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Il Dragone sul Danubio: Ungheria-Cina, una storia sopravvalutata

“Il Dragone sul Danubio” è una rubrica di East Journal sul ruolo di Pechino in Europa centrale e orientale. Oggi a Budapest, dove la presenza della Cina fa comodo solo alla cerchia al potere.

Qui gli articoli precedenti sulla Cina.

Se comparata al resto d’Europa centrale e orientale, l’Ungheria è – assieme alla Serbia – il paese più vicino a Pechino. Il primo ministro Viktor Orbán fa infatti fatto della vicinanza agli autocrati del mondo intero una fonte di legittimazione. Ma l’Ungheria si differenzia dai suoi vicini anche per un’altra ragione: la sua società civile è molto più attiva nel contrastare la presenza della Cina nel paese, una questione ormai fortemente politicizzata.

Il tornante orientale di Orbán

Dopo una prima esperienza a cavallo del nuovo millennio, Viktor Orbán è stato rieletto premier proprio durante la crisi finanziaria del 2008. Il leader ungherese ha quindi deciso di diversificare l’economia del suo paese puntando ad Est, una strategia poi arricchita di componenti più o meno ideologiche parallelamente al suo crescente autoritarismo. La Cina nel frattempo stava preparando il terreno per la sua “Belt and Road Initiative”, un piano per lo sviluppo di infrastrutture che connettano la Cina all’Asia centrale e all’Europa, e aveva puntato gli occhi sull’Europa centro-orientale. La nascita della piattaforma “16+1” nel 2012 per rafforzare la cooperazione con i paesi della zona andava in questa direzione.

Il legame è nato quindi con naturalezza e, dal 2013, l’Ungheria è il paese d’Europa centrale e orientale che riceve più fondi infrastrutturali dalla Cina (secondo i governi ungherese e cinese, circa 6 miliardi di dollari nel 2021). Dalla crescente collaborazione sono scaturiti alcuni piani colossali, tra cui il più emblematico è quello dell’ammodernamento della ferrovia Belgrado-Budapest.

Un rapporto sopravvalutato

C’è però da riconoscere che, esattamente come nei Balcani occidentali, la cooperazione economica tra Budapest e Pechino è fortemente sovrastimata. La strategia di Orbán per diversificare la sua economia è stata infatti un completo fallimento: la dipendenza economica dall’UE è stabile al 75%, i suoi investimenti cumulati sono nove volte minori rispetto ad altri paesi d’Europa occidentale come Germania e Regno Unito e le cifre fornite da Budapest e Pechino sugli investimenti sono falsate (la somma si aggirerebbe intorno ai 4 miliardi). Diversi analisti ritengono inoltre che i benefici economici che il paese ottiene dalla collaborazione con la Cina sono modestissimi. Lo schema è sempre il solito: a beneficiare delle somme sostanziose che entrano nel paese è sempre la cerchia di “oligarchi” intorno ad Orbán. L’appalto per l’ammodernamento della tratta ungherese della ferrovia Belgrado-Budapest è stato vinto da un ricco amico di Orbán, Lőrinc Mészáros, che otterrà quindi il finanziamento di due miliardi di euro.

È facile dedurne che il legame abbia vantaggi soprattutto politici: oltre a legittimarsi attraverso il supporto di leader di grande peso, Orbán utilizza la stessa strategia dei Balcani occidentali con Bruxelles. Pechino diventa quindi lo spauracchio da agitare in UE: se l’Europa non offre concessioni all’Ungheria, allora questa potrà rivolgersi alla Cina. Orbán cerca però di non tirare troppo la corda e, per ora, i benefici per Pechino in sede UE non sono stati di grande portata: oltre a qualche forma di ostruzionismo simbolico (come nel 2021, quando Orbán ha bloccato la dichiarazione UE di condanna alla nuova legge di sicurezza ad Hong Kong nel 2021), l’Ungheria ha spesso approvato misure in ambito economico sfavorevoli alla Cina, come quelle sull’antidumping.

L’università della discordia

Nel giugno 2021 migliaia di ungheresi sono scesi a protestare per le strade di Budapest. L’oggetto della contestazione? L’istituzione di una fondazione pubblica (finanziata quindi dai contribuenti ungheresi) per ospitare un campus privato dell’Università Fudan, uno dei più prestigiosi atenei cinesi, proprio nel luogo precedentemente scelto per costruire alloggi per 8.000 studenti ungheresi provenienti dalle campagne. Il sindaco di Budapest Gergely Karácsony, il rivale principale di Orbán, ha così presentato un’iniziativa referendaria che ha facilmente raggiunto le 200.000 firme valide, soglia minima richiesta per effettuare lo scrutinio.

Tutto ciò è però accaduto prima delle elezioni dello scorso aprile che hanno visto Orbán trionfare, quando i sondaggi davano un testa a testa tra governo e opposizione unita: non è quindi chiaro quali saranno le prossime mosse del leader ungherese sul campus cinese. Quello che conta è che la società civile ungherese (o almeno quella budapestina), tendenzialmente ostile o neutrale nei confronti della Cina, non permetterà al suo leader di agire indisturbato sulla questione. Sempre che i risultati delle ultime elezioni non l’abbiano ormai definitivamente scoraggiata.

Foto: Profilo Facebook di Orbán Viktor

Chi è Gianmarco Bucci

Nato nel 1997 a Pescara, vive a Firenze. Si è laureato in Relazioni Internazionali all'Università di Bologna con una tesi sul movimento socialdemocratico in Cecoslovacchia, Ungheria e Romania. Al momento è ricercatore alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Scrive su East Journal dal dicembre 2021, dove si occupa di Europa centrale e Balcani.

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