UCRAINA: Yatseniuk dà le dimissioni, elezioni in vista

Arseniy Yatseniuk, il Primo Ministro ucraino che ha provato a traghettare lo Stato nei mesi successivi alla caduta dell’ex Presidente Yanukovich, ha rassegnato le proprie dimissioni il 24 luglio scorso. La vicenda che lo ha spinto a questo gesto è stata la non approvazione da parte della Verkhovna Rada, il Parlamento, di alcune proposte di legge che facevano parte del pacchetto “lacrime e sangue” richieste dal Fondo Monetario Internazionale per la concessione del prestito di circa 17 miliardi di dollari.
Presa la parola dopo l’esito delle votazione non ha potuto far altro che constatare l’assenza di una maggioranza parlamentare e che, a seguito di questa bocciatura, il Governo non ha più soldi per pagare le pensioni, i dipendenti statali, per comprare la benzina dei mezzi militari, i razzi, per investire sulla sicurezza energetica del paese in vista del prossimo inverno. Un discorso pieno di pathos che in concreto ha semplicemente espresso l’impossibilità per lui di mantenere la carica a fronte dell’assenza di soldi nelle casse dello Stato e della mancanza di sostegno politico.

La strana maggioranza

Le cause profonde erano però ben note da tempo. Il Parlamento, che ha assunto maggiori poteri a seguito dell’accordo firmato negli ultimi giorni di Presidenza Yanukovich, era lo stesso che ha supportato le politiche dell’ex Presidente e che era composto in maggioranza da esponenti del Partito delle Regioni. La stranezza sembra quindi l’essere riuscito ad esprimere una maggioranza sino ad ora. Ancora più paradossale che abbiano sottratto l’appoggio al Governo UDAR, il Partito del sindaco di Kiev ed ex pugile, Klitscho, e Svoboda.

Ed ora?

Secondo la Costituzione il Presidente può sciogliere il Parlamento qualora, entro trenta giorni, non si formi una maggioranza. Yatseniuk avrebbe ancora la possibilità di cercare una mediazione, ma significherebbe probabilmente creare una coalizione composta da membri del suo partito, Patria, del Partito delle Regioni e del Partito Comunista, il cui gruppo parlamentare è stato dissolto su iniziativa dello speaker del Parlamento Turchinov e sul quale si sta abbattendo una forte campagna politica oltre che giuridica finalizzata a farlo dichiarare fuorilegge. Tale possibilità, che vedrebbe insieme componenti estremamente eterogenee, è già stata rigettata dall’ormai ex Primo Ministro e si sarebbe concretizzata difficilmente.

Elezioni in autunno

Si prospetta quindi la via elettorale e già il giorno stesso delle dimissioni di Yatseniuk è stata depositata una proposta di legge che fissi le elezioni parlamentari anticipate il 28 settembre, anche se la data più probabile, come da tradizione elettorale ucraina, sarebbe quella del 26 ottobre.
Si arriverebbe così a formare un nuovo Parlamento concludendo, almeno “istituzionalmente”, l’era Yanukovich. È chiudi un passaggio naturale e c’è forse da chiedersi perché non si sia pensato in precedenza di indire elezioni presidenziali e parlamentari in concomitanza. Tuttavia il modo con il quale si giunge a questa situazione, la crisi economica e quella militare che imperversa nell’est del Paese fanno sorgere profondi dubbi sulla possibilità di giungere al nuovo appuntamento elettorale in tranquillità.

Si parla già di sondaggi

Considerata la situazione non si può trascurare l’analisi dei partiti politici ucraini in vista di un confronto elettorale. La situazione è ben diversa a quella del 2012, quando si tennero le ultime elezioni politiche. Un sondaggio Rating Group svolto tra la fine di giugno e l’inizio di luglio ha indicato il Partito della Solidarietà del Presidente Poroshenko in testa ai sondaggi con circa il 23% dei consensi. Seguirebbero il Partito Radicale del leader nazionalista Lyashko col 13%, il Partito Patria con l’11% e Udar col 7%. Il Partito Comunista, qualora non fosse estromesso dalla competizione, ed il Partito delle Regioni rischierebbero di non raggiungere il 5% di sbarramento considerato anche che la Crimea non sarebbe de facto in grado di votare e che nelle regioni di Lugansk e Donetsk, bacino dei voti di questi partiti, a meno di una vittoria militare a breve da parte delle forze governative non tutti avrebbero la possibilità di partecipare alla tornata elettorale. Da qui anche qualche dubbio sull’eventuale legittimità della consultazione, ma quella è un’altra storia.

Intanto nell’est

Nelle zone contese dai separatisti e dalle forze governative nella parte orientale del Paese si continua a sparare. Nonostante l’abbattimento del Boeing della Malesia Airlines il 17 luglio, in situazioni che appaiono ancora ben lontane dall’essere chiarite completamente, gli aerei sono ancora al centro della battaglia. Due apparecchi militari ucraini sono stati abbattuti con il solito rimbalzo di accuse. Kiev sostiene che i razzi siano arrivati da territorio russo, Mosca derubrica a “fantasie” tali accuse.

L’Unione Europea, intanto, ha approvato la terza fase delle sanzioni alla Russia. Sono 15 i nuovi individui ai quali sarebbero stati congelati i beni ed ai quali verrà impedito l’accesso sul suolo europeo, mentre 18 le entità russe o filorusse. Non è dato sapere ancora chi siano questi soggetti sanzionati, ma si vocifera siano incluse quattro tra le più grosse banche russe detenute per più del 50% dallo Stato: Sberbank, VTB, Vnesheconombank e Gazprombank, già per altro sanzionata dagli Stati Uniti. Sarebbe incluso inoltre il divieto di esportare in Russia materiale militare e prodotti ad altissima tecnologia; chiaramente escludendo da ciò i contratti già in essere in modo che Stati come la Francia e l’Italia non subiscano ripercussioni economiche. La solita farsa, verrebbe da dire.

Chi è Pietro Rizzi

Dottorando in Relazioni Industriali presso l’Università degli Studi di Bergamo, collabora con l’OSCE/ODIHR come osservatore elettorale durante le missioni di monitoraggio in Est Europa. Redattore per East Journal, dove si occupa di Ucraina, Est Europa e Caucaso in generale. In passato è stato redattore ed art director del periodico LiberaMente, e si è a lungo occupato di politica come assistente parlamentare e consulente giuridico per comitati referendari. Ha risieduto, per lavoro e ricerca, a Kiev e Tbilisi.

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10 commenti

  1. Subito dopo l’Anchlusss della Crimea (“la brillante operazione”), la maggior parte dei commentatori politici internazionali davano il governo di Kyiv praticamente allo sbando.
    Turchynov e Yatsenyuk con il loro governo per l’Europa hanno invece tenuto duro e Putin ha dovuto impantanarsi nella crisi est-Ucraina.
    Più che una crisi sulle difficoltà e la reticenza ad approvare le famose misure richiesta dal FMI, forse la molla è la volontà di “capitalizzare” la favorevole congiuntura elettorale e di ridimensionare (magari drasticamente) la rappresentanza politica del Partito delle Regioni e di quello comunista.
    Le elezioni di una nuova Rada chiuderanno definitivamente l’era Janukovyč, non lasciamoci impressionare dagli “interessati” dubbiosi : alle elezioni presidenziali la partecipazione fu del 87% (esclusa l’occupata Crimea, per forza) sufficiente per dare credibilità e legittimità alla consultazione.
    Mi permetto di aggiungere una considerazione: l’Ucraina nacque come stato indipendente più per la gretta volontà dei locali burocrati del partito e dell’apparato burocratico che, di fronte alla dissoluzione dell’URSS, non volevano mollare il potere a Kiev che una vera presa di coscienza nazionale da parte del popolo ucraino.
    La preponderanza degli oligarchi e la lunga presenza ai vertici politici di “filorussi” ha addormentato la vita politica ucraina rendendola una specie di palude dove gli unici sprazzi erano corruzione e sistematico uso personale della propria posizione politica (Janukovyč docet).
    Maidan e ora la resistenza all’aggressione russa sono i primi sprazzi di una qualche coscienza dello stato unitario, la prima manifestazione di una coesione nazionale e non su base etnica, come vorrebbero farci credere.
    A questo punto cosa succederà a quanti nell’est Ucraina si sono lasciati abbindolare dalla propaganda di Putin e remano contro questa trovata coscienza nazionale ucraina?

    • Gian Angelo, non entrando nel merito delle sue osservazioni logiche e coerenti, seppur personali, da dubbioso “disinteressato” mi permetto di farle notare che la partecipazione alle ultime presidenziali fu ben lontana dal 87% (59,9% secondo OSCE) da lei citata. Pur non mettendo in discussione la legittimità di Poroshenko, considerando soprattutto la difficilissima situazione in cui versava il paese (situazione che ora sembra peggiore), la polarizzazione del voto, con partecipazione che supera l’80% in numerose regioni occidentali mentre si raggiunge a malapena il 50% in regioni orientali (non quelle controllate dai separatisti come Kharkiv, Odessa, Zaporizhzhia e altre), è un dato indicativo al quale si dovrebbe dare il giusto peso in un analisi delle probabili elezioni parlamentari. Ritengo interessante da questo punto di vista alcuni riferimenti grafici di un articolo di giugno del Washington Post (http://www.washingtonpost.com/blogs/monkey-cage/wp/2014/06/02/ukraines-2014-presidential-election-result-is-unlikely-to-be-repeated/). In parole povere, per rispondere alla sua domanda conclusiva, il rischio è proprio quello di veder esclusa dalla Verhovna Rada ogni tipo (o gran parte) di rappresentanza delle regioni orientali del paese, ed è un rischio paradossale visto che si combatte per l’unità dell’Ucraina o, come dice lei, per una “coesione nazionale”, che dovrebbe essere per natura, aggiungo io, inclusiva.

      • Certo che le mie sono opinioni personali e lo scopo di presentarle in una discussione è di condividerle con altri interessati allo stesso argomento e magari vederle discusse.
        Per quanto riguarda la discrepanza delle percentuali dei votanti, il dato OCSE è calcolato sul totale dei votanti iscritti, Crimea e zone controllate dai ribelli comprese. Delle 2.430 sezioni elettorali previste nell’Ucraina dell’Est, solo 426 hanno potuto funzionare. Il dato da me segnalato rappresenta la percentuale dei votanti sugli elettori che effettivamente avrebbero potuto votare. Non capisco: “(non quelle controllate dai separatisti come Kharkiv, Odessa, Zaporizhzhia e altre)”?
        L’articolo da lei citato risale al 2 giugno, se non vado errato. Direi che ne è passata di acqua sotto i ponti, e probabilmente oggi la partecipazione al voto potrebbe essere maggiore e non minore.
        “La “coesione nazionale”, che dovrebbe essere per natura, aggiungo io, inclusiva”. Concordo, ma la mia domanda era: che fine faranno quelli che, per varie motivazioni, sabotano la coesione e l’unità faticosamente ricercate dalla maggioranza dei loro concittadini?

        • Il problema sta proprio qui. Contare solo chi ha “potuto” partecipare al voto significa di conseguenza escludere gli altri che non hanno partecipato per vari motivi. Se su 2.430 sezioni solo 426 hanno potuto funzionare (con conseguente affluenza nelle regioni così importanti per il paese intorno al 10%) è un problema con conseguenze sulla legittimità del voto stesso. Proprio per questo le elezioni in un paese in cui l’integrità territoriale non è garantita sono sempre pericoloso e controverse e proprio per questo “quelli che, per varie motivazioni, sabotano la coesione e l’unità” (se si riferisce ai cosiddetti separatisti) potranno continuare a dire: “noi non abbiamo partecipato alle vostre elezioni, quindi non riconosciamo la vostra autorità”. Di conseguenza credo che questo potrebbe rappresentare un problema per un governo che persegue l’unità nazionale. Ovvio, se il principale obiettivo di Kiev non fosse mantenere il Donbass all’interno della struttura statale ucraina, non ci sarebbe nessun problema di legittimità.
          Un altro fattore da non sottovalutare,(come dicevo prima in maniera forse un po’ confusa e per questo mi scuso) evidenziato dalle presidenziali, è la distribuzione territoriale dell’affluenza. A Kharkiv, Odessa, Zaporizhzhia e altre regioni orientali l’affluenza è stata intorno al 50%, di gran lunga inferiore a quella della maggioranza delle oblast’ occidentali. L’articolo che le ho proposto ha l’unico merito di evidenziare in maniera infografica questo dato e si basa su dati ufficiali della CEC. Volendo analizzare il trend elettorale non possiamo far altro che basarci sulle ultime elezioni che dimostrano, appunto, una polarizzazione nell’affluenza tra est e ovest che, in un modo o nell’altro, potrebbero essere il riflesso della politica di coesione nazionale, molto più sentita a ovest. Mi è sempre più difficile credere come si possa creare unità nazionale in un conflitto che, nonostante le numerose ingerenze esterne, è anche un conflitto tra cittadini dello stesso paese. Credo, da pessimista quale sono, che le elezioni difficilmente restituiranno un risultato comunemente accettato e possano essere interpretate come un altro passo verso la coesione nazionale, se non si svolgeranno anche nel Donbass.

          • Giriamo intorno al problema. La mia domanda era proprio: che fine faranno quelli che “continuano a dire”: “noi non abbiamo partecipato alle vostre elezioni, quindi non riconosciamo la vostra autorità” ?
            Ci deve essere posto per loro in una Ucraina unita, anche se loro non vogliono? Devono andare per la loro strada? Chi deve decidere in un senso o nell’altro?
            Onestamente di una questione russa in Ucraina prima di Maidan non ce ne era traccia, in maniera evidente l’Ucraina è stata governata dall’indipendenza da russi etnici o russofoni dell’est se preferisce (Kučma, Tymošenko, Janukovyč ) e, come lei sottolinea il Partito delle Regioni, aveva la sua base elettorale principalmente nell’Est Ucraina. Quindi è piuttosto difficile affermare che il gruppo etnico che esprimeva il partito di governo e le massime cariche potesse essere “discriminato”.
            La verità è che nessuno si poneva il problema di che lingua parlasse fin tanto che Putin, dovendo trovare un grimaldello per destabilizzare un governo non gradito a Kyiv, ha soffiato sul fuoco di un separatismo con scarse radici locali e lo ha “propagandato” quale insanabile divisione etnica della (ignara) società ucraina.
            Quindi, ritorniamo alla questione principale: che peso dobbiamo dare ad un non-problema, creato ad arte dall’esterno, per colpire l’unità e la convivenza nazionale di uno stato sovrano?
            La polarizzazione dell’elettorato m sembra precedente all’attuale situazione, basta osservare la distribuzione dei voti tra Tymošenko e Janukovyč. Strologare se gli elettori delle 2000 sezioni elettorali avrebbero votato se avessero potuto, o se il 50% che non ha votato lo ha fatto perché intimidito o perché non riconosceva lo stato ucraino o che altro, mi sembra sofistico. Da inguaribile ottimista spero che le prossime elezioni parlamentari si potranno svolgere in un clima migliore e aiutino a porre fine a questa situazione.

          • Concordo, giriamo intorno al problema, forse perchè una risposta ad oggi non c’è. Ed è proprio questa la questione principale. E’ assolutamente corretto affermare che non c’era una questione etnica (anche se il dibattitto sulla lingua è figlio dell’ultimo mandato di Kuchma e della seguente rivoluzione arancione), ma vi era comunque, come sottolinea lei, una polarizzazione socio-culturale, politica e, se vogliamo, d’interesse, che affonda, in un modo o nell’altro, le proprie radici nella storia. Maidan non ha rappresentato tutta la società ucraina (soprattutto nella sua seconda parte, idealmente inaugurata dall’abbattimento della statua di Lenin) e il confronto sociale che ne è derivato (favorito e istigato dalla propaganda etnica, concordo) ha irrimediabilmente aperto alcune questioni che dal 91 erano rimaste chiuse in un cassetto. Ora purtroppo queste questioni sono aperte e considerarle un “non-problema” quando vi è una guerra in corso mi risulta molto difficile. Proprio per questo mi risulta ancora più difficile credere che le elezioni si potranno svolgere in un clima migliore e restituire un risultato legittimo per la totalità del paese. Questo non vuol dire che non si debbano fare, ma che ci sarà poco da aspettarsi se non si andrà a normalizzare la situazione nel Donbass, anche attraverso una federalizzazione dello stato. Se “Maidan e la resistenza all’aggressione russa sono i primi sprazzi di una qualche coscienza dello stato unitario”, lo sono stati solo per una parte della società e per questo nella situazione in cui ci troviamo ora è un collante piuttosto fragile per il futuro unitario del paese.

          • Sono d’accordo con lei che l’attuale situazione “ha irrimediabilmente aperto alcune questioni che dal 91 erano rimaste chiuse in un cassetto” a cui, comunque oggi si devono dare risposte.
            Però ignorare, più o meno volontariamente, che il loro emergere non è frutto di una sorta di maturazione interna (erano li dal 91, dice giustamente lei) ma rappresenta un preciso intervento esterno, UNA pedina della politica revanscista del vicino russo, significa voler curare un sintomo e chiudere gli occhi di fronte alla malattia.
            Sarà un collante fragile, ma speriamo che tenga.

  2. Nulla da eccepire egregio Sig. Yatseniuk, il Suo discorso è il migliore Testamento politico del fallimento Suo e di quelli della sua cricca.

  3. Il partito comunista lo vietano per legge o uccidono direttamente i suoi membri, bel modo di essere democratici…
    Il conflitto con l’Est può essere risolto solo con il dialogo, non con l’offensiva militare. Purtroppo gli ultranazionalisti come al solito preferiscono le armi.

    • La realtà è un po’ diversa, perchè prima dell’ATO si è cercato in più occasioni di invitare i separatisti a deporre le armi e a intavolare trattative, anche coinvolgendo la Russia, che ha continuato a fare il doppio gioco, ma anche durante, con la tregua di circa 10 giorni a cui i separatisti hanno risposto con il fuoco. Chiariamo una cosa: il dialogo è sempre auspicabile, però lo devono volere entrambe le parti in conflitto e soprattutto occorre raggiungere dei compromessi, occorre azionare uno spirito di mediazione, cosa che i separatisti non hanno mai dimostrato, perchè essi non hanno mai messo in discussione i loro propositi secessionisti. A chi dice che l’esercito ucraino sembra bombardare con leggerezza i civili, domando: ma secondo voi tutto quello che viene distrutto oggi chi dovrà ricostruirlo domani, i separatisti o il governo centrale? E’ chiaro che l’opzione militare è la più dolorosa e impopolare per Kiev, ma dopo aver perso la Crimea, perdere anche il Donbass per iniziative foraggiate dall’esterno è ritenuto non solo grave per l’economia dell’intero Paese, ma anche una questione di dignità per un intero popolo che vede smembrarsi il proprio territorio.

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