UCRAINA: Condannata la Timoshenko, un processo (non solo) politico

Partiamo dai fatti. La corte di Cassazione ha respinto l’ultimo appello dei legali di Yulia Timoshenko, leader dell’opposizione, che resterà quindi in carcere per altri sette anni. L’accusa è quella di aver imposto alla società energetica nazionale Naftogaz  il contratto che pose fine alla guerra del gas che, nel 2009, aveva lasciato mezza Europa al freddo. La pasionaria, come molti la chiamano, all’epoca dei fatti Primo ministro, non avrebbe richiesto il consenso del suo governo e avrebbe venduto il combustibile a 450 dollari ogni mille metri cubi, cifra altamente svantaggiosa per l’Ucraina, la quale starebbe tentando di negoziare nuovamente i termini dell’accordo.

Fin qui è tutto chiaro. E invece no. Molte sono le domande aperte. Chi è Yulia Timoshenko: una vittima, un’eroina della democrazia, un politicante corrotto? Il suo processo è un processo politico, un modo per imbavagliare l’opposizione? Perché le cancellerie occidentali non sono intervenute per favorirne la liberazione? Qual’è la posizione della Russia? Cerchiamo di capire.

Il torbido passato di Yulia

La Timoshenko è l’unica che può sfidare, come ha già fatto alle presidenziali del 2010, Yanuchovyc, attuale presidente, alle prossime elezioni. Ed è l’unica a possedere il carisma e il denaro necessari per vincere. Il processo e la condanna della Timoshenko non possono non essere ritenuti un atto politico, un modo per sbarazzarsi definitivamente dell’opposizione, già colpita da arresti. Che in Europa un leder dell’opposizione marcisca in carcere è cosa che fa gridare allo scandalo, eppure le cancellerie del vecchio continente non si sono agitate granché. Uno dei motivi è che la Timoshenko non è una campionessa di dirittura morale.

Il denaro della Timošenko ha origini oscure. Durante le privatizzazioni, caratterizzate da un alto levello di corruzione, divenne una delle donne più ricche del Paese esportando metalli. Dal 1995 al 1997 presiedette la Compagnia Generale dell’Energia, un’azienda privata che prese ad importare gas dalla Russia. Durante questo periodo, fu soprannominata la “principessa del gas” per le accuse di aver stoccato enormi quantità di metano, facendo aumentare le tasse sulla risorsa. Yulia Timošenko approfittò del suo potere economico per tessere rapporti d’affari e relazioni personali con i politici più in vista degli anni Novanta compreso lo stesso Presidente Kucma. Non mancò di avere stretti contati con la russa Gazprom, l’agenzia russa del gas metano, con cui invece inizierà una “guerra” nel decennio successivo quando si affermerà definitivamente come personaggio politico. Nel 2001 la Timošenko fu arrestata per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano, tra il 1995 e il 1997 (mentre era presidente della Compagnia Generale di Energia) ma fu liberata la settimana successiva. Si consumò così la rottura con Kuchma di cui divenne oppositrice: spese molti soldi per indire campagne politiche contro il suo regime. La Timoshenko, con le sue ricchezze, divenne il motore dell’opposizione nazionalista. Molti ritengono che la sua conversione da oligarca a riformista sia sincera, e davvero molto si spese per riordinare il settore dell’energia durante gli anni di governo.

Il ricatto di Putin e i debiti di Yulia

Una commissione d’inchiesta nominata dalla Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, ha scoperto che la Timoshenko aveva nascosto al governo e al presidente Viktor Yanukovich di avere un debito privato con la Russia. Secondo la commissione una compagnia privata della Timoshenko (la “Sistemi Energetici Unificati dell’Ucraina”) era debitrice al ministero della difesa russo di oltre 405 milioni di dollari. E per di più contro di lei in Russia era stato avviato un procedimento penale per “aver ripetutamente dato tangenti a dipendenti del dicastero militare”. E’ con questi debiti personali sul groppone che la Timoshenko va a Mosca a trattare sul prezzo del gas. Nella relazione della commissione leggiamo che “durante trattative segrete a quattr’occhi” Putin concordò con la Timoshenko le condizioni per i contratti sul gas del 2009 a causa dei quali l’Ucraina adesso compera il gas russo a un prezzo maggiorato. Dopo l’accordo, il procedimento a carico della Timoshenko vennero chiusi. facendo due più due, il Parlamento ucraino ha messo sotto accusa la pasionaria per alto tradimento.

La Rivoluzione arancione e i processi

Yulia Timoshenko è nota al mondo intero per essere stata uno dei leader della “Rivoluzione arancione”. Era il 2004 quando si tennero le elezioni presidenziali che videro la vittoria di Viktor Yanuchovyc, delfino di Leonid Kuchma, presidente dal 1994 al 2004. La vittoria di Yanuchovyc siglava la continuità del potere filorusso in Ucraina. I nazionalisti ucraini contestarono il risultato del voto. Per la prima volta nella sua storia, gli ucraini scesero in piazza a Kiev sfidando il gelo dell’inverno, piantarono tende di fronte al palazzo presidenziale finché il voto non venne invalidato. Al collo avevano sciarpe arancioni. Presidente divenne, nel 2005, Viktor Yushenko. Al suo fianco Yulia Timoshenko. Nel 2010 si andò di nuovo al voto. Yushenko e Timoshenko si presentarono divisi e la vittoria andò a Yanuchovyc. Dal 2010, col ritorno al potere dei filorussi, si susseguono i processi a suo carico arrivando alla condanna definitiva a sette anni di reclusione.

La Rivoluzione arancione, fu davvero democrazia?

La Rivoluzione arancione è stata salutata da molti come una ventata di democrazia. A finanziarla non furono solo i soldi della Timoshenko. Come riportato anche da Wikipedia (nessun segreto, dunque) che cita fonti del Guardian, operavano in Ucraina diverse Ong che facevano capo al Dipartimento di Stato americano: la National Democratic Institute for International Affairs, la International Republican Institute, la Freedom House e la George Soros’s Open Society Institute. La National Endowment for Democracy operava in Ucraina già dal 1998. L’obiettivo era spostare l’asse geopolitico ucraino dalla sfera d’influenza russa a quella occidentale. Anche l’Unione Europea si mosse, avviano il partenariato e siglando accordi. Ma il giocattolo si ruppe in fretta. Dopo il conflitto russo-georgiano si comprese che le strategie di accerchiamento della Russia andavano riviste al ribasso. L’Ucraina, dopo tante promesse, venne abbandonata a sé stessa. Decisa l’inversione di rotta, e perso l’appoggio occidentale, la Timoshenko (ormai unica candidata dell’opposizione) si ritrovò sola e fu facile preda della giustizia ucraina.

Non deve scandalizzare il supporto euro-americano alla causa ucraina, da che mondo e mondo esistono le  “ingerenze”, e il tifo per questa o quella parte non può sostituirsi a un’analisi fredda. E freddamente possiamo dire che se il governo arancione non era l’espressione di una sincera democrazia, ma poteva rappresentare una transizione verso un sistema più maturo. Quella di Yanuchovyc, attuale presidente, si profila invece come una sorta di restaurazione dell’antico regime, e già in molti casi l’Ucraina si è prostrata a Mosca, sia in campo energetico che militare. La restaurazione però è complicata da un quadro sociale in rapida evoluzione che non intende rinunciare alle libertà individuali.

L’Europa alla finestra

L’Europa è rimasta a guardare, troppi gli interessi commerciali in ballo con Kiev per permettersi un’ingerenza. Catherine Ashton, alta rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, si era detta preoccupata: “Non siamo ottimisti su questo processo – ha dichiarato ai giornalisti – la nostra impressione è che si tratti di una applicazione molto selettiva della giustizia”. La condanna, per la Ashton, avrebbe conseguenze negative sui rapporti fra il governo di Kiev e l’Unione, anche se non interromperebbe i negoziati. L’Europa ha bisogno di energia, l’Ucraina delle tecnologie europee. Kiev inoltre guarda a Bruxelles per uscire dalla stretta di Mosca con cui i rapporti, pur tesi, restano buoni. Bruxelles intende rilanciare il partenariato orientale attirando a sé l’Ucraina. Mettersi a fare la voce grossa sull’affaire Timoshnko non sarebbe stato il migliore inizio. Nemmeno i campionati europei di calcio hanno smosso le acque, il messaggio era chiaro: “Yulia, per noi hai fatto il tuo tempo”.

Guardare oltre Yulia

Alla luce di quanto fin qui riportato, ci sentiamo di affermare che Yulia Timoshenko non è un’eroina della libertà. Ha fatto i suoi interessi, fin dai tempi di Kuchma, e le accuse che le vengono mosse non sembrano campate in aria. Certo è evidente che la zarina del gas è stata condannata anche in qualità di leader dell’opposizione. Si tratta dunque di un processo politico. Un processo che non è stato difficile ammantare di legittimità, visto il torbido passato dell’imputata.

Malgrado ciò la Rivoluzione arancione resta un’esperienza straordinaria. Occorre fare attenzione a non buttare via il bambino con l’acqua sporca. E se l’acqua sporca è la Timoshenko, il bambino è la democrazia. E’ forse venuto il momento di guardare oltre Yulia. La speranza è che l’opposizione ucraina trovi la forza di riorganizzarsi attorno a nuovi leader e nuovi partiti, più moderni e meno legati al regime di Kuchma. Allo stesso tempo c’è da augurarsi che la tendenzialmente ottusa prassi euro-americana di ingerire nella politica altrui sappia per una volta illuminarsi e riconoscere una forza sinceramente democratica. Anche l’eccesso di concentrazione mediatica sulla Timoshenko non sembra giovare alla causa democratica ucraina che si vede riassunta in un simbolo assai controverso, una donna che si definisce martire e salvatrice del Paese, ma che ha fatto della politica un uso personalistico. Infine, quand’anche liberata, Yulia non avrebbe alcun peso politico. Anzi, la sua stessa liberazione sarebbe una legittimazione dell’autocrazia di Yanuchovyc che con questo processo registra un successo.

Solo la ricostruzione di questo fragile meccanismo, fatto di spinte interne ed esterne, anche in relazione al vicino russo (che non può né deve essere ignorato), potrà forse garantire un futuro democratico al Paese. Finché invece l’Ucraina resterà il campo da gioco di potenze contrapposte, allora continueremo a dipingere i corrotti come martiri.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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