UCRAINA: L'arresto di Yulia Timoshenko, un atto politico

di Matteo Zola

Il 5 agosto scorso Yulia Timoshenko, eroina della Rivoluzione Arancione, è stata tratta in arresto dalle autorità ucraine. La Timoshenko, la “pasionaria” che incantò l’occidente con la sua lunga treccia bionda, fu protagonista del più grande evento politico della (pur breve) storia democratica ucraina. Per comprendere la parabola che l’ha portata ora dietro le sbarre di una prigione di Kiev occorre fare un passo indietro.

Era il 2004 quando si tennero le elezioni presidenziali che videro la vittoria di Viktor Yanuchovyc, delfino di Leonid Kuchma, presidente dal 1994 al 2004. La vittoria di Yanuchovyc siglava la continuità del potere filorusso in Ucraina. I nazionalisti ucraini contestarono il risultato del voto. Perla prima volta nella sua storia, gli ucraini scesero in piazza a Kiev sfidando il gelo dell’inverno, piantarono tende di fronte al palazzo presidenziale finché il voto non venne invalidato. Al collo avevano sciarpe arancioni. Presidente divenne, nel 2005, Viktor Yushenko. Al suo fianco Yulia Timoshenko. Nel 2010 si andò di nuovo al voto. Yushenko e Timoshenko si presentarono divisi e la vittoria andò a Yanuchovyc. La restaurazione del potere filorusso coincise con i processi contro la Timoshenko accusata di corruzione. Accuse infondate?

Dal 1995 al 1997 la Timoshenko presiedette la Compagnia Generale dell’Energia, un’azienda privata che prese ad importare gas dalla Russia. Durante questo periodo, fu soprannominata la “principessa del gas” per le accuse di aver stoccato enormi quantità di metano, facendo aumentare le tasse sulla risorsa. Julia Timošenko approfittò del suo potere economico per tessere rapporti d’affari e relazioni personali con i politici più in vista degli anni Novanta compreso lo stesso Presidente Kucma. Non mancò di avere stretti contati con la russa Gazprom, l’agenzia russa del gas metano, con cui invece inizierà una “guerra” nel decennio successivo quando si affermerà definitivamente come personaggio politico.

Nel 2001 la Tymošenko fu arrestata per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano, tra il 1995 e il 1997 (mentre era presidente della Compagnia Generale di Energia) ma fu liberata la settimana successiva. Si consumò così la rottura con Kuchma di cui divenne oppositrice: spese molti soldi per indire campagne politiche contro il suo regime. La Timoshenko, con le sue ricchezze, divenne il motore dell’opposizione nazionalista. Molti ritengono che la sua conversione da oligarca a riformista sia sincera, e davvero molto si spese per riordinare il settore dell’energia durante gli anni di governo.

Dal 2010, col ritorno al potere dei filorussi, si susseguono i processi a suo carico. Il 5 agosto scorso era in aula, accusata di aver siglato con Mosca – ai tempi in cui era primo ministro – un’intesa sul gas estremamente svantaggiosa per l’Ucraina. E vantaggiosa per sé. La Timoshenko, da vera “pasionaria”, ha lanciato insulti al giudice Rodion Kirejev e si è fatta beffe dell’attuale primo ministro Mikola Azarov. Così, per oltraggio alla Corte, è stata arrestata.

L’arresto è chiaramente politico. Per quanto possano mostrarsi fondate le accuse, Timoshenko è oggetto della “restaurazione ” filorussa di Yanukovyc che intende fare piazza pulita dell’opposizione. Per come si è concretizzato, inoltre, viene da pensare che la Timoshenko stessa abbia voluto essere arrestata. Da tempo era oggetto di controlli, aveva l’obbligo di firma e di dimora, ma nessuno in Europa se ne curava. L’arresto, che ha del clamoroso, accende ora i riflettori sulla situazione del Paese. Un Paese che fra un anno sarà al centro dell’attenzione, ospitando gli europei di calcio. Un Paese in mano al Cremlino, con la polizia più corrotta d’Europa, con una democrazia controllata e limitata. Solo con l’appoggio internazionale la “principessa del gas” potrà tornare libera e, al contempo, assestare un colpo alla leadership di Yanuchovyc. Una leadership che, sia chiaro, piace a molti ucraini. Specie alla parte russa della popolazione poiché la leadership di Yanukovyc è tutt’altro che illegittima e risponde alle esigenze di una parte della popolazione, quella che parla russo e che diffida dell’Europa lontana.Una leadership che però non ha esitato a ricorrere alle maniere forti, in passato, avvelenando Yushenko e causando un incidente all’auto della Timoshenko. Illazioni, dicono dall’entourage di Yanuchovyc.

L’attuale situazione internazionale, i problemi economici di Stati Uniti ed Europa, faranno passare in secondo piano la questione ucraina che, gioco forza, si ripresenterà. Forse proprio durante gli europei del 2012. Sempre che Kiev, nel frattempo, non venga dichiarato “orto di casa” russo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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