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Un calendario sovietico del 1930

Settimana di cinque giorni per la produzione e contro la religione: un flop nell’Urss di Stalin

Aumentare la produzione e sminuire la religione: così nel 1929 Stalin avalla il “calendario sovietico”, un esperimento accantonato nel 1940

Febbraio, da sempre il mese più corto dell’anno, nell’Unione sovietica di Stalin ha rischiato di diventare un mese lungo come tutti gli altri. Portarlo a trenta giorni, al pari degli altri undici, è stata una delle proposte avanzate con l’adozione del “Calendario sovietico”, una ripartizione del tempo promossa nel 1929 per esigenze produttive e ideologiche, nello specifico antireligiose. La caratteristica principale di questo progetto fallimentare, accantonato nel 1940, erano le settimane prima di cinque e poi di sei giorni.

Esigenze produttive e propaganda contro la religione

Dopo la rivoluzione del 1917, la Russia rivoluziona anche il proprio calendario: nel 1918 passa da quello gregoriano a quello giuliano, allineandosi così al resto d’Europa. Nel 1929 invece i sovietici decidono di adattare il calendario alle proprie esigenze: via la domenica giorno di riposo legato alla religione, si passa a una settimana di cinque giorni, uno dei quali di riposo, con l’obiettivo di aumentare la produttività.

Il via libera di Stalin

Questa riforma viene proposta dall’economista Jurij Larin al quinto congresso dei soviet con un riscontro pressoché nullo. In seguito arriva però la benedizione di Stalin. Ne venne fuori un’Unione sovietica che lavora a due velocità: uffici governativi, imprese commerciali e industrie sono sempre operativi con la settimana di cinque giorni, in uno dei quali il lavoratore si ferma a seconda del settore di impiego.

Problemi sociali e tecnici

Nonostante le stime ufficiali, ovviamente ottimistiche, in realtà le cose non vanno così bene se, già dopo un paio d’anni, diventano sei i giorni della settimana, che tra l’altro restano sette in alcuni settori come ad esempio nelle fattorie collettive. A non far decollare questa riforma ci sono innanzitutto fattori storici come l’abitudine al riposo domenicale, e sociali, visto che famiglie e gruppi di amici non godono dello stesso giorno libero. C’è poi una questione tecnica: la produzione continua aumenta guasti e usura dei macchinari, e la manutenzione è difficile negli stabilimenti che non fermano mai la produzione.

La riforma dei mesi bocciata

Sulla scia della riforma delle settimane, nel 1930 una commissione governativa propone un più radicale “calendario rivoluzionario sovietico”, simile a quello in vigore della Francia rivoluzionaria tra il 1793 e il 1805. L’idea è dividere l’anno in dodici mesi di trenta giorni, aggiungendo cinque festività nazionali (sei negli anni bisestili) che non fanno parte di nessun mese. Ma non se ne fa nulla. Anzi, nell’estate del 1940 la settimana tornano ad essere di sette giorni per tutti i lavoratori.

Febbraio lungo su Wikipedia

Che le settimane di lavoro non siano mai state raccolte in mesi di trenta giorni lo mostrano i calendari sovietici dell’epoca: qui durano sempre come in qualsiasi calendario gregoriano, compreso febbraio che ha sempre 28 giorni. Eppure diverse versioni di Wikipedia, tra cui quella italiana (consultata il 21 febbraio 2022, ndr), sulla scorta di alcune fonti danno per entrata in vigore la proposta dei trenta giorni per tutti nel 1930 e nel 1931, nonostante i documenti conservati per questi anni assegnino chiaramente 28 giorni a febbraio.

Chi è Andrea Rapino

Nato nel 1973 a Lanciano, in Abruzzo, dove vive e lavora come giornalista professionista, si è laureato in Storia a Bologna con una tesi sulla letteratura serba medievale, e ha frequentato la scuola di giornalismo dell'Università di Roma - Tor Vergata. Si occupa di cronaca, sport e cultura per diverse testate locali. Ha iniziato a scrivere per East Journal dal dicembre 2021.

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