UCRAINA: In attesa di una svolta economica, a quattro anni da Maidan

Da KYIV, UCRAINAIl 2018 doveva essere l’anno di svolta per l’economia ucraina. O forse doveva già esserlo il 2017. Ma i colpi subiti dall’Ucraina nel corso degli ultimi anni, conseguenza degli eventi di Maidan e del conflitto nel Donbass, non sono stati pochi e a risentirne maggiormente è stata proprio la situazione economica. Oggi il paese deve rialzarsi piano piano e cercare di cavarsela tra un’inflazione galoppante, la svalutazione della hryvna e un rincaro dei prezzi (ma non degli stipendi).

Una crescita economica che tentenna

La gente ricorda bene come, fino al 2014, il dollaro valesse 8 hryvne, mentre ora raggiunge ormai le 27. Il cambio con l’euro è anch’esso attualmente spropositato: oscilla tra le 32 e le 34 hryvne. Lo stipendio dell’ucraino medio, invece, non si è mosso di un centesimo, ma è andato di pari passo con il cambio valuta: se a novembre 2013 il salario medio in Ucraina era di circa 408 dollari, a settembre 2017 ammontava a 274 dollari.

L’inflazione, in questi ultimi quattro anni, è salita al 92%. Secondo quanto afferma l’agenzia delle statistiche Gosstat in un solo mese, da dicembre 2017 a gennaio 2018, c’è stato un rincaro dell’1,5%, e rispetto a gennaio 2017 un aumento totale del 14,5%. Il default è stato evitato solo grazie al Fondo Monetario Internazionale che ha concesso un prestito di 17,5 miliardi di dollari in cambio di una vaga promessa del governo ucraino di combattere la corruzione, completare la privatizzazione e aumentare l’età pensionabile.

Dopo un promettente recupero nel 2016 e una crescita economica del 4,8% nell’ultimo trimestre, l’Ucraina sembrava pronta per una crescita sostanziale nel 2017, bloccatasi purtroppo al 2% e incapace di raggiungere il 6-7% tanto sperato nella seconda metà dell’anno. L’anno nuovo doveva rimettere le cose in sesto, ma la maggior parte degli esperti prevede per il 2018 un tasso di crescita piuttosto misero, pari al 3%.

Negli ultimi anni, infatti, il PIL sta diminuendo, e ciò è dovuto al calo della produzione industriale, che si è ridotta di almeno un terzo negli ultimi quattro anni. A causa della guerra nel Donbass, l’Ucraina ha perso territori di grande importanza per il settore industriale e minerario. Ora non c’è una sola miniera nell’area controllata dalle forze armate ucraine che produce antracite: le 60 rimaste sono tutte nella zona occupata dai separatisti. Un problema da non sottovalutare visto che ora l’Ucraina è costretta ad importare carbone e, da quanto dimostrano i dati statistici, lo importa proprio dal suo nemico numero uno, la Russia.

Il primo ministro ucraino, Volodymyr Groysman, resta positivo. Lo scorso gennaio ha annunciato che il parlamento sta discutendo ben 35 disegni di legge fondamentali per la crescita economica dell’Ucraina, che consentiranno al paese di guadagnare stabilità nel lungo periodo, rilanciando gli investimenti e offrendo nuovi posti di lavoro.

Se la giustizia ingrana male…

Alcune ambizioni, soprattutto quelle più grandi, non sono facili da realizzare. E il caso della riforma giudiziaria, che ha bisogno di essere ripresa nuovamente, lo dimostra. Nonostante il coinvolgimento del Consiglio pubblico di integrità, che ha messo a tacere diversi giudici incompetenti e corrotti, sostituendoli, l’ultima parola spetta sempre alla Corte Suprema, vera mela marcia del sistema nazionale. Ed è ben noto che una sola mela marcia contagia anche tutte le altre, così non ne è uscito nulla di buono.

L’Ucraina ha bisogno di istituire almeno un tribunale funzionante, indipendente e incorruttibile, oltre che lasciare un maggiore raggio d’azione all’ufficio nazionale anti-corruzione dell’Ucraina (NABU). Ma per ora i progetti presentati in parlamento non hanno ricevuto alcun riscontro positivo. Accanto alle forze dell’ordine, anche la Verchovna Rada è un nido di corruzione.

… i successi non mancano

In realtà, non sono stati pochi i risultati positivi che l’Ucraina si è intascata, in proporzione alle difficoltà che ha dovuto incassarsi dal 2014 a questa parte. Il ministero delle finanze, la banca nazionale dell’Ucraina (BNU), la compagnia statale Naftogaz, il ministero della sanità e il NABU: si sono tutti tirati su le maniche per promuovere riforme concrete e ridare vita e speranza ad un paese che aspira ad entrare a far parte dell’Unione europea.

Oleksandr Danyliuk, ministro delle finanze e leader della riforma di governo, è riuscito a diminuire le spese pubbliche dell’Ucraina, stabilizzandole al 40% del PIL e facendo un gran passo avanti. Dal 2014, il deficit è stato ridotto del 10%, che non è male.

La NBU ha dimezzato il numero di banche corrotte, da 180 a 90, e la valuta internazionale e le riserve auree sono passate dai miserabili 5 miliardi di dollari nel marzo 2015 agli attuali 18 miliardi: ciò ha permesso al tasso di cambio di stabilizzarsi.

Naftogaz, sotto la direzione dell’amministratore delegato Andriy Kobolyev, ha eliminato le perdite croniche vincendo la causa contro la Gazprom.

Il ministro della sanità ad interim Ulana Suprun ha introdotto con successo una serie di appalti pubblici non corrotti e una gestione economica ragionevole del budget.

Il direttore della NABU, Artem Sytnyk, ha effettuato diversi importanti arresti, tra cui quello di Roman Nasirov, a capo dei servizi fiscali statali, rallegrando gli imprenditori ucraini che esportano in quanto possono gioire del sistema automatico di rimborso dell’iva.

Inoltre, il processo di privatizzazione delle imprese statali sta avendo successo: negli ultimi tre anni praticamente non c’è stata alcuna privatizzazione, anzi il Fondo di proprietà statale dell’Ucraina è finalmente riuscito a vendere 83 beni statali. Ora ne mancano solo 3400.

Quando Mar Nero e Mar d’Azov fanno gola

L’appetito di Mosca per il Mar Nero e il Mar d’Azov non è diminuito dopo l’annessione della Crimea. L’occupazione della penisola non ha certamente aiutato il consolidarsi della flotta marittima ucraina né tantomeno la relativa crescita economica, che subisce danni alle infrastrutture navali e portuali a causa dei vicini, i quali continuano con noncuranza ad infrangere i principi fondamentali del diritto marittimo internazionale (e non solo).

La potenza di Putin ha, sebbene gradualmente, imposto la sua presenza in aree della zona economica marittima esclusiva dell’Ucraina, violando la legge del mare delle Nazioni Unite (UNCLOS). Come? Innanzitutto costruendo il noto ponte di Kerch, che dovrebbe collegare la penisola di Crimea al territorio russo di Krasnodar, e successivamente imponendo una restrizione delle dimensioni delle navi che passano attraverso l’arco centrale di questo ponte ancora da farsi.

Dopo l’installazione dell’arco, avvenuto lo scorso ottobre, i porti ucraini sul Mar d’Azov di Mariupol’ e Berdyansk hanno perso oltre 50 milioni di dollari in merci e trasbordi, cifra che prevede di crescere ancora nel corso del 2018, nonché il 70% delle sue capacità navali. Tuttavia, nonostante i molteplici problemi di costruzione del ponte, i lavori proseguono.

Ponte di Kerch a parte, Mosca è riuscita a sequestrare illegalmente otto giacimenti di gas marittimi appartenenti all’Ucraina nei due mari in questione. Estraendo ben 7,2 miliardi di metri cubi di gas, corrispondenti a una somma di circa 1700 miliardi di dollari, la compagnia statale ucraina Chornomornaftogaz sta letteralmente cercando di non affondare nei debiti e di vincere la battaglia contro la Russia.

La sovranità ucraina dei due mari è sicuramente messa a dura prova. Ora non resta che aspettare che la giustizia faccia il suo dovere e che si compia il miracolo economico.

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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