TURCHIA: Ankara guarda all'Egitto, e sogna di dominare il Medioriente

di Matteo Zola

Le tre direzioni della politica estera di Ankara

Erdogan ha invitato Mubarak ad “ascoltare il popolo“, vale a dire di lasciare il potere in Egitto ed andarsene in qualche esilio dorato. La posizione di Ankara non è irrilevante nello scacchiere mediterraneo, la Turchia sta cercando di costruirsi una posizione di leadership su più piani: il primo è quello turcofono. Il Paese sta infatti cercando di porsi come guida politica per gli interessi della comune famiglia turcofona: Azerbaijan, Uzbekistan, Kazakistan, Turkmenistan, Kirghizistan. Tutti Paesi dal notevole potenziale energetico. Il secondo piano è quello balcanico dove la Turchia è vicina a Bosnia e Macedonia, una vicinanza fatta di investimenti economici e richiamo alle comuni radici culturali ottomane. Il terzo piano è quello religioso: Ankara non vede di cattivo occhio la caduta dei regimi nordafricani, specie se a sostituirli saranno governi democratici, sì, ma d’ispirazione islamica. Un Islam moderato, come quello che piace a Erdogan. E di cui la Turchia potrebbe farsi portavoce.  Così sui media locali ci si chiede se il “modello turco“, laico e parlamentare, possa essere copiato nei Paesi musulmani dell’area mediorientale

Erdogan guarda all’Egitto

ll premier Tayyip Erdogan, con un discorso in parlamento, ha rotto il silenzio di Ankara sulle proteste scoppiate in Egitto il 25 gennaio scorso. Nell’intervento, trasmesso in diretta dalla televisione Al Jazeera con traduzione simultanea in arabo, Erdogan ha dedicato ampio spazio alla questione egiziana, facendo riferimenti anche a quella tunisina. Infine, rivolgendosi direttamente al presidente Mubarak, lo ha invitato ad ascoltare la “voce del popolo” .

“Le popolazioni del Medioriente e le loro componenti giovani e dinamiche con fiducia nella democrazia e nei diritti umani, con una mentalità aperta e una visione liberale possono dare inizio ad un movimento nuovo di cultura e civiltà” ha detto Erdoğan, aggiungendo di non credere che “una democrazia possa generare caos” o “radicalismo” perché “ordine e stabilità possono essere ottenute solo nelle democrazie avanzate”. “Non bisogna assolutamente temere elezioni libere, giuste e democratiche, e nemmeno la volontà del popolo. Poiché la coscienza comune del popolo non può sbagliare”, ha commentato infine il premier.

Parole che gli sono state girate contro dall’opposizione: Kemal Kiliçdaroglu, segretario del Chp, il Partito repubblicano del popolo, ha dato voce a coloro che temono che la politica estera turca sia ormai troppo sbilanciata verso oriente e che si uniformi troppo al mondo arabo anche per quanto riguarda i costumi interni.

Turchia uguale democrazia?

Che Ankara abbia saldato un asse con Teheran non è più un segreto per nessuno. Trovata chiusa la porta dell’Unione Europea, la Turchia ha approntato una politica estera che mira a farla diventare una potenza nella regione mediorientale. Una potenza economica e militare, ma non un faro di democrazia, come ha scritto l’analista politica Aslı Altıntaşbaş sul quotidiano turco “Milliyet”. In effetti, fatta eccezione per la popolazione di Gaza, in difesa della quale il premier Erdogan si è levato più volte contro Israele (accrescendo le simpatie del mondo arabo per la Turchia), sulle violazioni dei diritti umani in altri paesi musulmani Ankara è rimasta sempre in silenzio. Specia quando, nel 2009, la “rivoluzione verde” iraniana è stata repressa. In occasione della guerra in Darfur, infine, Erdogan ebbe parole sibilline: “Un musulmano non può compiere un genocidio”. Si riferiva al presidente sudanese Omar Al Bashir, ma è difficile non pensare al genocidio armeno che la Turchia ancora si rifiuta di riconoscere.

La Turchia come modello? Un sondaggio

La Turchia come modello per il nuovo Egitto? E’ quanto auspicano ad Ankara. Un sondaggio però consente un’ulteriore analisi. Condotto dalla Fondazione turca per gli studi economici e sociali, il sondaggio ha interrogato 2267 persone nel periodo tra 25 agosto e il 27 settembre 2010. Gli intervistati erano cittadini non della Turchia ma di Giordania, Libano, Palestina, Siria, Iran, Egitto, Arabia Saudita e Iraq. L’esito del sondaggio è stato riportato da Osservatorio Balcani:

Per il 66% degli intervistati la Turchia rappresenta un modello di riferimento, e anche un’unione riuscita di Islam e democrazia. Questa percentuale è più alta e supera il 70% in Giordania, Libano, Palestina e Siria.

Per l’Egitto e l’Iran il motivo principale per cui considerare la Turchia un modello è la sua identità musulmana, mentre per Giordania, Palestina, Arabia Saudita e Siria è la difesa dei diritti dei palestinesi/dei musulmani.

Il fatto che abbia un governo democratico è il principale motivo di scelta in Libano, mentre in Iraq prevale la considerazione della sua “struttura politica laica”. La classifica generale vede però ai primi posti la motivazione della sua identità musulmana (15%), quella della sua economia (12%), del suo governo democratico (11%) e infine del suo atteggiamento protettivo verso i diritti dei palestinesi/musulmani (10%).

È interessante notare che all’interno della percentuale per il “no” ad una eventuale Turchia-modello, al vertice delle motivazioni si trova la sua “carenza” religiosa: per il 12% il “no” è dovuto alla sua struttura statale laica, per l’11% al fatto di non essere sufficientemente musulmana, per il 10% ai suoi rapporti con l’Occidente. L’8% ritiene infine che non siano necessari dei modelli.

Oltre la metà dei partecipanti al sondaggio (54%) sostiene l’adesione della Turchia all’Ue, un dato che però risulta in calo rispetto al 2009 (57%). È diminuita anche la percentuale delle persone che ritengono che il processo d’adesione della Turchia all’Ue influenzi positivamente il suo ruolo in Medioriente (dal 64% al 57%).

Intanto anche le strade turche si sono affollate di manifestanti e la polizia è stata costretta alla carica e all’uso di lacrimogeni. Le proteste non sono nel segno della solidarietà con l’Egitto, ma hanno una ragione tutta interna alla Turchia: si protesta contro le nuove leggi volute da Erdogan: dalla limitazione all’uso degli alcolici (una legge d’ispirazione “religiosa”) , alla nuova legge sul lavoro e  sulla riforma della magistratura.

Vedremo se Erdogan, quando dice che “bisogna ascoltare il popolo”, si riferisce anche al suo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. In Egitto ci sono disordini, la guerra civile nelle capitali e nei paesi occidentali a trovare una posizione comune. Alcuni, come il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon chiede libere elezioni subito, mentre il primo ministro italiano Silvio Berlusconi Mubarak rinforza la schiena. Forse è una buona cosa, perché alla fine deve decidere il popolo egiziano, come procedere lì. Ai miei occhi questo Mohamed ElBaradei solo uno che ora vuole saltare sul treno in movimento alla polvere, a volte velocemente presidente. Lui è nei miei occhi non è la legittimità democratica.

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