TURCHIA: Gli artisti sfidano la censura a ritmo di samba e armati di pennello

di Sofia Verza

La comunicazione è una caratteristica basilare dell’essere umano. Trasmettere idee e stati d’animo ci rende quell’ “animale sociale” che Aristotele vedeva nell’uomo. Ma fino a che punto è possibile farlo? Quali sono i limiti nello scambio di informazioni?

Le forme di censura oggigiorno sono numerose e delle più svariate. In Turchia, crescono le critiche per la politica sull’utilizzo dei media del primo ministro Tayyip Erdoğan: la legge che regolamenta le attività sul web e’ stata emendata il 18 Febbraio, scatenando preoccupazioni concretizzatesi nel recente blocco di Twitter e YouTube. Inoltre, il codice penale e la legge contro il terrorismo hanno portato al più alto numero al mondo di giornalisti incarcerati nel 2013[1].

Come comunicare dunque in una realtà in cui – per motivi culturali, politici e religiosi- non possiamo esprimere apertamente le nostre idee? Creatività e forza per reagire non mancano nel popolo turco, e l’arte,fluida e multiforme, giunge in aiuto come forma di espressione alternativa ai media tradizionali.

Un esempio di ciò è Sambistanbul, batteria di samba nata nella metropoli turca sette anni fa. Incontro Ümit Aydin nell’appartamento di Michelangelo Severgnini, regista del documentario “Gezi’nin Ritmi” (Il ritmo di Gezi)[2], che racconta la storia di questo gruppo di percussionisti decisi ad utilizzare la musica a supporto dei dimostranti a Gezi Park nell’estate 2013. “Quando abbiamo sentito che la demolizione del parco era iniziata, ci siamo precipitati a Taksim suonando e abbiamo visto la speranza negli occhi della gente. Il sistema cerca di mettere paura e dividere le persone: noi combattiamo con uno dei ritmi più antichi al mondo, che ha trascinato popolazioni dall’Africa al Sudamerica”. Ümit descrive l’effetto della musica sulle persone come “enteogenico”: tali sono le sostanze psicoattive usate in contesto religioso:  “La  gente nel mezzo di una tempesta di  lacrimogeni reagiva con una forza che non gli apparteneva, e parte di questa adrenalina veniva dalla musica”. I musicisti hanno visto i loro strumenti bruciare nella notte del 30 Maggio 2013, quando la polizia ha appiccato il fuoco a tende ed oggetti personali dei manifestanti.

La tradizione musicale turca è controversa: terra incrocio di mille culture, ognuna ha lasciato le proprie melodie. La musica curda, spesso veicolo di messaggi di resistenza, era vietata fino a dieci anni fa. Oggi i divieti si spostano verso i nuovi mezzi di comunicazione: Ümit sorride quando chiedo se e’ preoccupato dalle conseguenze che la nuova legge su Internet potrebbe avere: “Prima di Gezi avevamo già la sensazione che qualcosa del genere sarebbe accaduto: così due amici ingegneri hanno realizzato piccoli router>> dice indicando la grandezza del pacchetto di sigarette <<che possono connettersi  in un’area grande come Beyoğlu”.

 La tentazione di fuggire da una società percepita come opprimente e’ forte in molti giovani, soprattutto se hanno la fortuna di poter vivere di un linguaggio universale quale la musica: ma Ümit non si trova d’accordo; a suo dire “un artista e’ in in grado di percepire la realtà circostante con la massima sensibilità e ama viaggiare: il suo ruolo però è riportare ciò che si è sperimentato a vicini di casa ed amici che non sono in grado di fare lo stesso”.

Diversa è l’opinione di Serkan Öz, direttore ed attore teatrale che da anni realizza opere provocatorie, trattando temi come l’omosessualità (in No way out), scherzando sull’ammirazione per il fondatore della Repubblica Atatürk e sul conservatorismo religioso. “Se Erdoğan vincerà anche le prossime elezioni, mi trasferirò a Berlino, dove potrò realizzare progetti che criticano apertamente il governo”. Serkan propone un teatro realistico, che coinvolge i cinque sensi dello spettatore: “Una volta abbiamo ucciso un pesce sul palco ed il pubblico rimase scioccato: fino a che la violenza rimane dietro ad uno schermo e non ti tocca con la sua puzza o il suo rumore non ne sarai mai coinvolto del tutto. Questo è accaduto a Gezi e nelle proteste successive: la violenza ci ha toccato da vicino e spinti a reagire. L’arte ha una potenza comunicativa senza eguali negli altri mezzi di comunicazione”.

 Il manager di Öz intende cancellare i suoi profili Facebook e Twitter, dopo che l’attore e’ stato scartato dalla famosa serie televisiva Kurtlar Vadisi  per i contenuti pubblicati sui social network.

Un approccio meno diretto e’ stato scelto dal regista Hasan Serin nel suo cortometraggio Ağra ve Ağrı (Ağra e la montagna), presentato al Film Festival di Berlino, che racconta in chiave fiabesca la vita quotidiana di una ragazzina cresciuta in un villaggio curdo alle pendici del Monte Ararat, nell’estremo Est della Turchia. La lingua utilizzata è il curdo “ma questo non è più un problema oggigiorno. La bambina però parla turco, il maestro la punirebbe se parlasse nella sua lingua madre”. Hasan racconta che il problema principale è stato coinvolgere le persone del villaggio: l’imam del paese si e’ presentato con il Corano dicendo che “non c’è cinema” nel libro sacro. “Nessuno dei miei lavori e’ mai stato censurato ma questo genere di produzioni non sono mostrate al cinema, prendono solo parte ai festival” .

Fino a che punto e’ necessario tenere l’arte sotto controllo? Nel mondo del cinema, un metodo di tutela semplice è il divieto per i minori di 18 anni “ma in molti casi non è lasciata alcuna scelta alle persone. Prendiamo il nuovo film di Lars Von Trier, Nymphomaniac: e’ stato bandito dalle sale turche, decidendo a priori che nessuno può essere interessato a vederlo” dice Hasan.

Scegliere quali informazioni ricevere è un privilegio: scegliere un giornale, rifiutare di vedere assurdi programmi televisivi o comprare un biglietto per il teatro, è una scelta. Così in Turchia c’è chi decide di  informarsi leggendo fumetti, in cui spesso sono riportate più notizie che nei giornali tradizionali. La critica attraverso le caricature ha una lunga tradizione. La rivista Girgir (“Divertimento”) negli anni ’70 e ’80 vendette fino a 500 000 copie alla settimana. Con il tempo i fumettisti di Gırgır fondarono i loro giornali, sfociando negli attuali Leman, Penguen e Uykusuz.

Serkan Altuniğne è un caricaturista di Penguen da 12 anni e tratta temi che spaziano dalla politica alle relazioni umane. “Nel tempo, il senso dell’umorismo delle persone è cambiato: la nostra mente è più veloce, siamo abituati a ridere per una frase di 140 caratteri su Twitter; così, il nostro modo di rappresentare i problemi della società è diretto e non lascia spazio a troppi umorismi impliciti”. D’altronde, i lavoratori di Penguen non hanno pensato di applicare un auto-censura al loro lavoro nemmeno dopo che un anno fa qualcuno ha provocato un incendio doloso nella redazione: si sono spostati in un edificio sorvegliato all’entrata, e la loro porta non riporta il vero nome.  “La conseguenza maggiore è stato il senso di colpa del disegnatore Bahadir Baruter per averci esposto a ritorsioni; Baruter è stato processato dopo una vignetta in cui si intravedevano sul muro di una moschea le parole Non c’è nessun Dio, la religione è una bugia“. Allo stesso modo, il fumettista Musa Kart fu multato per aver ritratto Erdoğan con le sembianze di un gatto, scatenando la solidarietà di Penguen che ha realizzato una sorta di calendario con il primo ministro sotto le sembianze di molti animali. “Il disegno di Baruter non era offensivo” dice Altuniğne “è una dichiarazione di pensiero come un’altra”.

All’intervista con il fumettista è presente anche Derya Ülker, pittrice e amministratrice presso l’Università di Belle Arti di Istanbul Mimar Sinan: “Le forme d’arte in grado di creare un contatto diretto con la gente sono quelle in cui la scelta di essere esposti all’arte non c’è, ma letteralmente “sbatti” contro di essa. Queste sono le più adatte alla critica sociale, perché coinvolgono anche chi non condivide la tua posizione, come nel caso dei graffiti o del teatro di strada”. A tal proposito, il 27 Marzo ha preso forma il “Sokak Tiyatrosu Festivali”, in cui musicisti, attori e ballerini hanno realizzato performance in vari punti di Istanbul; mentre un attore urla nella centrale Istiklal Caddesi che “bambini vengono uccisi in questo paese” – facendosi ricoprire di carta igienica, bianca come il loro vestito quando vengono seppelliti – e una ballerina danza su un tetto tra tre presunti soldati, le speranze che i messaggi comunicati con il tatto di un artista raggiungano il cuore della gente riaffiorano.


[1] Reporters without borders

[2] “Tunel Production”

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Un commento

  1. Veramente un bel pezzo. Bellissimo lavoro di ricerca sul campo. Questo si che è giornalismo. andrea

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