UCRAINA: Quando i romeni sterminarono gli ebrei di Odessa

Il libro di Charles King, Odessa, splendore e tragedia di una città di sogno, rappresenta una ricerca senza dubbio completa e interessante, che ci mostra la nascita e l’evoluzione storica di una città dal grande fascino, che ha saputo generare un’atmosfera propizia all’arte e alla letteratura: il nucleo centrale del libro, però, ci porta di fronte ad una tragedia storica sconvolgente, ancora sottovalutata e quasi dimenticata; tra il 1941 e il 1942 l’esercito rumeno, invasore assieme ai nazisti dell’Unione Sovietica, si assunse completamente la responsabilità, seguendo le direttive del conducator Antonescu, di eliminare tutti gli ebrei di Odessa e della Transnistria: si calcola una cifra superiore alle duecentomila vittime, uccise crudelmente con tutte le modalità possibili, secondo le direttive scritte di Antonescu. La medesima sorte doveva toccare a tutti i “comunisti”.

Dopo l’esplosione, avvenuta il 22 ottobre 1941, del quartier generale delle truppe d’invasione rumene, il generale Constantin Trestioreanu, ufficiale in capo a Odessa, ordinò il massacro indiscriminato della comunità ebraica. Ad ogni soldato fu dato l’ordine di impiccare “almeno cento ebrei a testa”, con l’autorizzazione ad impiccarne di più; avvennero retate ed esecuzioni di migliaia di ebrei, nel porto, nelle caserme della periferia e nei capannoni dell’insediamento di Dal’nik, appena fuori città; i pali dell’alta tensione divennero forche improvvisate e in periferia si vedevano file intere di cadaveri.

Nelle settimane successive, vennero eseguite fucilazioni di massa con fucili e mitragliatrici, immolazioni con benzina infiammata e gas, e interi palazzi stipati di ebrei vennero fatti saltare, seguendo il preciso rituale previsto come rappresaglia da Antonescu. Testimoni raccontano di “feriti che bruciavano vivi, donne con i capelli in fiamme che cercavano di fuggire dai tetti e da ogni possibile apertura dei palazzi dati alle fiamme, in una folle ricerca di salvezza”. In un breve periodo si calcola che furono uccise almeno venticinquemila persone. I rumeni eseguirono il massacro senza servirsi di campi di sterminio, ma “mediante pallottole”: costruirono strutture e ghetti in Transnistria, dove, al termine dell’occupazione, dei trecentomila ebrei originari ne rimasero a malapena cinquantamila.

Fu creato poi a Odessa il ghetto di Slobodka, quando le deportazioni verso est erano respinte dai tedeschi che non erano in grado di gestire i deportati. Già ad ottobre e novembre iniziò la deportazione verso l’interno e i campi di lavoro: migliaia di ebrei  furono uccisi dalla polizia locale o morirono di malnutrizione; a gennaio, in condizioni climatiche disumane, nel gelo implacabile, a piedi o su carri venne proseguita le deportazione: chi cadeva o tentava di fuggire veniva ucciso all’istante. Nell’aprile del 1942 la terribile evacuazione fu portata a termine. Nei campi di lavoro, un sistema schiavistico, il tifo e le uccisioni sistematiche, oltre alle condizioni sanitarie intollerabili, mieterono migliaia di vite. Come narra l’autore, poi, le letture più raccapriccianti sono le denunce scritte e le relazioni di agenti segreti che gli odessiti comuni consegnavano alle autorità rumene: centinaia di pagine scarabocchiate su carta velina, sul retro di vecchi manifesti e perfino all’interno della carta di caramelle. Ebrei e bolscevichi erano l’oggetto di queste denunce: “Quando la cavalleria rumena entrò al trotto nella deserta via Richelieu, protetta da sacchi di sabbia, gli odessiti avevano già iniziato a denunciarsi a vicenda”.

Il grande interesse e la qualità di questo libro nel narrare la storia di una città che conserva ancora un notevole fascino, permettono al lettore di riaversi dallo shock derivante dalla ricostruzione dello sterminio ebraico, è chiaro però che, al di là dell’interesse della complessiva ricostruzione, il maggior peso storico del volume sta proprio nella sua denuncia di quella  tragedia, che sottrasse alla città e al mondo una popolazione che conservava la propria cultura, unica e preziosissima.

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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