SERBIA: L’onda dei profughi siriani raggiunge Belgrado

Non si arresta il flusso migratorio di coloro che scappano dalla Siria e dall’ISIS. La rotta balcanica è diventata, negli ultimi mesi, una delle vie più battute per coloro che desiderano raggiungere l’Ungheria e quindi proseguire per la Germania o la regione scandinava. Belgrado è una tappa necessaria di questo viaggio della disperazione.

L’ondata inarrestabile dei profughi che da ormai due anni occupa la quotidianità nei giornali e televisioni europee non ha risparmiato la regione balcanica. Nelle ultime settimane, infatti, sta crescendo esponenzialmente il numero di migranti e richiedenti asilo alle porte d’Europa in quella che è ormai una rotta consolidata – la rotta balcanica.

Così come le acque del mediterraneo e i porti italiani rappresentano una porta verso l’Europa per coloro che scappano prevalentemente dalla guerra civile libica piuttosto che dalla fame e dalle persecuzioni dal corno d’Africa e Africa subsahariana, i Balcani rappresentano la via più veloce per i profughi in fuga dalla Siria, martoriata da 4 anni di guerra civile e aggravata dalle persecuzioni e azioni militari dell’ISIS.

I numeri del governo macedone parlano di 41.414 persone che hanno attraversato il piccolo paese tra la Grecia e la Serbia, tra il 22 giugno e il 22 agosto. I tre quarti di questi, 33.461, sono profughi siriani. Un flusso di circa 600 persone al giorno che nelle ultime settimane è aumentato fino a 4.000. Intere famiglie con donne e bambini, che dopo essere sbarcati nei porti greci o aver attraversato la Turchia hanno proseguito la propria marcia verso nord, in Macedonia, dove in un primo momento hanno incontrato la brutalità della polizia di confine, nella città di Gevgelija, per poi avere finalmente raggiunto il confine serbo, nella zona di Preševo.

Per i profughi la Serbia, così come la Macedonia, rappresenta un passaggio obbligato, sicuramente il più veloce, per raggiungere l’Ungheria, il paese più vicino dell’area Schengen, e avere quindi una più facile mobilità per raggiungere paesi come Austria e Germania – la quale ha deciso di sospendere le norme di Dublino-2 per i profughi siriani, i quali vi potranno fare domanda d’asilo senza dover tornare in Ungheria.

Solo negli ultimi giorni sono oltre 7.000 i migranti che hanno raggiunto la Serbia dopo essere stati trattenuti al confine tra Grecia e Macedonia. Da qui, l’UNHCR ha messo a disposizione degli autobus, oltre che aiuti di prima necessità, per raggiungere Belgrado e la Vojvodina, la regione settentrionale serba al confine con l’Ungheria.

La Serbia, a differenza della Macedonia e dell’Ungheria, ha aperto i propri confini, garantendo permessi di 72 ore, estendibili, per attraversare il paese. Inoltre, sono già stati allestiti quattro centri di accoglienza – Preševo e Miratovac al confine con la Macedonia; Kanjiža e Subotica al confine con l’Ungheria – mentre un quinto centro è in fase di allestimento a Belgrado.

La risposta del governo serbo è stata quindi veloce e di grande solidarietà nel far fronte a quella che si può definire un’emergenza umanitaria senza precedenti. Da diverse settimane moltissimi parchi e spazi verdi della capitale serba si sono trasformati in campi improvvisati che fungono da rifugio contro l’arsura estiva e c’è chi ha dato dimostrazione di grande solidarietà fornendo aiuto, indicazioni, se non addirittura la propria casa a interi nuclei famigliari.

Il premier serbo, Aleksandar Vučić, ha criticato la scelta del governo ungherese guidato da Viktor Orban di erigere un muro lungo i 175 km che separano Serbia e Ungheria. Quest’ultima ha infatti deciso di rafforzare i controlli di frontiera spedendo un contingente di oltre 2 mila poliziotti lungo il confine, con lo scopo di “arginare l’invasione”, come ha commentato un portavoce del governo di Budapest. Tuttavia, la crisi è destinata ad aggravarsi sia perché il numero di migranti non può che crescere, sia perché l’estate sta finendo e si teme che senza una soluzione definitiva in molti possano ritrovarsi ad affrontare l’inverno senza avere un riparo.

Mentre il numero di migranti che intraprendono la rotta balcanica sembra destinato ad aumentare, è più che mai necessaria un’azione congiunta ed efficace dei paesi della regione per rispondere a questa crisi umanitaria prima che inizi l’inverno. D’altro canto, non sembra verosimile che coloro che scappano da guerra e persecuzioni lasciando tutto dietro di sé si lascino intimorire dal freddo né tanto meno da un filo spinato. L’ondata dei profughi, con il consolidamento della rotta balcanica, non fa che confermare il carattere “europeo” di questa crisi, per la quale servono una presa di coscienza e una responsabilizzazione collettiva di tutti i paesi membri dell’Unione Europea.

Foto: Gul Tuysuz, twitter

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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