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OSSEZIA DEL SUD: Cittadino georgiano condannato a dodici anni di carcere

11 luglio 2020. Due cittadini georgiani residenti in Ossezia del Sud si trovano in prossimità dell’antico castello di Sh’vilo. Improvvisamente, arriva la polizia, si sentono degli spari, Zaza Gakheladze è ferito ad una gamba e, da quel momento, l’uomo non farà ritorno a casa. Il cinque febbraio, la corte suprema della repubblica secessionista lo  ha condannato a 12 anni e sei mesi di reclusione, per avere messo a rischio la vita di un pubblico ufficiale e attraversato illegalmente il confine de facto. La sentenza ha sollevato numerose reazioni, tanto in Georgia quanto nella comunità internazionale.

Due versioni dei fatti 

Come spesso accade in queste situazioni, vi sono più versioni dei fatti tra loro significativamente contraddittorie. Stando alla ricostruzione russa, l’uomo, tendando la fuga, avrebbe sparato una decina di colpi in direzione degli agenti. Soltanto a quel punto, legittimata dal pericolo rappresentato dall’aggressione , la polizia locale avrebbe a propria volta aperto il fuoco.

Tuttavia, se si prendono in considerazione la testimonianza dei parenti e dell’uomo che si trovava con Gakheladze il giorno dell’arresto, molti aspetti di questa ricostruzione non tornano. In primis, infatti, la famiglia sostiene che l’uomo avesse lasciato a casa le proprie armi, “sotto chiave e al sicuro”, dunque non ci si spiega cosa questi potrebbe aver utilizzato per sparare agli agenti. Un punto di vista forse più importante, ma d’altro canto difficile da verificare è quello dell’amico che l’accompagnava. Questi, che, al momento dell’arresto, si trovava dalla parte opposta della fortezza, avrebbe dichiarato di aver sentito un solo colpo di arma da fuoco. Cosa significa? In questo caso, l’unico colpo sparato non potrebbe che essere quello diretto dalla polizia contro Gakheladze, che, a tutti gli effetti, risulta ferito. Se ciò che l’uomo afferma corrisponde al vero, Gakheladze risulterebbe immediatamente scagionato.

Non un caso isolato

Purtroppo, la detenzione illegale di cittadini georgiani in Ossezia del Sud non è un evenienza rara. A partire dal 2008, sistima che ogni anno tra gli 80 e i 140 georgiani siano stati illegittimamente fermati in Ossezia del Sud. Nella maggior parte dei casi i cittadini vengono rilasciati dietro pagamento di una multa che ammonta a circa 2000 lari (500 euro), ma non sono mancati episodi dal tragico epilogo. Particolare risonanza aveva avuto la storia di Archil Tatunashvili, un ex soldato georgiano arrestato nel 2018 a Tskhinvali con l’accusa di avere deliberatamente ucciso due civili durante la guerra del 2008. Il giorno successivo all’arresto, le autorità di Tskhinvali notificavano la morte dell’uomo,  dovuta ad una “misteriosa” caduta dalla scale. Solo successivamente, fu dimostrato che la sua morte era stata causata dalle violente torture subite in carcere e che l’uomo non poteva aver avuto alcun ruolo nella guerra del 2008, poiché all’epoca si trovava di stanza Iraq.

Per fare luce sulla controversia: cosa sono le detenzioni illegali?

Accade abbastanza spesso che dei cittadini georgiani siano detenuti illegalmente a Tkhinvali. Ma cosa significa? Dal 2008, il confine de facto tra Georgia e Ossezia del Sud è quasi completamente chiuso. A fare le spese di questa situazione sono innanzitutto i civili georgiani che abitano in zone occupate: infatti, non solo si ritrovano isolati dal mondo, ma molti di loro sono anche di fatto costretti a superare il confine illegalmente, anche solo per recarsi a Tbilisi a riscuotere le proprie pensioni.

Così, quando colti sul fatto, questi cittadini vengono arrestati per la violazione di un confine che non possono rispettare e rilasciati solo in seguito al pagamento di una discreta somma di denaro.

Ma le detenzioni e gli arresti non si fermano al confine de facto tra Georgia e Ossezia del Sud. Nel 2018, una donna venne prelevata da militari russi nella sua casa vicino a Gori e deportata a Tskhinvali con l’accusa di aiutare cittadini georgiani ad attraversare illegalmente il confine.

Il contesto internazionale 

Sebbene gran parte della comunità internazionale abbia condannato la detenzione di Gakheladze, in questo momento gli strumenti di risoluzione della crisi sembrano del tutto insufficienti: le Discussioni Internazionali di Ginevra – un summit istituito da OSCE, Nazioni Unite e Unione Europea in seguito alla guerra del 2008 per prevenire l’uso della forza – sono da anni arenate in un nulla di fatto. Al tempo stesso, il Meccanismo di Prevenzione degli Incidenti – uno format istituito all’interno delle Discussioni Internazionali di Ginevra per risolvere problemi specifici come la detenzione di cittadini georgiani – è stato abbandonato dalle autorità di Tskhinvali nel 2019, in segno di protesta contro l’istituzione da parte di Tbilisi di una stazione di polizia a ridosso della linea di occupazione.

Tbilisi afferma di “contare sul sostegno dei propri partner internazionali”, purtroppo , però, è difficile immaginare questi possano svolgere un ruolo di mediazione, considerato lo stato di grande tensione in cui versano le relazioni tra Russia e Occidente in seguito all’arresto di Aleksej Navalny e all’elezione di Joe Biden a Washington.

La sorte dell’uomo

Al momento, è difficile immaginare che il governo georgiano possa ottenere il rilascio di Zaza Gakheladze nel breve termine. Mentre Tbilisi si trova nel pieno di una crisi politica, il Cremlino deve gestire il teso clima politico delle ultime settimane e il de facto governo di Tskhinvali non sembra affatto intenzionato a distendere le relazioni con la Georgia, il caso Gakheladze rischia di non incontrare l’attenzione che richiederebbe.

Immagine: ekhokavkaza

Chi è Eugenia Fabbri

Nata e cresciuta a Bologna, si è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Bologna e frequenta ora il primo anno del corso di laurea magistrale MIREES (Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe), presso la stessa università. Ha vissuto per sei mesi in Georgia, dove ha frequentato alcuni corsi dell'Università Statale di Tbilisi, appassionandosi alle dinamiche politiche del Caucaso Meridionale.

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