#CURVA EST 5: Quella Jugoslavia seppellita da un fax

Curva Est è la nostra selezione settimanale di articoli e letture a tema sportivo, centrati sull’est Europa, ma non solo. Un compendio di tutto quello che abbiamo ritenuto valga la pena di leggere, a cura della redazione sportiva di East Journal, tra storie, approfondimenti e curiosità.

Il fax che uccise il calcio jugoslavo

Come uccisero il Brasile d’Europa
Carlo Perigli
19 settembre 2015, Storie del Boškov (Parte prima)
21 settembre 2015, Storie del Boškov (Parte seconda)
25 settembre 2015, Storie del Boškov (Parte terza)

Un fax, per terminare ufficialmente una storia gloriosa: a otto giorni dall’inizio del Campionato Europeo del 1992 la UEFA informa la nazionale jugoslava che, in osservanza della Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la squadra è esclusa da ogni competizione sportiva. Un fax che mette definitivamente la lapide sull’epopea della più grande nazionale jugoslava, quella nata sul successo nella Coppa del Mondo under 20 in Cile del 1987. L’articolo – in tre parti – di Carlo Perigli ripercorre la storia degli ultimi cinque anni del “Brasile d’Europa”, come era conosciuta la Jugoslavia. Dal trionfo dell’under 20 in Cile, inaspettato a tal punto che l’unico cronista jugoslavo sul posto non si trovava lì per la manifestazione sportiva, al fatidico 13 maggio 1990 allo stadio Maksimir di Zagabria, sintomo spettacolare ed evidente di una rottura in atto, seguito in quello stesso stadio dai cori contro la nazionale da parte dei tifosi croati, appena venti giorni più tardi. Siamo alla vigilia delle Notti Magiche di Italia ’90, che però non saranno indenni dall’endemica intrusione della politica sul campo da gioco: alla vigilia del quarto di finale con l’Argentina, che segnerà l’ultima gara della Jugoslavia alla fase finale di un torneo internazionale, il difensore sloveno Srečko Katanec chiede al CT Ivica Osim di essere escluso dalla formazione, avendo ricevuto minacce nella propria città. L’anno seguente, il 1991, sarà quello della definitiva caduta: la Jugoslavia “dei 6 stati, 5 nazioni, 4 culture, 3 religioni e 2 alfabeti” chiude la propria storia il 16 maggio, travolgendo per 7-0 le Isole Fær Øer, ultima gara a cui parteciperanno anche i giocatori croati. Due settimane più tardi, il 29 maggio, lo Stella Rossa formato da serbi, croati, macedoni, montenegrini e bosniaci solleva la Coppa dei Campioni, firmando il più grande successo calcistico della storia del paese. Nella squadra che dovrebbe partecipare all’Europeo del 1992 sono rappresentate tutte le repubbliche, manca solo la Croazia, nonostante anche la Slovenia secessionista abbia già avviato una lega indipendente. Un ultimo atto, nel tentativo di dimostrare al mondo il valore del calcio jugoslavo. Un’occasione negata però da quel fax, come ricorderà il capitano Dragan Stojković: «È stato il giorno più brutto della mia vita, e la cosa peggiore è che non potevo spiegare ai giocatori il perché. Questo è sport, non politica, e le due cose non dovrebbero mai andare di pari passo. Stavano accadendo cose terribili nel mio Paese, delle quali mi vergogno profondamente. Ma quando vidi quei giocatori, vidi le loro espressioni distrutte quando gli diedi la notizia, volevo sapere perché la Uefa era arrivata a tal punto. Se avevano deciso di escluderci dalla competizione, perché non dircelo prima? Ci stavamo allenando, eravamo già in hotel in Svezia, e ora dovevamo andare a casa. Dovevamo tornare alla realtà».

A tu per tu con l’uomo del drone

Ending an Albania-Serbia Game and Inciting a Riot, With a Joystick
James Montague
7 ottobre 2015, The New York Times

James Montague ha intervistato Ismail Morina, trentatreenne gruista famoso per aver rivendicato la responsabilità del drone con la bandiera nazionalista albanese che gettò scompiglio su Serbia-Albania nel 2014 (la gara di ritorno è stata giocata questa settimana, senza alcun incidente). Morina racconta di aver guidato il drone da una delle torri della Chiesa del Santo Arcangelo Gabriele di Belgrado, senza però riuscire a distinguere le due squadre, non sapendo quale indossasse il rosso e quale il bianco, e quindi facendolo avvicinare eccessivamente al serbo Stefan Mitrović, che l’avrebbe tirato a terra. La responsabilità dell’accaduto era stata addossata inizialmente al fratello del premier albanese Edi Rama. Morina racconta di aver preso la decisione nel 2010, mentre stava lavorando a Milano (la moglie è italiana), dopo aver visto la bandiera albanese bruciata dagli ultrà serbi durante la gara tra Italia e Serbia a Genova. L’obiettivo sarebbe stato quello di mandare un messaggio: «Sono un patriota, non un nazionalista, e ho scelto di dire ai serbi che sono gli albanesi a essere la popolazione autoctona dei Balcani. Non vuol dire che i serbi non possano vivere qui, ma devono rispettare la nostra bandiera». Morina, arrestato nei giorni precedenti alla gara di questa settimana per il possesso di due pistole e trentasei biglietti di Albania-Serbia contraffatti, è divenuto un eroe nazionale in Albania, dove è tornato pochi giorni dopo la serata del drone.

La curiosità

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Social network e affari calcistici sono stati protagonisti delle ultime settimane in est Europa: Vladica Petrović, allenatore del Drina Zvornik, squadra della serie A bosniaca, ha scoperto tramite Facebook di essere stato esonerato dall’incarico che ricopriva. Il tecnico ha aperto il social network e ha trovato un post della squadra che dava la notizia ai fan della squadra, ringraziando il tecnico del suo operato. A Petrović non è rimasto che commentare, sarcasticamente, Hvala na obavestenju, «Grazie per la notizia». Se Petrović ha avuto la notizia della terminazione del suo contratto di lavoro tramite Facebook, qualcuno potrebbe aver trovato un ingaggio in Moldavia attraverso LinkedIn.

Il giornalista romeno Emanuel Roşu ha infatti twittato l’annuncio di lavoro messo sul social network professionale da parte di un agente, in ricerca di un giocatore per una squadra della prima divisione moldava. Un annuncio piuttosto bislacco, che recitava: «Uno dei migliori club della Moldavia sta cercando una punta. Il giocatore deve essre svincolato e disponibile ad arrivare in gennaio. La società è seria e ha grandi ambizioni. La punta dev’essere veloce e forte con un buon carattere (no ballerini e amanti di alcool e sigarette). 21-27 anni. Per favore, non offrite africani», spingendo un commentatore a ironizzare con quest’offerta: «Ho un giocatore di 35 anni dal Mali. Appassionato di Bee Gees + Donna Summer. Fuma 80 sigarette al giorno, non disdegna il whisky. Fatemi sapere se siete interessati».

Chi è Damiano Benzoni

Giornalista pubblicista, è caporedattore della pagina sportiva di East Journal. Gestisce Dinamo Babel, blog su temi di sport e politica, e partecipa al progetto di informazione sportiva Collettivo Zaire74. Ha collaborato con Il Giorno, Avvenire, Kosovo 2.0, When Saturday Comes, Radio 24, Radio Flash Torino e Futbolgrad. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla democratizzazione romena, ha studiato tra Milano, Roma e Bucarest. Nato nel 1985 in provincia di Como, dove risiede, parla inglese e romeno. Ex rugbista.

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