Dane Komljen, regista serbo trapiantato a Berlino, ha presentato The Garden Cadences in concorso al Cinema du Réel. Lo abbiamo intervistato direttamente al festival.

CINEMA: intervista a Dane Komljen, regista di The Garden Cadences

Dane Komljen, regista serbo trapiantato a Berlino, ha presentato The Garden Cadences in concorso al Cinema du Réel. Lo abbiamo intervistato direttamente al festival.

Cosa la ha attratto al tema del film ed al gruppo dei Mollies?

Ci sono stati due elementi: il primo, un articolo che ho letto su di loro, quando non era chiaro cosa sarebbe successo a loro ed alla proprietà, ed era anche un momento in cui c’era una sorta di volontà politica nel preservare il posto. Li ho contattati perché volevo fare un progetto con loro, ci hanno messo un po’ di tempo a decidere a riguardo ma una volta che hanno accettato è stato facile. Quindi, l’articolo ha suscitato il mio interesse, ma l’altra cosa era che forse mi piaceva l’idea del poliamore che promuovevano. Mi incuriosiva. Si tratta anche di cercare di documentare ed esplorare il modo in cui le persone praticano l’amore. Direi nel presente, ma per me il presente è nel contesto di Berlino.

Mi è parso che il film abbia cambiato direzione rispetto all’idea iniziale, è così?

Non’cera un’idea iniziale, è questo il fatto. Quando mi sono avvicinato a loro, c’era solo il desiderio di fare un film con loro. Per me era chiaro che non potevo avviarmi a questo film con un’idea con la quale cercare di far combaciare loro. Era necessario invece che il film fosse fatto in collaborazione con loro. Dovevano venire loro da me a dirmi come volevano essere rappresentati, se volevano che un dialogo venisse registrato. Non penso che quindi sia una rappresentazione quanto la creazione di un’esperienza condivisa, in modo tale che coloro che sono finiti per essere nel film si sentino a loro agio.

Nel film, alla fine, vediamo poco delle Mollies. È stata una scelta consapevole, o era dettato dalla mancanza di materiale?

C’era materiale che non ho usato. Il gruppo si è separato alla fine del film e penso che il trasferimento fosse una delle ragioni, c’erano due fazioni che volevano gestire il trasferimento in modi diversi. E quindi, dopo lo sfratto, il gruppo si è semplicemente sciolto. Mentre facevo il film, avevo in mente di forse continuare le riprese nel luogo in cui si sarebbero trasferiti e mostrare la differenze tra la vecchia e nuova situazione, forse con qualche elemento quasi fantastico, finzionale. Ma questo non è stato possibile. Quindi alla fine il film è diventato quello che ho visto io, solo la metà del film che volevo fare. Ho dovuto prendere la decisione di usare solo il materiale che avevo per non forzarli, e nel lavorare con quello che avevo mi sono reso conto che molte delle scene in cui li vediamo tutti insieme non funzionavano. Per cui non li mostro mai insieme nel film.

Dato che ha menzionato l’idea che volesse includere elementi fantastici-finzionali, mi chiedo se le scene quasi astratte con i fiori seconda metà del film rientravano in questo progetto.

Quelle scene hanno a che fare con l’idea del “tocco” con la macchina da presa, avvicinarsi ai fiori fino a sfiorarli, e non molto altro. Il risultato è come l’hai descritto, astratto, ma io non avevo un’idea di come doveva essere percepito. Per me aveva a che fare con l’idea di toccare, tastare, e vedere cosa ne emergeva. Penso che sia qualcosa con cui ho a che fare da alcuni anni, e penso che sia nel posto giusto in questo film.

In una delle poche scene in cui vediamo i membri del collettivo, una ragazza Bulgara racconta le proprie inquietudini, la propria situazione sociale nel contesto della città. Qual è l’importanza di questa scena nel film?

Penso si possa dire di tutte le città, ma ho avuto la sensazione che Berlino sia una città in cui si passa attraverso, come una stazione. Penso che i  Mollies stesse rappresentino la situazione in questo modo, forse per questo volevo presentare lingue diverse all’interno del film, e ritengo che sia questo ad attrarre nella città, la sensazione che sia un mondo a sé stante, che è un po’ difficile per me da vedere a questo punto. Prima pensavo che non avrei mai lasciato Berlino. Ora non ne sono più sicuro, per la situazione politica, ma anche perché mi sto chiedendo se sia davvero il posto adatto a me. Non penso di essere il solo che viene da fuori che se lo chiede.

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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