Helmut Kohl e le cicatrici della riunificazione tedesca

Il 16 giugno, all’età di 87 anni, si è spento nella sua casa di Ludwigshafen Helmut Kohl. Per anni leader del partito di centro CDU (L’Unione Cristiano Democratica di Germania), Kohl è e verrà sempre ricordato come il cancelliere della riunificazione tedesca. E’ celebre la frase in cui descriveva i “paesaggi fioriti” che in poco tempo sarebbero comparsi nell’Est della Germania, a sostituirne il grigiore.

La metafora si riferiva alla situazione economica dell’ex repubblica socialista che, secondo Kohl, presto avrebbe raggiunto i livelli della metà occidentale del Paese. Non fu poi tutto rose e fiori, come è il caso di dire: la via della riunificazione fu lunga e, per molti, dolorosa. Ancora oggi, sebbene dal punto di vista economico ci sia stata una convergenza tra le due parti, le “cicatrici” nel processo di riunificazione sono rimaste. Fu Willy Brandt il primo a parlare di “cicatrici deturpanti” che sarebbero potute rimanere come segno di una riunificazione malriuscita. Brandt, infatti, viene ricordato per la frase “ora crescerà insieme ciò che è destinato a stare insieme”, frase di cui raramente si cita la versione intera, che poneva una condizione per una crescita senza ferite: “Solo con tatto e con il rispetto per l’autostima dei nostri compatrioti fin qui separati da noi”.

Le cicatrici temute da Brandt sono rimaste in buona parte della popolazione della zona orientale, mentre la percezione dell’unificazione tedesca e le sue conseguenze sono ancor oggi, dopo oltre 25 anni, oggetto di dibattito. Cosa ha comportato la presenza di questi segni e cosa ha reso il processo di unificazione imperfetto? Il discorso è più complesso di quanto si possa esprimere in poche righe, ma si può forse riassumere al meglio con ciò che il sociologo Helmut Wiesenthal ha denominato “insoddisfazione post-unificazione”, sindrome che colpì i tedeschi orientali.

La teoria di Wiesenthal fa luce su molti aspetti che hanno contribuito a creare insoddisfazione e ad allontanare ancora di più le due società, invece che avvicinarle: lo spietato programma di liberalizzazione dell’economia non è abbastanza per spiegare il malcontento degli Ossis (così venivano chiamati e, in parte, vengono chiamati i cittadini dell’est). I cittadini dell’ex-DDR furono sottoposti a un processo di occidentalizzazione in tutti gli aspetti della vita, a una velocità e un’intensità tali da traumatizzarne e deluderne molti. Non era questa la nuova Germania che i cittadini orientali si aspettavano, non erano questi il tatto e il rispetto che Willy Brandt aveva auspicato.

Il processo di unificazione spesso non fu altro che un’occidentalizzazione forzata, un tentativo di fare tabula rasa nella vita dei cittadini della DDR. Fu in questo modo che la cultura politica e l’identità della società tedesca orientale iniziarono a trasformarsi e a distanziarsi da quella dei compatrioti occidentali: non solo, dunque, un retaggio del regime socialista, ma una vera e propria risposta a ciò che molti avevano percepito come un’annessione, come un tentativo di colonizzazione.

Una parte della popolazione a oriente ritiene che la propria versione della storia non sia mai stata raccontata: la storia della riunificazione tedesca è quasi sempre narrata come una storia di successo e così viene percepita quasi unanimemente, soprattutto all’estero.
A questo proposito, dalla generazione dei ragazzi cresciuti a cavallo del 1989 stanno nascendo progetti volti a contrastare una visione spesso unidimensionale e “occidentalocentrica” del processo di unificazione. Un esempio è il gruppo Dritte Generation Ost (“Terza generazione est”), che cerca, con eventi e pubblicazioni, di diffondere un punto di vista spesso poco considerato, ma che aggiunge complessità alla narrazione di quegli eventi.

Helmut Kohl è dunque una figura da ricordare e senza di lui sarebbe stato tutto diverso; molte cose sono cambiate, è vero, ma non tutto il paesaggio è fiorito.

Chi è Maria Baldovin

Nata a Ivrea (TO) nel 1991, laureata in lingue e in studi sull’Est Europa. Per East Journal ha scritto prevalentemente di Russia, politiche di memoria e questioni di genere. È stata co-autrice del programma radiofonico "Kiosk" di Radio Beckwith

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