posto multietnico. Per lui era il suo posto. Un posto di buoni e di cattivi. Un posto di cose accettabili e di cose inaccettabili».

Chi è Alfredo Sasso

Dottore di ricerca in storia contemporanea dei Balcani all'Università Autonoma di Barcellona (UAB); assegnista all'Università di Rijeka (CAS-UNIRI), è redattore di East Journal dal 2011 e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso. Attualmente è presidente dell'Associazione Most attraverso cui coordina e promuove le attività off-line del progetto East Journal.

Leggi anche

BALCANI: Diritto all’aborto, la Jugoslavia anticipa la Francia di cinquant’anni

La Jugoslavia socialista aveva inserito il diritto all’aborto nella Costituzione già nel 1974, cinquant'anni prima della Francia

2 commenti

  1. Qué gran texto y qué bien contado, Alfredo. Muy bueno.

    No conocía de ese premio de Goriwo, y me parece muy interesante. Estoy completamente de acuerdo con que los otros héroes y heroínas son uno de los colectivos injustamente tratados en la posguerra. Esas personas que mantuvieron el sentido común, la humanidad y el civismo, de las que hay miles y miles que pueden incluso ahora arrastrar su heroísmo como un estigma, cuando merecerían calles y plazas a su nombre.

    Un abrazo,

    Miguel

  2. Franz Naseljenik

    Un monumento non si nega a nessuno, tranne che a lui! Aleksić, definito, il “Piemonte della serbità” da Jovanović dell’LDP, non si dimentica ma si ha paura di onorare.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com