L’ambientalismo patriottico di Marine Le Pen: come la destra radicale usa l’ecologia

L’ambientalismo patriottico di Marine Le Pen: come la destra radicale usa l’ecologia

L’etnonazionalismo propugnato da partiti di destra radicale come il Rassemblement National incorpora in modo sempre più stretto i temi ambientali e climatici. Un recupero funzionale a camuffare le radici biologiche e razziste della visione del mondo offerta da Marine Le Pen.

“I confini sono il più grande alleato dell’ambiente. È attraverso di essi che salveremo il pianeta”. Vale a dire: solo il nazionalismo – o meglio, un certo tipo di nazionalismo, quello etnico – può affrontare la crisi ambientale. Il riassunto migliore della svolta ecologica del Rassemblement National (RN) lo ha confezionato Jordan Bardella, portavoce del partito, in un’intervista a Le Figaro un mese prima delle elezioni europee del 2019.

La svolta non era opportunista. Non mirava a racimolare qualche voto in più in una congiuntura in cui clima e ambiente erano temi prioritari nel dibattito pubblico, che avrebbe poi portato al Green Deal di Ursula von der Leyen. Era iniziata prima, attorno al 2014, quando Marine Le Pen avvia sul serio la ristrutturazione del RN rimescolando 4 decenni di eredità politica del padre Jean-Marie. Ed è proseguita dopo. Consolidandosi, fino a far diventare l’ambientalismo patriottico un tassello cruciale dell’etnonazionalismo lepeniano.

Ambiente e etnonazionalismo

Nell’Europa del secondo dopoguerra, la destra radicale di ispirazione neofascista ha quasi sempre tralasciato l’ambiente e l’ecologia. Solo alcuni gruppi più estremi, di simpatie neonaziste, hanno integrato questi temi nel loro apparato ideologico fin dal principio (come il Nordic Resistance Movement scandinavo). Invece i partiti o movimenti che aspiravano a entrare nei parlamenti o, comunque, a rispettare almeno formalmente le regole democratiche, hanno preferito evitare un campo già occupato in larga parte dalla sinistra. Jean-Marie Le Pen ad esempio bollava l’ecologismo come “religione dei bobos”, cioè dei radical-chic. E ha sempre negato il cambiamento climatico di origine antropica.

Perché, allora, il RN recupera questi temi e elabora politiche sulle emissioni, sulla tutela degli ecosistemi, sulla tassa sul carbonio alla frontiera, sull’impatto dell’agricoltura nei servizi ecosistemici? E perché adesso? La risposta è semplice: ambiente e clima si prestano incredibilmente bene a rafforzare e dare coerenza ideologica all’etnonazionalismo, marchio di fabbrica del nuovo corso. Del RN così come di tanta parte della nuova destra radicale europea, rispetto alla quale il partito francese è per molti versi un precursore.

L’etnonazionalismo camuffa in modo sistematico la matrice biologica con quella culturale. Il conflitto non è più tra razze ma fra culture (e identità) diverse, l’obiettivo non è annientare il diverso ma tenerlo distante, separato. A ciascuno la sua patria, a ciascuno la sua cultura. La difesa dell’ambiente ne rafforza un aspetto cruciale: permette di recuperare un concetto, quello di territorio – derivato dal Blut und Boden (“sangue e suolo”) nazista e divenuto moneta corrente nel mondo dell’estrema destra – presentandolo nelle vesti del più neutro “ecosistema”. La parola chiave dell’ambientalismo patriottico.

L’ecosistema e le “menzogne del globalismo”

Concetti, quelli di ambiente, clima, ecosistema, che interagiscono con i pilastri dell’ideologia del RN. Su tutti, quello di cultura. Nel programma di governo per le presidenziali 2022 questo intreccio è stretto come mai prima: Le Pen si spinge fino a definire la cultura, questa co-creazione dell’uomo e del suo ecosistema.

Il corollario principale è che non esiste identità (culturale o razziale) senza difesa della “patria”. Patria che fonde insieme valori e territorio e rispecchia un ordine “naturale” che è assimilato a “giusto”, non solo desiderabile. E che si allarga fino a toccare altri temi cardine per l’estrema destra, come la famiglia – anch’essa “naturale” e quindi “giusta”. Non sfuggirà che in questo sistema di idee non c’è alcuno spazio per la migrazione: chi emigra non si può davvero integrare nel paese di arrivo perché gli manca strutturalmente un rapporto storico con quella terra. Una posizione più estrema di quella ufficialmente propugnata oggi da Le Pen. (Così come non trova spazio in questo sistema un’idea di diritti civili che non sia schiacciata su un ordine supposto naturale e i suoi alfieri, a partire dalla Chiesa.)

I semi ci sono tutti e stanno maturando. Tanto che nel programma per le presidenziali si legge che “sono i popoli uniti dalla lunga durata della presenza su un territorio che possono rivendicare la loro complicità con la natura, questa interdipendenza con l’ambiente che ha creato la diversità delle culture umane, e che il nomadismo forzato e le migrazioni di massa distruggono senza appello”. Per il momento, la polemica è concentrata più sul “globalismo” – in cui rientra l’universalismo dei valori che innerva le sinistre europee – che non su uno straniero che, in quanto tale, corrompe la supposta purezza del nesso tra uomo, terra e cultura. “Il nostro progetto”, scrive Le Pen nel programma, “darà un taglio a un’ecologia senza territorio, basata sulla menzogna del globalismo; ogni ecosistema è unico, esso è qui e non altrove.

Juvin e l’ecologia delle civiltà

L’aspetto più importante di questa incorporazione del tema ambientale da parte del RN è l’effetto di ritorno sulla proposta politica del partito e le soluzioni più sbandierate. Che ne escono rafforzate. La ricetta per affrontare la crisi ecologica è la stessa già avanzata per l’immigrazione. Serve una risposta locale, basata su un territorio i cui confini tengano fuori tutto coloro che con la terra non hanno un rapporto profondo (e in questa profondità cultura e biologia si mescolano con molta ambiguità).

Così all’”Europa delle nazioni” fa da pendant una “ecologia delle civiltà” che riassume le critiche del RN a globalizzazione, universalismo dei diritti, finanziarizzazione dell’economia. “L’ecologia delle civiltà”, ha detto Bardella quest’anno a Budapest dal palco della Conservative Political Action Conference, “si oppone a un mondo in cui gli uomini sarebbero tutti uguali, separati da ogni cultura ereditata, da ogni convinzione personale, e quindi ridotti ai loro interessi economici. Un uomo indeterminato, senza origine né territorio, l’essere del nulla, un puro effetto del suo desiderio e dei suoi capricci”.

L’idea di ecologia delle civiltà – così come gran parte del nuovo strumentario ecologista del RN – viene dalla penna di Hervé Juvin. Oggi ideologo del Rassemblement National e consigliere di Le Pen dal 2016 (“è un uomo che ha una vera visione, che sa dove va” ha detto recentemente di lui Marine), prima di approdare alla politica era uomo d’affari e saggista.

Del 2013 l’opera che più ha lasciato il segno sull’estrema destra francese, La Grande séparation. Pour une écologie des civilisations. Pagine dove il grande paravento culturale fatica tantissimo a nascondere le sue radici, non ripudiate, biologiche e razziste. La grande separazione è quella, etnonazionalista, auspicata tra le diverse culture in nome della salvaguardia della biodiversità (estesa ai sistemi umani). Una separazione da realizzare rafforzando i confini e tenendo fuori le “specie invasive”, cioè gli immigrati qualificati come “saccheggiatori”. Contro cui l’ambientalismo patriottico si deve battere.

Crediti foto: Rassemblement national

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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