GEORGIA: L’arresto dei rapper Birja Mafia, tra abusi di potere e tolleranza zero sulle droghe

In seguito all’arresto dei due membri del gruppo hip-hop satirico Birja Mafia, alcune migliaia di georgiani a Tbilisi e Batumi hanno partecipato a cortei di protesta e di sostegno ai due artisti. Lo slogan delle manifestazioni, che riassume l’assurdità della vicenda, suona come una domanda rivolta alle autorità: “Cos’altro può succedere?”.

La sera dell’8 giugno, la polizia georgiana avrebbe trovato addosso a Mikheil Mgaloblishvili e Giorgi Keburia una quantità molto elevata di MDMA (rispettivamente 1,5 grammi e 2,3 grammi). Arrestati, i due rischiano tra gli 8 e i 20 anni di detenzione – se non addirittura il carcere a vita. I familiari e gli amici sostengono che le sostanze stupefacenti sarebbero state nascoste addosso agli artisti dagli stessi poliziotti: questi avrebbero voluto punire i due giovani rapper per un clip musicale diffuso nel marzo 2017, in cui lanciano un osso ad un poliziotto tenuto al guinzaglio. Il video incriminato della canzone “Tsl shavi zeda” era stato rapidamente rimosso da Youtube, sembra su ordine delle forze di polizia, e ripubblicato lo scorso 4 giugno in versione censurata.

Secondo quanto riportato da Civil.ge, durante il processo svoltosi il 10 giugno, Mgaloblishvili ha respinto le accuse e denunciato le intimidazioni subite da parte degli agenti di polizia. In carcere, un poliziotto gli avrebbe spiegato che che il video di Birja Mafia “aveva fatto arrabbiare qualcuno” e che l’arresto “serviva per fargli imparare la lezione”. Mgaloblishvili sarebbe anche stato obbligato a sottoporsi ad un test antidroga, risultato negativo. Per il momento, Mgaloblishvili sarà trattenuto in detenzione preventiva fino al prossimo processo previsto per il  27 giugno. Keburia, che si è dichiarato colpevole – probabilmente sotto la pressione della polizia, sarà processato separatamente.

A pochi giorni di distanza dal sequestro del giornalista azero Afgan Mukhtarli (di cui avevamo parlato qui), le forze dell’ordine georgiane si ritrovano nuovamente nell’occhio del ciclone. L’Ombudsman georgiano ha invitato il Pubblico Ministero ad avviare immediatamente un’inchiesta per abuso di autorità da parte della polizia. Ana Dolidze, consulente legale del presidente georgiano, ha dichiarato che “in seguito ai fatti recenti, la situazione di ogni accusato dovrà essere esaminata accuratamente se questa implica limitazioni nell’esercizio dei diritti umani, e in particolare in caso di violenza o repressione da parte delle autorità”.

Al di là del dibattito su libertà d’espressione e abuso di potere, il caso Birja Mafia ha riacceso le polemiche sulla severità delle politiche georgiane in materia di droga. La “tolleranza zero” lanciata da Saakashvili nel 2006 è rimasta praticamente invariata, nonostante le numerose campagne di liberalizzazione condotte dal partito Girchi e dal movimento “Rumore bianco” che spingeva per una depenalizzazione dell’uso di marijuana, punibile fino al 2015 con 12 anni di carcere. Solo nel dicembre 2016 una decisione della Corte Costituzionale aveva posto fine alla legge che prevedeva l’arresto per uso, possesso o coltivazione di marijuana a fini personali.

Molti sostengono che lo stesso Ministero degli Interni faccia deliberatamente ostruzione al processo di depenalizzazione, per motivi legati alle pratiche di lavoro delle forze dell’ordine: secondo una tradizione sovietica dura a morire, è infatti molto più semplice mandare qualcuno in prigione per uso di droghe, piuttosto che di condurre una vera e propria indagine sul crimine. Secondo un recente studio condotto dal Consiglio d’Europa, nel 2015 un terzo dei detenuti nelle prigioni georgiane era stato punito per reati in materia di stupefacenti.

Commentando sulla vicenda di Birja Mafia, il primo ministro georgiano Giorgi Kvirikashvili ha inaspettatamente chiesto di aprire un’indagine più approfondita del caso, sostenendo inoltre la necessità di far votare al più presto in Parlamento una legislazione più “umana” in materia di droghe, “in linea con gli standard europei”.

Immagine: Tabula.ge

Chi è Laura Luciani

Nata a Civitanova Marche, è dottoranda in scienze politiche presso la Ghent University (Belgio), con una ricerca sulle politiche dell'Unione europea per la promozione dei diritti umani e il sostegno alla società civile nel Caucaso meridionale. Oltre a questi temi, si interessa di spazio post-sovietico in generale, di femminismo e questioni di genere, e a volte di politiche linguistiche. E' stata co-autrice del programma "Kiosk" di Radio Beckwith.

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