TAGIKISTAN: Ucciso il comandante dei ribelli musulmani

di Massimiliano Ferraro

 

Sembrava un guerriero d’altri tempi ed è morto nell’unico modo possibile per uno come lui: combattendo fino alla fine. Abdullo Rakhimov, meglio noto come Mullo Abdullo, comandante della milizia musulmana attiva in Tagikistan, è rimasto ucciso in un raid delle forze governative lo scorso 15 aprile. L’operazione militare, condotta in grande stile dal governo tagiko con aerei e veicoli corazzati, ha portato anche all’uccisione di altri dieci mujaheddin, tra cui una donna non ancora identificata.
Nato a Kamongaroni Poyen, piccolo villaggio vicino alla capitale tagika Dushanbe, Mullo Abdullo aveva 61 anni. Era un combattente esperto, uno dei più importanti e discussi comandanti delle milizie islamiche ribelli. Un terrorista simile a Bin Laden secondo il presidente tagiko Emomali Rakhmon, sulla cui testa pendeva da dieci anni un mandato di cattura internazionale, un eroe per gli abitanti dei villaggi d’alta quota delle montagne del Pamir.

Dopo la fine della sanguinosa guerra civile tagika, che dal 1992 al 1997 vide scontrarsi i ribelli dell’Opposizione Unita Tagika con l’esercito del presidente Rakhmon, Mullo Abdullo fu tra i pochi che in nome dell’islam si rifiutò di deporre le armi. Dal 2000 al 2009 si rifugiò in Afghanistan, combattendo al fianco dei talebani fino a quando nel 2010 i servizi di sicurezza hanno segnalato il suo ritorno in Tagikistan. Proprio ai suoi uomini è stata attribuita la responsabilità nell’agguato del 19 settembre 2010 ai danni di un convoglio militare, costato 28 morti tra soldati ed ufficiali dell’esercito tagiko. Come un Butch Cassidy in salsa centroasiatica, ramingo tra valli e altopiani, Mullo Abdullo era braccato da sette mesi dalle forze filo-governative. Hanno aspettato l’arrivo della primavera e l’hanno scovato, solo grazie alla soffiata di un traditore, nell’unico luogo in cui un mujaheddin di quelle terre possa pensare di nascondersi: la Valle Rasht, remota zona montuosa a circa 200 km ad est di Dushanbe.

Secondo la tv di stato tagika i ribelli musulmani erano in possesso di un gran numero di armi ed esplosivi, oltre che di mappe dettagliate di alcuni edifici di Dushanbe che sarebbero potuti divenire bersaglio di attacchi terroristici. Nessuno dei membri del gruppo facente capo ad Abdullo è stato catturato vivo; asserragliati in una grotta, hanno opposto fino alla fine una «resistenza selvaggia».

 Origini della resistenza islamica in Asia Centrale

L’eliminazione di Mullo Adbullo non riesce in ogni caso a tranquillizzare del tutto il presidente Rakhmon, sempre alle prese con la fragilità di uno stato artificioso, il più povero tra quelli post-sovietici dell’Asia Centrale. Ampie zone del Paese sono ancora sotto il controllo dei ribelli musulmani, la cui strenue resistenza contro il governo affonda le radici in tempi molto lontani, ben prima della lotta internazionale al terrorismo islamico iniziata l’11 settembre 2001 e sfruttata abilmente da Rakhmon come cavallo di battaglia per la sua permanenza al potere. Per trovarne le origini bisogna tornare indietro al 1916, al sogno di un grande stato islamico indipendente nell’Asia Centrale chiamato Turkestan incarnato dai bassmacci musulmani (nome che deriva dal russo “baskinji”, cioè banditi), che si opposero al dominio dell’impero russo sulle loro terre.

Inizialmente appoggiati dai bolscevichi di Lenin, divennero ben presto un pericolo anche per il nascente stato sovietico. Guidati dal leggendario Sultan Galiev, i bassmacci subirono violenze e massacri ma continuarono a guerreggiare sui monti del Pamir fino a quando nel 1931 la loro rivolta venne domata da Stalin. Il Turkestan venne quindi diviso in cinque repubbliche tra cui il Tagikistan, nel tentativo in parte riuscito di creare spaccature e rancori tra i popoli centroasiatici.

Tuttavia, nemmeno l’implacabile repressione dell’Uomo d’Acciaio georgiano riuscì mai a piegare del tutto lo spirito ribelle dei bassmacci. Seguendo una strategia che ricorda molto il detto di Cosa nostra “calati juncu ca passa la china”, i guerrieri islamici tornarono sempre a colpire nei pochi momenti in cui l’Unione Sovietica mostrò dei segni di debolezza: alla morte di Stalin e all’inizio della perestrojka di Gorbaciev.

Infine, il crollo dell’Urss e la nascita delle repubbliche indipendenti dell’Asia Centrale coincise con il definitivo ritorno armato dell’islam, soprattutto nei villaggi più isolati dove il mito dei bassmacci è sopravvissuto persino all’indottrinamento comunista. I loro eredi presero parte alla guerra civile tagika e ancora oggi, resi potenti dal controllo del narcotraffico che ha origine dalle piantagioni di oppio afghane, rappresentano una spina nel fianco del governo locale. Il sogno del Turkestan è lontano ma c’è da credere che tra le montagne del Tagikistan un altro mujaheddin abbia già preso il posto di Mullo Abdullo, lo stesso che un tempo fu di Sultan Galiev. La storia insegna e Emomali Rakhmon non fa certo paura quanto Stalin.

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