La situazione delle comunità LGBTQI in Europa Centro-Orientale: Albania

La Repubblica d’Albania (Republika e Shqipërisë in albanese) conta poco più di 3 milioni di abitanti e confina a nord-ovest con il Montenegro, a nord-est con il Kosovo, a est con la Macedonia e a sud con la Grecia; le sue coste si affacciano sul Mar Adriatico e sullo Ionio. L’attuale Primo ministro è il leader del Partito Democratico d’Albania (Partia Demokratike e Shqipërisë, PD) Sali Berisha, che presiede un governo di coalizione tra partiti di centro-destra, mentre il Presidente della Repubblica è l’ex-ministro degli interni Bujar Nishani che é succeduto recentemente a un altro dei leader storici del PD, Bamir Topi.

In questo post, il primo in una serie di post sulla situazione delle comunità LGBTQI in Europa Centro-Orientale, tenterò di offrire una visione d’insieme sulla situazione che gay, lesbiche, transessuali, bisessuali, intersessuali e queer vivono nel Shqipëria (Paese delle Aquile).

La situazione delle comunità LGBT albanese resta precaria e difficile, pur a dispetto di alcuni cambiamenti significativi che sono avvenuti negli ultimi anni: Le relazioni omosessuali furono legalizzate nel 1995 e nel 2010 il parlamento ha approvato un’ importante legge contro le discriminazioni che vieta ogni discriminazione, anche quelle sulla base dell’identità di genere e l’ orientamento sessuale. La misura é stata celebrata a giusto titolo dalla comunità internazionale e dalle istituzioni europee. Purtroppo, però, non esiste riconoscimento giuridico alcuno per le coppie e famiglie LGBT. Né sono previste procedure che permettano alle persone che si sottopongono ad una operazione di riattribuzione chirurgica di sesso di ottenere il riconoscimento amministrativo del cambio di genere.

Nell’ultimo “Rainbow Indexelaborato recentemente da ILGA-Europe l’Albania ha ottenuto +6 punti (come Bulgaria, Francia, Romania e Serbia)  in una scala che va dal -4,5 della Moldova e della Russia al +21 del Regno Unito.

Omofobia Sociale

L’omosessualità é, per molti, ancora un tabù. L’omofobia sociale resta, infatti, uno dei maggiori problemi per la comunità LGTB. Un buon esempio del peso dell’omofobia sono i gravi incidenti che, nel 2010, seguirono il coming-out pubblico di Klodian Çela, un concorrente del Big Brother albanese. Il coming-out di Çela provocò, infatti, una vera e propria rivolta nella sua città natale, Lezhë. Centinaia di persone salirono per strada gridando “Lezhë é pulita. Non ci sono omosessuali da noi”. Le manifestazioni di Lezhë sono un caso estremo, ma la comunità LGBT é quotidianamente vittima  di gravi violenze, che si dirigono soprattutto contro la comunità Trans. Un fatto che é stato riconosciuto anche dal 2011 Progress Report on Albania elaborato dalla Comissione Europea. Il Rapporto elogia l’approvazione di misure contro le discriminazioni ma nota che molto resta ancora da fare per garantire il pieno riconoscimento dei diritti della comunità LGTB. Il rapporto nota inoltre che l’omofobia sociale é ancora molto forte e che le persone trans sono, in particolare, vittima di gravi violenze e insta le autorità locali a applicare pienamente le norme che hanno approvato. L’associazione Pink Embassy/LGBT Pro Albania ha raccolto e denunciato molti di questi casi di discriminazione in un dettagliato rapporto che ha presentato qualche mese fa.

…alimentata da Politici e Religiosi.

Recentemente hanno avuto grande eco, anche all’estero, le dichiarazioni del vice-ministro della difesa Ekrem Spahiu, che ha dichiarato al quotidiano “Gazeta Shqiptare” che l’unica cosa che gli faceva venire in mente l’idea di un Gay Pride era che i gay “dovrebbero essere presi a manganellate”. Ma le dichiarazioni omofobe di Spahiu, di cui mi sono occupato in un recente articolo pubblicato qui in East Journal, sono lungi dall’essere un caso isolato. Troppo spesso politici (purtroppo anche di sinistra), religiosi e funzionari pubblici alimentano l’odio con dichiarazioni omofobe di una estrema violenza. Nel 2010, durante la giornata mondiale contro HIV/AIDS, il vice presidente della Commissione parlamentare sul Lavoro, Affari Sociali e Salute Tritan Shehu, dichiarò che “l’omosessualità deve essere trattata dai medici con gli ormoni e con cure psicologiche” (affermazioni per le quali Shehu é stato condannato).

I gruppi religiosi locali svolgono un ruolo altrettanto deleterio. Le organizzazioni islamiche (l’islam é la religione maggioritaria) considerano gli omosessuali “carne straniera” e una “minaccia per i fondamenti della famiglia”, e l’immancabile chiesa cattolica non manca mai di ripetere che “l’omosessualità é contro l’ordine naturale e la morale della società”.

Il primo Pride di Tirana

Lo scorso 17 Maggio la comunità LGTB albanese ha celebrato il primo Pride della sua storia. Come aveva annunciato l’attivista del gruppo LGBT Pink Embassy/LGBT Pro Albania, Altin Hazizaj é stato “un giorno speciale, la bandiera LGBT é stata issata per la prima volta a Tirana”. Un piccolo gruppo di attivisti vestiti con delle T-shirt colorate con i colori dell’arcobaleno hanno attraversato in bicicletta, sotto una pioggia battente, le principali arterie della capitale, Tirana. Anche se non sono mancati gli attacchi omofobi (gli attivisti sono stati insultati a più riprese durante il tragitto e alcuni giovani hanno tentato di tirargli addosso dei grossi petardi) i militanti LGBT sono riusciti a completare il percorso previsto. L’attivista dell’alleanza contro le discriminazioni, Xheni Karaj, si é detta entusiasta di questo successo: “é solo l’inizio. Continueremo la nostra lotta con altre attività…é importante che la comunità LGBT albanese cominci a rompere il muro del silenzio e della paura”. La marcia, che si é tenuta in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia (IDAHO), é stata accompagnata da una serie di iniziative culturali, mostre, dibattiti, concerti, proiezioni di film e uno spot contro l’omofobia che é stato diffuso dalle TV del paese.

Una situazione in evoluzione.

Nonostante le difficoltà la situazione pare quindi stare evoluendo nella buona direzione. Il Pride é stato un successo e le dichiarazioni di Spahiu di cui abbiamo parlato più sopra sono state immediatamente condannate dal primo ministro Sali Berisha che ha sottolineato che “l’Albania e’ un paese libero e nessuno puo’ pensare che noi limiteremo le manifestazioni”. Negli ultimi anni Sali Berisha ha mantenuto, almeno a parole, un atteggiamento positivo verso la comunità LGBTQI. Nel 2009 il politico conservatore albanese sorprese il mondo annunciando che il suo governo intendeva approvare una legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso (l’annuncio provocò la furibonda reazione delle organizzazioni religiose e alla fine Berisha fu costretto a rinunciare al suo progetto). Quella discussione pose il tema dei diritti civili al centro dell’agenda politica e, sopratutto, contribuì a aprire un dibattito su questo tema in un paese dove, come abbiamo visto, questo é lungi dall’essere facile. Come ha dichiarato l’attivista Altin Hazizaj in un’ intervista: “in altre zone del mondo le attitudini verso l’omosessualità cominciarono a cambiare nel 1968, in Albania abbiamo cominciato nel 2010

Negli ultimi anni Pink Embassy/LGBT Pro Albania ha moltiplicato le iniziative. L’organizzazione sta monitorando l’applicazione, non sempre soddisfacente, della legge contro le discriminazioni e ha dichiarato che farà ricorso contro il codice sulla famiglia che, in violazione della costituzione albanese, proibisce il matrimonio egualitario. Il mero fatto che l’Albania abbia celbrato un Pride sul suo suolo é prova dei cambiamenti in atto nella società albanese. Questo successo é frutto dell’eccellente lavoro che gli attivisti del movimento LGBTQI albanese sono venuti facendo, in circostanze spesso molto difficili, negli ultimi anni.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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