Il 24 agosto scorso la Turchia ha valicato il confine siriano per la prima volta dall’inizio del conflitto, dando luogo ad una grande svolta nel panorama delle alleanze sulla guerra in Siria. Jarablus è stata liberata dalla morsa dell’Isis nel giro di poche ore, senza che ci fosse neppure bisogno di arrivare ad uno scontro tra soldati turchi e militanti del Califfato.
Le unità speciali si sono addentrate nella città a ridosso del fiume Eufrate e del confine turco-siriano con il sostegno di circa 5.000 ribelli siriani e dell’aviazione statunitense, dichiarando che “lo scopo dell’intervento consiste nel proteggere i confini e nel mantenere l’integrità dello stato siriano con la coalizione Usa anti Isis“.
Perchè entrare nella guerra in Siria?
Jarablus è rimasta sotto il controllo dell’Isis per più di due anni senza che vi fossero interventi armati significativi. La tempistica dell’intervento turco dunque non è casuale e risponde ad esigenze concrete. La volontà di esercitare maggior influenza nel ‘pantano siriano’ è infatti frutto di diversi cambiamenti interni e di considerazioni del presidente Erdogan. Da una parte, uscire dall’isolamento nel quale la Turchia versa da tempo è priorità del presidente fin dalle dimissioni del primo ministro Davutoglu. Sono stati riallacciati i rapporti con Tel Aviv e con Mosca, e più recentemente si è intrapreso un riavvicinamento all’Iran. Dall’altra, il colpo di stato del 15 luglio ha consentito alla Turchia di recuperare margine negoziale con gli Usa, accusati da Ankara di proteggere ‘il golpista Gülen’. Come anche la Russia di Putin, Washington aveva a lungo ostacolato un eventuale ingresso turco nella guerra in Siria. La visita di Joe Biden ad Ankara nei giorni dell’operazione e l’implicito assenso concesso alla manovra hanno posto le condizioni necessarie per entrare a Jarablus.
La questione curda
La questione curda rimane la più grande preoccupazione del presidente Erdogan. La crescente popolarità dei curdi a livello globale e i successi ottenuti in battaglia hanno contribuito a rendere sempre più concreta l’eventualità di un’autonomia curda. Il controllo della zona tra Azaz e Jarablus consentirebbe al Pyd (il principale partito curdo-siriano) e alle Ypg (le unità di difesa popolari del Pyd) di collegare i cantoni di Efrin e Kobane, coronando il ‘sogno’ Rojava. La possibilità che nel nord della Siria si realizzi una zona simile a quella del governo regionale del Kurdistan dei Barzani in Iraq (Krg) rappresenta il peggior incubo per Erdogan, che considera Pyd e Ypg una cosa sola con l’acerrimo nemico Pkk.
Non a caso l’operazione è stata lanciata poco dopo la conquista curda di Manbij e poco prima che le Ypg raggiungessero Jarablus. Il 18 agosto scorso inoltre, Damasco lanciava un sottile messaggio ad Ankara: bombardando le posizioni delle Ypg ad Hasakah, i soldati di Assad rompevano un tacito accordo di non – aggressione tra Damasco e le Ypg, che da tempo gestivano la regione.
L’improvviso attacco ad Hasakah e l’operazione a Jarablus gettano le basi per una potenziale intesa Assad- Erdogan in chiave anti-curda, dove le aspirazioni nazionali della minoranza rappresentano una minaccia per entrambi. Le probabilità che Ankara modifichi le proprie posizioni rispetto alla Siria diventano sempre più tangibili, come fanno pensare recenti dichiarazioni del premier Yildirim. Ambigua la posizione Usa, fino a poco fa grande sponsor dei curdi nella proxy war siriana e ora di fronte ad una Turchia sempre più forte. L’intimazione americana al Pyd di spostarsi ad est del fiume Eufrate è un’ulteriore espressione di questo quadro: far la pace con Ankara, anche se a discapito degli (ex?) alleati curdi, sembra essere diventata priorità del governo Usa.