"Una Cecenia senza ceceni" nel libro-denuncia di Francesca Sforza

di Giovanni Catelli

“Non c’è pace a Grozny…non ci può essere pace in un paese in cui i diritti delle persone e le leggi della costituzione finiscono quando incontri un poliziotto per la strada”. In questa frase di Ramzan, barista ceceno del sorvegliatissimo treno Mosca-Grozny, è contenuta la profonda tragedia che affligge la Cecenia, e che, in modo più subdolo e sottile, ha travagliato tutta l’ex Unione Sovietica negli anni difficili seguiti alla dissoluzione dell’impero. Sullo sventurato “territorio” ceceno, come si affrettano a definirlo i funzionari russi, che non potrebbero mai definirlo “paese”, proprio perché imprescindibile parte della Federazione, si sono abbattute due guerre crudeli : la prima dal ’94 al ’97, con gravissime perdite russe, e la seconda, dal ’99 al 2000, in cui l’impero ha ripreso il sopravvento, ha stroncato le aspirazioni indipendentiste, e ha gettato le basi per una progressiva normalizzazione e cecenizzazione del conflitto, in cui sostanzialmente le varie fazioni possano continuare a combattersi, ma con la posizione largamente dominante dell’uomo sostenuto da Mosca, Ramzan Kadyrov, il vero ras di Grozny, che controlla i servizi di sicurezza, la polizia di frontiera, il famigerato plotone antiterrorismo ATZ, e gli spietati Kadyrovski, i fedelissimi del presidente, spesso ricercati per crimini penali, che costituiscono squadroni della morte al di sopra di ogni legge, sospettati di rastrellamenti indiscriminati e rapimenti di privati cittadini a scopo di estorsione.

A Grozny non c’è denaro (salvo quello che proviene da Mosca e subito scompare in rivoli segreti) e non c’è lavoro : per entrare nelle stesse milizie bisogna pagare fino a tremila dollari, e si rischia di essere uccisi dagli stessi compagni subito dopo l’arruolamento, giusto dopo aver pagato ; molti giovani, in caso di piccoli problemi con le autorità, si aggregano ai ribelli indipendentisti sulle montagne, per evitare i rischi a volte incalcolabili di un semplice sospetto.

Francesca Sforza, corrispondente da Mosca, ha visitato la Cecenia, si è immersa in questa sotterranea, interminabile guerra, ha conosciuto le donne  che lottano per far conoscere al mondo gli orrori perpetrati nella loro terra, ed ha cercato, con grande attenzione e finezza, di afferrare l’atmosfera che regna in questi luoghi, lo stato d’animo delle persone, la difficoltà quotidiana del vivere, i traumi vissuti durante le guerre conclamate, e il logorante, terribile destreggiarsi nel presente, nella selva di soprusi, delazioni, ruberie, sequestri, ricatti, che costituiscono quell’interminabile inferno, di cui non si scorge il termine. Boris Eltsin disse: l’ideale sarebbe una Cecenia senza ceceni; e in effetti l’opinione pubblica russa non è molto lontana dal condividere queste affermazioni; in molti ripeterebbero in cuor loro le deportazioni staliniane di massa degli anni ’40, soprattutto dopo il 2002, epoca dell’attacco al teatro moscovita Dubrovka e delle donne-bomba cecene sugli aerei di linea interni. Al teatro Dubrovka era presente anche Anna Politkovskaja, che aveva costantemente narrato gli orrori della Cecenia, gli omicidi e gli stupri compiuti dai militari russi, e contribuito con i suoi articoli alla condanna di criminali di guerra, quali il colonnello Budanov: i suoi resoconti implacabili, dettagliati e documentati, le sono valsi, il 7 ottobre 2006, una brutale esecuzione a colpi di pistola. Dunque, l’impero non tollera che si racconti pubblicamente la normalizzazione di questa sua lontana provincia: Francesca Sforza suggerisce allora una delle poche forme di aiuto concretamente possibili in Europa per impedire che un simile dramma  scompaia nell’oblio: facilitare la presentazione delle denunce di cittadini ceceni al tribunale per i Diritti Umani di Strasburgo, consentendole in modo diretto, dato che le istanze sottoposte alla giustizia russa vengono presto insabbiate, e non raggiungono mai i tre gradi di giudizio necessari per poter essere poi proposte a Strasburgo. Ciò è già stato possibile per i profughi curdi, ci si augura che possa accadere anche per i ceceni.

Francesca Sforza – Mosca-Grozny: neanche un bianco su questo treno – pagg.134 – Euro 12 – Salerno Editrice – Roma, marzo 2007 (2° edizione maggio 2007) 

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

Leggi anche

Tito Pavlović

LIBRI: “Tito. L’artefice della Jugoslavia comunista”, biografia politica scritta da Vojislav Pavlović

Lo storico Vojislav Pavlović, nel suo "Tito. L’artefice della Jugoslavia comunista", ripercorre la vita di un uomo intrinsecamente legato alla storia jugoslava in quanto simbolo e leader indiscusso della Jugoslavia comunista

Un commento

  1. Vicenda terribile e tragica quella della Cecenia. Risulta così assurda, nelle caratteristiche, da riusciure irreale. eppure è tutto vero.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com