RUSSIA: “Non sono abbastanza patriottico, non ero al sicuro” la vicenda di A. Babcenko

di Maria Baldovin, Martina Napolitano ed Emmanuele Quarta

Un post su Facebook, in cui si rifiutava di esprimere cordoglio per la caduta dell’ aereo militare russo che trasportava il coro dell’Armata Rossa e alcuni giornalisti verso la Siria. Era il 25 dicembre 2016 e Arkadij Babčenko, giornalista noto per i suoi resoconti dalla Cecenia e per il suo attivismo politico, reagiva controcorrente alla scomparsa dei 92 passeggeri. Un post sicuramente tagliente ed eloquente, quello di Babčenko, che non si aspettava che la macchina del fango lo colpisse nuovamente in modo così violento. “Mancanza di patriottismo” è solo una delle accuse rivolte a Babčenko e ad altri che, come lui, sono usciti dal coro e ancora una volta hanno espresso il loro sdegno per l’attuale situazione politica del paese e per le vicende internazionali in cui è coinvolto. C’è chi, come il deputato della Duma Vitalij Milonov, ha suggerito una soluzione dalle reminiscenze sovietiche: la privazione della cittadinanza e l’espulsione dal paese.

Tutto questo ha messo in moto una campagna mediatica particolarmente cruda e violenta, secondo le parole di Babčenko, per il quale non si trattava di certo del primo attacco subito. Petizioni, giochi online che incitano alla violenza nei suoi confronti e la posizione numero 10 nella top 100 dei russofobi, la lista stilata dal canale TV ortodosso Tsargrad. “Ho combattuto due volte per il mio Paese” ha commentato amaramente Babčenko, che in questa Russia non si sentiva più al sicuro e ha deciso di lasciare Mosca per Praga. Un auto-esilio, dunque, di cui possono gioire coloro che volevano la sua espulsione. In un Paese che educa i suoi cittadini a un insano patriottismo fin da piccoli – e la recente costruzione di una miniatura del Reichstag tedesco, costruita affinché possa essere assaltata dai bambini, ne è un esempio lampante – non c’è spazio per chi la pensa diversamente, non c’è spazio per chi non è abbastanza patriottico.

Riportiamo la traduzione in italiano del post di Facebook in questione, pubblicato dal giornalista il 25 dicembre 2016:

“C’è forse in me una qualche sorta di compassione per la morte di ottanta dipendenti statali del ministero della difesa di uno pseudoimpero uscito di testa, che hanno allestito nel vicino paese, una volta alleato, un’altra battaglia di Stalingrado e un altro assedio di Kursk con migliaia di morti e che sono volati ora in Siria a cantare e danzare a comando per i piloti, per sollevare loro l’animo bellico, perché  bombardino meglio, e compassione per la morte di 9 dipendenti delle agenzie di propaganda di massa – anzi dei suoi maggiori esponenti, di “Pervyj kanal” e “Zvezda” – che assemblano storie di fascismo, di juntas dittatoriali, di crocifissioni di bambini, di migliaia di persone ingaggiate in una guerra come quella in Ucraina, così come nella stessa Siria, che hanno giustificato l’arresto di miei amici, che hanno mentito sul fatto che un mio amico viene torturato nella colonia penitenziaria di Segeža (si riferisce a Il’dar Dadin, NdT) che hanno incitato a massacrare me e i miei amici, che hanno gettato tonnellate di merda sulle persone a me vicine e che più di una volta hanno messo la loro vita in pericolo, che hanno promosso campagne contro gli immigrati, contro i georgiani, contro gli ucraini, anti-liberali, pedofile e altre ancora, che hanno portato agli omicidi di dissidenti e di ttutti coloro che reputano diversi in città russe pacifiche – a centinaia, se non migliaia – e che hanno portato in prima fila un nuovo mondo orwelliano, la dittatura e il gulag ….
Domanda retorica.
No. Non provo compassione, né dispiacere. Non esprimo condoglianze a parenti e persone vicine. Come non lo ha fatto nessuno di loro. Continuando a cantare e a danzare a supporto del potere o comunque a versare merda dagli schermi del televisore anche dopo la morte. Il sentimento in me è uno solo – me ne infischio. Non mi sono opposto io a questo stato e ai suoi asserviti. Sono stati lo stato e i suoi asserviti a contrapporre me a loro. Sono stato identificato come nemico e traditore della patria. Per questo, me ne infischio altamente.
Benché, d’altronde, in me non ci sia nemmeno soddisfazione per le disgrazie altrui, né gioia.
Nella mia testa c’è solo un pensiero razionale: alla televisione, a questa forza viva che rende zombie e che ha innescato il meccanismo degli arresti e omicidi dei miei amici e colleghi, ora mancano 9 persone all’appello.
No regrets. They don’t work.
E’ tutto.

PS: e sì, per la 25ma volta, la cosa più interessante è che questo discorso è possibile solo in Russia. In tutti i paesi che le stanno attorno – soprattutto in Ucraina e ora, in parte, in Siria – tutti questi discorsi sulla “terribile catastrofe”, del tipo che “erano solo cantanti e ballerini”, che “nessuno di loro è colpevole di nulla”, che “è inaccettabile” ed altra eccessiva tolleranza, non li possono capire. Non possono e basta. No, la gente non discuterà, assolutamente. Semplicemente alzerà le spalle e si farà da parte. Senza capire perché state dicendo loro che bisogna esprimere le condoglianze a un trasporto militare di forze armate di un paese che con queste stesse forze armate uccide i suoi stessi cittadini. Dove i cimiteri crescono, in questo momento, a perdita d’occhio. Ecco non riuscirete a spiegare a nessuno che un servitore statale del ministero della difesa di un esercito d’occupazione, volato a fare un concerto in una Aleppo bombardata fino a ieri, beh semplicemente ha un lavoro così, cosa poteva farci, è un uomo sottomesso, gliel’hanno ordinato ed è partito, in fondo non è colpevole. Ecco, non riuscirete a spiegarlo e basta. Smetteranno semplicemente di parlare con voi. Per questo motivo, questa riflessione è possibile solo in Russia. Per tutti gli altri, queste persone sono, come minimo, complici di criminali. Tutto qui. La cosa migliore, effettivamente, è definire fin da subito chi siano loro per te. Da quale parte stai tu.”

Chi è Maria Baldovin

Nata a Ivrea (TO) nel 1991, laureata in lingue e in studi sull’Est Europa. Per East Journal ha scritto prevalentemente di Russia, politiche di memoria e questioni di genere. È stata co-autrice del programma radiofonico "Kiosk" di Radio Beckwith

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