East Journal, una bottega digitale

East Journal nasce nella notte del 15 marzo 2010, in una gelida mansarda torinese dove il vino era cattivo e i soldi sempre pochi. Nasce per gioco, per fede, per anarchia, con qualche idea che prendeva coraggio: libertà d’informazione è poter dire tutto, senza autocensure né pregiudizi politici o ideologici. Pluralismo è contraddizione all’interno di un solo giornale, non tanti giornali monolitici e sordi l’un l’altro. Linea editoriale è curva e spirale, andare al centro delle cose, deviare dall’opinione comune, motivando e contestualizzando sempre. Onestà è ancoraggio ai fatti, esplicitazione delle fonti, rigore intellettuale. Sincerità è rapporto con il lettore, a cui nulla va nascosto, e chiara esibizione dell’opinione. Curiosità è ragione del mestiere.

Nel giugno 2011 la testata viene registrata in tribunale entrando a pieno titolo, anche se a piccoli passi, nel mondo del giornalismo professionale. Fin da subito emerge l’urgenza di andare oltre agli stereotipi, consapevoli che Est, in Europa, non è soltanto un punto cardinale. Per buona parte del Novecento l’Europa si è trovata al suo interno divisa, la politica della Guerra Fredda ha costretto il continente a vivere una separazione che si è fatta sempre più radicale nel procedere del secolo. Una dicotomia che ha contribuito a creare al di qua del Muro l’idea di una alterità dell’Est, come se quest’ultimo non fosse parte del continente, protagonista della stessa storia, erede della stessa cultura. La presunta alterità dell’Est si spiega con la distanza che la cortina di ferro ha messo tra le due parti, tanto vicine geograficamente quanto lontane politicamente, ma deriva altresì dalla perversa teoria dell’alterità slava, che fu caro al nazismo e che ancora oggi agisce sottotraccia e fa percepire lo slavo come “diverso”. L’orientalismo, diffuso nelle società occidentali, ha poi gravato l’est europeo e il vicino oriente di stereotipi duri a morire e inutili, anzi d’inciampo, per capire quella parte di mondo. Quando infine l’oriente è migrato in occidente, l’intolleranza ha costruito nuovi muri: albanesi, romeni, rom e sinti, ma anche – e soprattutto – le genti del Mediterraneo, sono diventate oggetto di rifiuto e discriminazione. Andare oltre quel Muro, caduto ma ancora presente nella mentalità europea, è presto diventato un imperativo per tutta la redazione.

L’Europa orientale presenta una differenziazione notevole in una contiguità /continuità che allo stesso tempo accomuna e divide le comunità e le culture. Un’area dunque composita e ricca di contraddizioni, mossa da forze al contempo centrifughe e centripete nei confronti della vicina potenza russa. Un laboratorio per l’Europa Unita nei confronti della quale i membri orientali hanno un atteggiamento polivalente. E parliamo di Europa orientale in senso lato, onnicomprensivo, a solo scopo di semplificazione e rifacendoci a categorie geopolitiche del Novecento che forse andrebbero riviste. L’Europa di cui parliamo è balcanica, mediterranea ma anche quella “mitteleuropa” cara a Ripellino, e quella russa fino a uscire dai confini europei, spaziando per le steppe dello spazio post-sovietico.

Est e Ovest in Europa non sono solo luoghi geografici ma luoghi dell’immaginario che occorre ridefinire: Praga, Cracovia, Budapest, Breslavia sono poste esattamente al centro del continente e ne rappresentano, in ogni senso, il cuore. Un cuore nuovo, eppure antico.

East Journal ha, fin dall’inizio, una vocazione artigianale. Nella sua bottega digitale si stampa un giornale che, per essere indipendente, si trova a dover rinunciare a forme di finanziamento e pubblicità. Senza editori, quindi senza padrone, paga con la miseria la propria libertà. L’attività di East Journal è, anche oggi, completamente volontaria. Non ci sono soldi per chi scrive, non se ne chiedono a chi legge. Finché sarà possibile questa è la nostra cifra. La redazione, che si è andata formando, è mossa dalla passione e dalla convinzione che, in una società gerontocratica e individualista, unirsi sia l’unica possibilità per cambiare. Il nostro spirito è di rottura, nel lettore cerchiamo un confronto, un insegnamento, e non una scimmietta da ammaestrare con verità rivelate in tasca.

East Journal non ha un “pensiero unico”. Ognuno dei redattori esprime il proprio punto di vista a commento di un fatto  creando (questo è l’intento) una pluralità che possa essere utile al lettore. E siccome le persone non sono lampadine che si accendono o spengono, ma complessi grovigli di valori, convinzioni, filosofie, sentimenti, ecco allora che il nostro modo di fare giornalismo non punta al monolitismo. Quindi sarà difficile etichettare la testata e i suoi redattori come di “destra” o di “sinistra”. Con questo non si vuole dire che siamo “apolitici”. Noi siamo politicissimi perché fare informazione, per noi, è curarsi della polis, è mettersi al servizio della polis. Senza ansie da prestazione però, senza l’assillo della velocità. Il nostro modo di essere “avanguardia” punta invece sulla lentezza: facciamo slow journalism. Invece di scrivere la prima castroneria che ci viene in mente, solo per bruciare gli altri sul tempo, preferiamo pensarci meglio, documentaci, riflettere, prima di pubblicare. La velocità innesca solo i processi di comunicazione. Ma l’informazione non è comunicazione.

East Journal è anche una costante ricerca d’identità, crisalide che sempre manca di farsi farfalla. Grazie  a una redazione composta da giornalisti e ricercatori, abbiamo sviluppato un modello di giornalismo che sia approfondimento oltre che notizia, views che si unisce alla news, sviluppando una sorta di scholar journalism, un ibrido tra il giornalismo tradizionale, legato all’attualità seppur influenzato dalla lezione del “giornalismo di precisione” (database journalism); e l’analisi accademica, capace di dare ai fatti una profondità che pure non rinuncia alla chiarezza. Tutto questo è East Journal, un luogo comune,

Un commento

  1. perchè le soffitte torinesi sono in gran voga in letteratura e in musica???
    dalla presentazione mi sembra di capire di essere dalle parti del socialismo primo 900.
    vergogna, il tavernello in Piemonte!!!!
    comunque il vostro giornale è molto interessante per una patita di ex socialismo e del Kasino balkanico.
    ciao e buon lavoro

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