UCRAINA: Condannata la Timoshenko. L'ipocrisia dell'Europa

di Matteo Zola

La condanna

Gloria per l’Ucraina!” ha esclamato prima di entrare in tribunale Yulia Timošenko. “Il verdetto di oggi non cambierà niente nella mia lotta politica, continuerò le mie battaglie per il futuro dell’Ucraina”. Il verdetto è stato quello atteso: colpevole. La Timošenko era sotto processo dal giugno scorso con l’accusa di abuso di potere, precisamente per aver firmato un accordo decennale con Putin nel gennaio 2009 dopo una lunga disputa sul prezzo della fornitura. La procura ha chiesto per lei sette anni di carcere. “Nel gennaio 2009 – ha detto il giudice Rodion Kireyev- Yulia Timošenko, esercitando il ruolo di primo ministro, ha abusato dei suoi poteri per fini criminali e, agendo deliberatamente, ha portato ad azioni con gravi conseguenze”.

La condanna della Timošenko è un atto politico gravissimo nei confronti del principale oppositore del potere di Yanuchovyc, un tentativo di indebolire – se non eliminare – l’opposizione. La Timošenko è infatti l’unica che può sfidare, come ha già fatto alle presidenziali del 2010, Yanuchovyc, è l’unica a possedere il carisma e il denaro necessari.

Il torbido passato di Yulia

Il denaro della Timošenko ha però origini oscure. Durante le privatizzazioni, caratterizzate da un alto levello di corruzione, divenne una delle donne più ricche del Paese esportando metalli. Dal 1995 al 1997 presiedette la Compagnia Generale dell’Energia, un’azienda privata che prese ad importare gas dalla Russia. Durante questo periodo, fu soprannominata la “principessa del gas” per le accuse di aver stoccato enormi quantità di metano, facendo aumentare le tasse sulla risorsa. Yulia Timošenko approfittò del suo potere economico per tessere rapporti d’affari e relazioni personali con i politici più in vista degli anni Novanta compreso lo stesso Presidente Kucma. Non mancò di avere stretti contati con la russa Gazprom, l’agenzia russa del gas metano, con cui invece inizierà una “guerra” nel decennio successivo quando si affermerà definitivamente come personaggio politico. Nel 2001 la Timošenko fu arrestata per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano, tra il 1995 e il 1997 (mentre era presidente della Compagnia Generale di Energia) ma fu liberata la settimana successiva.

Oligarchi alla sbarra

La spregiudicatezza negli affari, le torbide relazioni politiche, il carisma e la ricchezza, hanno fatto dell’oligarca Timošenko un alleato da corteggiare e un nemico da eliminare per il mondo politico ucraino, caratterizzato a sua volta da corruzione, opportunismo, intimidazioni, sete di denaro e mafia. Col processo s’intende colpire l’antagonista politico come già Putin con Khodorkovsky. I due casi, quello di Khodorkovsky e della Timošenko, hanno molte analogie.

L’Europa alla finestra

L’Europa resterà a guardare, troppi gli interessi commerciali in ballo con Kiev per permettersi un’ingerenza. Ieri Catherine Ashton, alta rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, si era detta preoccupata: “Non siamo ottimisti su questo processo – ha dichiarato ai giornalisti – la nostra impressione è che si tratti di una applicazione molto selettiva della giustizia”. La condanna, per la Ashton, avrebbe conseguenze negative sui rapporti fra il governo di Kiev e l’Unione, anche se non interromperebbe i negoziati. L’Europa ha bisogno di energia, l’Ucraina delle tecnologie europee. Kiev inoltre guarda a Bruxelles per uscire dalla stretta di Mosca con cui i rapporti, pur tesi, restano buoni. Bruxelles intende rilanciare il partenariato orientale attirando a sé l’Ucraina. Mettersi a fare la voce grossa sull’affaire Timošenko non sarebbe il migliore inizio.

Yanuchovyc sui due tavoli

Yanuchovyc può così giocare su due tavoli, quello russo e quello europeo, giostrandosi tra i due partner come già Lukashenko – presidente della Bielorussia – cercò di fare senza successo. L’errore di Lukashenko fu nell’inasprire il suo regime al punto da spezzare i rapporti con l’Unione. Yanuchovyc non farà lo stesso errore: per questo la Timošenko difficilmente sconterà la pena in carcere. Dalle parti di Kiev già si vocifera di una depenalizzazione del reato di abuso di potere che porterebbe la “principessa del gas” fuori dalla prigione. Quel che al regime di Yanuchovyc interessa davvero è la condanna pubblica. L’opposizione – qualsiasi opposizione – è avvertita: si gioca pesante. Nessuna sorpresa: l’avvelenamento alla diossina di cui fu vittima Yushenko nel 2004 lo fece capire a tutti.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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