La notizia va presa con tutte le cautele del caso, ma diventa di giorno in giorno più plausibile. L’Egitto avrebbe mandato in Siria una ventina di piloti in appoggio all’aviazione di Assad. Lo riportava il 3 novembre l’agenzia iraniana Tasnim, voce dei Pasdaran che di quel regime sono alleati. Due settimane più tardi altre fonti lo confermavano ad as-Safir, considerato vicino a Hezbollah che combatte con Assad dal 2013. Sono 18 i piloti egiziani di stanza nella base di Hama, scrive il quotidiano libanese.
Il nuovo triangolo siriano
Al-Sisi si schiera con il regime siriano oppure no? Forse non è vera la notizia dei soldati; tuttavia resta verosimile. Il riavvicinamento tra Egitto e Assad è un fatto, su questo punto non c’è molto da discutere. Il capo dell’intelligence siriana Ali Mamlouk è volato al Cairo a metà ottobre per discutere con il suo omologo egiziano. Non capita spesso che si muova Mamlouk, dallo scoppio della guerra in Siria ha fatto tappa a Mosca una volta sola e basta.
La Russia è l’altro vertice che chiude il nuovo triangolo siriano, anche qui l’Egitto sta guardando al Cremlino con favore. Il mese scorso aveva votato una risoluzione su Aleppo proposta dalla Russia all’Onu, a stretto giro erano arrivati i commenti indignati dei suoi (ex) alleati, quei paesi del Golfo che in Siria danno armi e soldi ai ribelli. Con Putin, al-Sisi ha recuperato da qualche tempo un buon rapporto. L’incontro rivelatore avvenne nel febbraio 2015, Putin in visita gli regalò un pregiatissimo kalashnikov e al-Sisi non smetteva di fregarsi contento le mani.
Da Suez si vede l’Iran
Ovviamente tutti gli interessati hanno smentito lo scoop di as-Safir. Ma a una tv portoghese al-Sisi, che si è tolto la mimetica solo nel 2013 dopo aver estromesso Morsi e la Fratellanza musulmana, ha detto chiaramente la settimana scorsa: “La nostra priorità è supportare gli eserciti nazionali, per esempio in Libia. E lo stesso in Siria e Iraq”. Il giornalista sorpreso chiede se dicendo Siria intende proprio Assad. Affermativo, risponde asciutto al-Sisi.
Frasi che nel Golfo faranno fatica a digerire. L’Egitto appoggia l’Arabia Saudita nella guerra in Yemen, e fino ad ora era al suo fianco – pur senza troppi entusiasmi – anche in Siria. Contro Assad, e quindi contro l’Iran. Lo scontro regionale fra Tehran e Riad è lo sfondo su cui leggere i mal di pancia sauditi: adesso al-Sisi cambia casacca, o quanto meno si rende indisponibile.
Quando cadrà Aleppo
Mandare un pugno di soldati (magari imbellettati come consiglieri militari se lo richiederà la diplomazia) non cambia certo gli equilibri della guerra in Siria. Un contingente egiziano più corposo sembra da escludere, visto gli impegni sugli altri fronti. Ma per quanto inutile sotto il profilo militare, spedire qualche uomo in Siria non può che segnare, simbolicamente e senza possibilità di appello, la decisione di schierarsi dall’altro lato della barricata.
In ogni caso Russia e Iran se la riescono a cavare da soli, gli ultimi mesi lo dimostrano. La scena è Aleppo, dove da luglio ribelli e lealisti sfoderano offensive e controffensive. La parte est, dove stanno i ribelli, è ormai assediata. Il 26 novembre l’ultimo assalto dei regime gli ha strappato via il 40% del territorio. La sacca ribelle è stata divisa di netto in due, è solo questione di tempo prima che la resistenza crolli del tutto (salvo miracoli). Assad ha vinto questa battaglia. Poi toccherà a Idlib, appena più a ovest, per ultimare la riconquista della ‘Siria utile’.
A meno che la Turchia non si metta di traverso in qualche modo, visto che i suoi soldati mirano sì ai curdi e all’Isis, ma hanno pur sempre gli scarponi a pochi km da Aleppo. Erdogan, 90 giorni dopo l’intervento, ha detto che l’obiettivo dei turchi in Siria è abbattere il regime di Assad. Boutade per propaganda interna, con ogni probabilità. Ma si è sentita abbastanza forte anche al Cremlino, che ha subito chiesto spiegazioni. Stessa scena ma a parti inverse poche ore prima: razzi (o strike aereo) colpiscono i turchi vicino a al-Bab, Erdogan accusa Assad e si attacca al telefono con Mosca. Che nega di avere a che fare con l’incidente. Sono fasi di assestamento nei rapporti tra Turchia e Russia. E in fondo, a Erdogan, Putin non ha (ancora) regalato nessun kalashnikov.