Autoritarismo vs democrazia. Il caso dello spazio post-sovietico

Sono passati più di 25 anni dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, ma la tanto attesa ventata di democrazia che, secondo molti politologi ed esperti, negli anni ‘90 avrebbe dovuto travolgere le nuove repubbliche indipendenti sembra essersi definitivamente trasformata in bonaccia dell’autoritarismo. A parte le tre repubbliche baltiche, saldamente ancorate al modello democratico europeo, le altre dodici ex repubbliche sovietiche appaiono sufficientemente lontane da tali standard. Ad esempio, basandoci sulla classificazione annuale di Freedom House, che misura i diritti politici e le libertà civili nei singoli paesi, ci si rende conto che nessuno dei dodici stati post-sovietici è attualmente classificato come ‘libero’. Solo Ucraina, Georgia, Moldavia e, in misura parziale, il Kirghizistan sono definiti ‘parzialmente liberi’. Come spiegare questa tendenza che sembra coinvolgere tutto lo spazio post-sovietico?

Democrazia in Eurasia

A restituire un quadro ancora più complesso dell’andamento democratico della regione è un’analisi aggregata dei punteggi dei singoli stati in una prospettiva temporale di lungo-medio periodo (grafico). Guardando alla trasformazione dell’Eurasia (escluse le tre rep. Baltiche) dal 1991 ad oggi, saltano all’occhio almeno due elementi interessanti. Il primo riguarda il peggioramento generale del livello democratico della regione, anche se tale avvicinamento al modello autoritario è meno netto di quanto si è soliti percepire. Si tratta in media di un peggioramento di 1 punto (da 4,7 a 5,5) nella scala tra 1 e 7 adottata da Freedom House, dove 1 corrisponde a condizioni di maggiore libertà. Il secondo elemento degno di nota è l’andamento. Il lento avvicinamento all’autoritarismo non è, infatti, caratterizzato da un andamento costante bensì da una serie di oscillazioni tra momenti di maggiore apertura e libertà ai quali fanno da contrappeso quelli caratterizzati da una più marcata chiusura. Anche se a livello regionale si possono individuare due gruppi di paesi, quelli maggiormente liberi e quelli più autoritari, l’oscillazione periodica appare una caratteristica comune a entrambi. La domanda centrale è proprio qui. Come spiegare la tendenza oscillatoria tra democrazia e autoritarismo che accumuna tutti gli stati della regione?

grafico diritti politici

Quali le cause?

Sulla mancata democratizzazione dello spazio post-sovietico si sono avanzate negli anni numerose spiegazioni di diverso genere. In molti, ad esempio, hanno puntato il dito sugli effetti pervasivi della passata esperienza sovietica, pur senza trovare un minimo comune denominatore ampiamente accettato colpevole di aver determinato il fallimento della transizione post-comunista.  Altri si sono basati su spiegazioni di carattere economico focalizzando la loro attenzione sui singoli stati. Se, ad esempio, l’idea che i ‘rentier states’ (stati che basano il loro sistema economico su rendita proveniente dalla vendita delle risorse naturali) siano più propensi ad instaurare un regime autoritario può essere applicata al caso della Russia, del Kazakistan e del Turkmenistan, essa dice poco sui motivi che hanno portato la Bielorussia e il Tagikistan ad incarnare i regimi più autoritari dell’Eurasia. Se la spiegazione risiede nell’arretratezza economica della regione, infine, perché la crescita dell’ultimo decennio è andata in parallelo con l’aumento delle tendenze autoritarie?

Infine, pur prendendo per buona l’idea che punta alle responsabilità del principale ‘esportatore d’autoritarismo’ a livello regionale, la Russia di Putin, come spiegare le tendenze autoritarie in molti paesi emerse già durante gli anni ’90? E come spiegare la costante oscillazione di paesi come Ucraina e Georgia nonostante il fallimento del Cremlino, sostanziato con le famose rivoluzioni colorate, di imporre i leader ad esso più congeniali?

Clientelismo – un problema sistemico

Ad offrire un’interessante spiegazione delle difficoltà che la democrazia ha incontrato nell’imporsi in Eurasia è stato di recente Henry E. Hale, professore di Scienze Politiche alla George Washington University. Pur non negando il ruolo di fattori economici e politici tipici dei singoli stati, nel suo libro ‘Patronal Politics: Eurasian Regime Dynamics in Comparative Perspective’ (New York, Cambridge University Press, 2015) Hale identifica nella particolare combinazione tra il clientelismo e il presidenzialismo il principale ostacolo allo sviluppo democratico in Eurasia.

La particolare forma di clientelismo, che l’autore definisce con un neologismo (patronalism), affonda le sue radici ben prima dell’avvento del comunismo, costituendo di conseguenza “il modello di vita dominante” nella regione. In un sistema dove “gli individui organizzano la loro attività politica ed economica principalmente attorno allo scambio personalizzato di ricompense e punizioni”, i legami personali finiscono per contare molto più di aspetti ideologici generalizzabili ed inclusivi. La politica si trasforma in una vera e propria “lotta tra reti estese di conoscenti personali e gruppi” dove le istituzioni formali, come i partiti, giocano solo un ruolo accessorio.

Coordinamento tra reti clientelari

Attraverso il concetto di clientelismo l’autore tenta di spiegare le oscillazioni tra apertura e chiusura dei regimi che caratterizza tutte le repubbliche euroasiatiche. Quando i network clientelari falliscono nel coordinare la loro attività politica intorno ad una singola figura, una certa forma di pluralismo tende ad emergere anche nei paesi maggiormente autoritari. Il caso ucraino potrebbe essere un interessante esempio. Il periodo in cui l’Ucraina fu catalogata come ‘paese libero’ da Freedom House (tra il 2005 e 2010, unico paese della regione) corrisponde, ad esempio, al momento più acceso della lotta per il potere tra tre gruppi equivalenti e ben distinti che fallirono nel coordinare i loro interessi nel momento della successione al presidente uscente. La rivalità tra i network di Yushenko, Yanukovich e Tymoshenko caratterizzò infatti tutto il quinquennio 2005-2010.

Le rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico, secondo Hale, rappresentano una conseguenza estrema del mancato coordinamento tra questi network estesi che offre spazio ad un maggiore pluralismo politico, preservando però un carattere temporaneo. Il pendolo continuerà la sua oscillazione verso un sistema maggiormente democratico fintantoché i principali gruppi di potere non saranno di nuovo in grado di trovare una sintesi tra i loro interessi discordanti. Questo sembra essere stato il destino della Rivoluzione Arancione in Ucraina e di quella delle Rose in Georgia. Ci si domanda ora se questo potrebbe essere anche il destino dell’Ucraina post-Maidan.

Presidenzialismo

A giocare un ruolo cruciale nei sistemi clientelari è, infine, l’assetto istituzionale fortemente presidenzialista tipico della regione. Secondo lo studioso americano, i sistemi presidenziali post-sovietici, eredità dei tentativi riformisti di Gorbaciov, facilitano il coordinamento e la sintesi degli interessi dei vari network intorno ad una singola figura. Il gruppo che ‘controlla’ la presidenza avrà così un significativo vantaggio di potere nel cooptare, coordinare o reprimere gli altri gruppi. I momenti d’instabilità possono emergere nei momenti di transizione presidenziale, quando la lotta per il potere può aprire lo spazio ad un maggiore pluralismo. Questo generalmente avviene, però, solo per il lasso di tempo necessario a trovare una nuova sintesi intorno al nuovo presidente.

Viste da questa prospettiva, non è forse un caso che le maggiori oscillazioni verso l’autoritarismo si siano verificate a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000, quando l’assoluta maggioranza delle repubbliche post-sovietiche avevano un assetto costituzionale fortemente presidenzialista (tutte tranne la Moldavia). E non è forse nemmeno un caso che gli stati che appaiono oggi meno autoritari, pur mantenendo un sistema clientelare e fortemente corrotto, sono quelli che hanno adottato nel corso degli ultimi anni Costituzioni non presidenzialiste, come l’Ucraina (nel 2004-2010 e dal 2014), la Georgia e il Kirghizistan.

Pur tenendo in considerazione numerosi altri fattori come il ruolo della società civile e quello del sistema economico dei singoli stati, attraverso la complessa analisi dell’interazione tra clientelismo e sistema costituzionale i regimi autoritari dello spazio post-sovietico ci appaiono probabilmente ben più radicati e meno imprevedibili. La tanto attesa ventata, al posto della democrazia potrebbe aver portato solo nuvole grigie sugli orizzonti della regione.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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