Migrants board a train through the windows at Gevgelija train station in Macedonia, close to the border with Greece, August 15, 2015. In the past month, an estimated 30,000 refugees have passed through Macedonia, another step in their uncertain search for a better life in western Europe. REUTERS/Stoyan Nenov

La via migratoria lungo i Balcani, paura e opportunità

Ancora una volta, inaspettatamente, i Balcani inquietano l’Europa. Questa volta vi si svolge una guerra diversa da quella di un secolo fa o da quella degli anni Novanta. E’ una guerra senza armi (perlomeno finora), ma che pure produce tensioni, violenze, scontri, destabilizzazioni. Sono le migrazioni, movimenti tellurici e sociali al tempo stesso prodotti dallo scontro tra demografie, economie e geopolitiche drasticamente divergenti. Ad esempio nei prossimi venti anni l’Africa subsahariana sarà un enorme motore demografico che pomperà 900 milioni di abitanti in più, dei quali 200 milioni saranno giovani in cerca di lavoro.

Il fatto è che gli ingressi dei migranti in Europa stanno cambiando pelle: crescono in quantità (quasi 340 mila nei primi sette mesi dell’anno contro i 283 mila di tutto il 2014) e cambiano i canali di ingresso, che si spostano ad est. Oggi i flussi per il 40% vengono dal Mediterraneo orientale e per il 30% dai Balcani.

Le scene dei migranti inizialmente respinti dalla Macedonia nella terra di nessuno con la Grecia e che poi riescono a forare la frontiera di Skopje e ad entrare in massa per salire verso la Serbia e l’Ungheria danno drammaticamente l’idea della forza dei movimenti migratori. Eppure i Balcani, proprio per la loro faticosa storia, sono terre che se ne intendono di movimenti di popoli, di profughi, di rifugiati e di sfollati. Il serbo Milos Crnjanski, che con Andric e Krleza è uno dei grandi della letteratura slavo-balcanica del secolo scorso, scriveva in Migrazioni (Seobe): “Vagabondavano come mosche senza testa”. Nel suo immenso romanzo, l’autore scrive del senso di smarrimento e sradicamento, della nostalgia della patria perduta ma anche del sogno di ogni terra promessa. E di fronte a tale sogno i confini statuali sempre perdono la loro fissità e sacralità, diventano fragili e porosi, incapaci di trattenere e tantomeno di respingere. Allora ritornano i muri e gli eserciti – vedi l’esperimento ungherese di Viktor Orban al confine serbo – espedienti del mondo antico per contenere una globalizzazione sociale eccessiva e sgradita.

Esattamente 60 anni fa Tito lanciava il cosiddetto Movimento dei paesi non allineati, che doveva farsi “terzo” tra occidente filoamericano ed il mondo filosovietico per combattere neocolonialismo ed imperialismo. Oggi lo stillicidio dei disperati che provengono proprio dai paesi un tempo non allineati sembra essere una amara nemesi storica di geopolitiche che un tempo – che oggi appare incredibilmente lontano – apparvero utopiche, ideologiche o velleitarie.

Rimangono sicuramente le conseguenze per paesi – quelli ex jugoslavi – che negli assalti migratori vedono enfatizzate le loro note debolezze e fragilità economiche e statuali. Gli 1,5 milioni di euro stanziati dall’Europa per l’assistenza a rifugiati e migranti in Serbia e Macedonia vanno nella direzione giusta, ma certo non bastano. Perché destabilizzare i Balcani post jugoslavi è oggi fin troppo facile e le conseguenze (imprevedibili) non risparmierebbero certo l’Europa. Sarebbe da sperare – senza peccare di ingenuo ottimismo – che l’imponenza dei fenomeni migratori (in realtà un vero esodo, per usare il titolo forte del libro di Paul Collier) sulla “Balkan Route” possa rinvigorire e rinforzare (finalmente) la collaborazione tra Unione europea e quei paesi ex jugoslavi finora rimasti nella grigia no man’s land dell’Europa del sud-est. Come scrive dolorosamente Crnjanski: “Un giorno provai tutta l’impotenza della vita umana e il groviglio della nostra sorte. Vedevo che nessuno va dove vuole e osservai legami fino ad allora inosservati…”.

 

 

 

 

Chi è Vittorio Filippi

Sociologo, docente Università Ca’Foscari e Università di Verona, si occupa di ricerca sociale, soprattutto nel campo della famiglia, della demografia, dei consumi. Collabora nel campo delle ricerche territoriali con la SWG di Trieste, è consulente di Unindustria Treviso e di Confcommercio. Insegna sociologia all’Università di Venezia e di Verona ed all’ISRE di Mestre. E’ autore di pubblicazioni e saggi sulla sociologia della famiglia e dei consumi.

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