KOSOVO: L'Uck, la droga e il traffico d'organi. Cosa legittima il parere dell'Aja

Ushtria Çlirimtare e Kosovës, meglio noto come Uck, è l’esercito di liberazione del Kosovo, attivo fin dall’inizio degli anni Novanta. La lotta armata del popolo kosovaro contro i serbi si esacerbò dopo le persecuzioni che questi ultimi operarono a fine anni Novanta contro la popolazione civile di etnia albanese residente nella regione. Prima di allora la società civile kosovara, pur vessata, aveva scelto la via della non-violenza segnata da Rugova. E fin qui sembra tutto normale. Oggi quella lotta ha dato il suo frutto e il Kosovo è uno stato indipendente, seppur con qualche problema ad esser riconosciuto a livello internazionale.

La questione è però assai più intricata. Fin dall’inizio della sua attività l’Uck è stata considerata un’organizzazione terroristica non solo dai serbi ma anche dagli Stati Uniti, almeno fino al 1998. Nel 1999 la presidenza Clinton cambia parere e il 31 marzo di quell’anno i repubblicani al Senato presentano un’interrogazione dal titolo eloquente: “Da terroristi a partner” in cui viene mostrato come l’Uck abbia finanziato la sua battaglia attraverso il traffico di droga. Ora, il lettore porti pazienza, ma l’opinione di chi scrive è che la legittimità di qualsiasi lotta venga meno nel momento in cui si ricorra a simili -e tanto gravi- mezzi di finanziamento. A far mutare d’opinione gli Stati Uniti furono però i risvolti della partita energetica che si stava giocando nei Balcani e -indirettamente- con Mosca.

Non finisce qui. Secondo il magistrato del Tribunale Internazionale dell’Aja, Carla del Ponte, l’Uck avrebbe rapito civili serbi, incluse donne e bambini, per trasferirli  in seguito a Burrel, in Albania, dove sarebbero stati tenuti prigionieri in attesa dell’espianto dei propri organi diretti a cliniche turche specializzate in trapianti. Alcuni sarebbero stati sottoposti a diversi espianti successivi prima d’essere definitivamente uccisi e fatti sparire. Con questa accusa la Del Ponte ha portato alla sbarra i leader dell’Uck, su tutti Ramush Haradinaj -già Primo Ministro poi processato, assolto, e nuovamente accusato; ora in attesa di giudizio.  Secondo le accuse, il traffico d’organi era un metodo di finanziamento da parte dell’Uck. La vicenda, per chi fosse interessato, è ben riassunta in un libro inchiesta di Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano, dal titolo Lupi nella nebbia. Un’inchiesta ufficiale è stata aperta anche a livello europeo: Dick Marty, inviato del Consiglio d’Europa, indaga sul possibile coinvolgimento dell’Esercito di liberazione del Kosovo in crimini di guerra e nel traffico di organi prelevati a serbi uccisi durante la guerra.

Oltre ad Haradinaj, l’Uck era guidato da Hasim Tachi, ora Primo Ministro dello stato kosovaro. La classe dirigente di oggi, dunque, è la stessa che allora si macchiò di questi delitti e che si trova nel registro degli indagati per crimini di guerra. Fosse comuni con sepolti civili serbi vengono rinvenute sempre più spesso dalle forze internazionali in Kosovo. Oggi sia Carla del Ponte che Haradinaj sono sotto accusa -per motivi diversi- e il dedalo della recente storia balcanica si attorciglia sempre di più. Se il lettore permette un’ultima presa di posizione, concludiamo dicendo che il presente articolo non intende mettere in dubbio il diritto del popolo kosovaro ad avere un proprio Stato, né si mette in dubbio la buona fede di molti che si impegnarono nel prendere le armi, e nemmeno si discute la gravità della persecuzione subita. Il recente parere dell’Aja -pur non vincolante- legittima però l’attuale classe dirigente kosovara e dunque il modo in cui essa è giunta al potere: col traffico di droga, armi e organi. Un parere dunque, quello dell’Aja, che ne mina la credibilità e l’autorevolezza.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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