“Orbán ha dato un senso all’essere ungheresi”, Argentieri spiega la vittoria di Fidesz

“L’Ungheria si conferma la guida dei movimenti populisti che stanno avanzando in tutto il mondo” Federigo Argentieri, storico e docente, si occupa di Ungheria dagli anni Settanta. Vi ha vissuto a lungo per motivi di ricerca e non ha mai smesso di seguirla, nonostante insegni a Roma. Suoi alcuni dei più centrati testi sul 1956, mentre al giorno d’oggi viene continuamente intervistato per comprendere la politica e la società ungheresi. 

I risultati 

91 collegi elettorali su 106, 134 seggi su 199: la coalizione Fidesz-KDNP conquista il 48,5% dei voti. In pratica l’Ungheria è tutta arancione, mentre Budapest consegna 12 collegi su 18 ai partiti di opposizione.

C.L: Quanto incide il sistema elettorale sull’ottenimento dei due terzi del Parlamento?
F.A: Influisce quanto basta, come nel 2014 quando era già in vigore. Con la prima super-maggioranza del 2010 Fidesz ha riscritto la Costituzione e rifatto il sistema elettorale, basandosi sulle elezioni precedenti, in particolare sulle quelle del 2002 dove erano stati castigati (dopo il primo governo Orbán, 1998-2002, ndr). Un’analisi dei collegi in cui l’opposizione aveva preso la maggioranza ha permesso di ridisegnare i collegi, letteralmente quartiere per quartiere, configurando gli attuali collegi elettorali. Questo sistema non è illegale, ma per contrastare Fidesz ci vuole una strategia accurata ed è davvero difficile spuntarla.

C.L: Budapest include 18 dei 106 collegi elettorali ungheresi. Come mai Fidesz non convince la capitale?
F.A: Storicamente Budapest non è allineata con il resto del Paese. Già l’Ammiraglio Horthy la chiamava la “città peccatrice” (bűnös város, ndr). In realtà stavolta Fidesz a Budapest ha preso molti voti in più del previsto.

C.L: Cosa ha sbagliato il fronte di opposizione?
F.A: L’opposizione soffre innanzitutto di un grosso problema: non sa come rispondere alle mosse di Orbán. Quest’ultimo dal canto suo interpreta molto meglio i sentimenti popolari. Sono stato al comizio di Karácsony (principale candidato dell’MSzP) c’era pochissimo seguito e l’atmosfera era rassegnata, diciamo pure triste. Trovo ingeneroso, ma naturale, il paragone con il discorso del 15 marzo di Viktor Orbán davanti alla piazza del Parlamento gremita ed entusiasta. Mi pare che ormai al seguito dei socialisti restino solo in pochi, i vecchi kadariani e i reduci della opposizione democratica.

C.L: Con un’opposizione così debole la democrazia è a rischio?
F.A: Certamente. Trovandosi di nuovo con la maggioranza dei due terzi e non avendo un fronte organizzato dall’altro lato, la tentazione autoritaria può sorgere.

C.L: Parliamo della campagna della Fidesz, cosa ha funzionato di più?
F.A: Orbán si è confermato molto abile. Ha evitato i confronti con i giornalisti, rifiutato di partecipare alla discussione finale con la Szél, Vona e Karácsony (LMP, Jobbik e MSzP), come a dire che lui non si abbassa nemmeno a dialogare con loro. La mattina partiva in sordina per recarsi in località nota solo a pochissimi per poi visitare la scuola, la parrocchia, il villaggio e gli anziani. Gli altri partiti sono del tutto assenti dall’Ungheria profonda e la battaglia diventa del tutto impari.

C.L: Azioni ben diffuse sui social e dal potere immediato sulla gente. Orbán usa i social media con attenzione restando fedele alla tradizione; sembra questa la ricetta che vince in Ungheria…come mai?
F.A: Gli ungheresi in maggioranza non sono razzisti, ma non vogliono i rifugiati. Orbán ha dato loro un senso all’essere ungheresi. Alla domanda “Chi siamo?” arriva la gradita risposta “Siamo quelli che dai margini dell’Europa hanno respinto l’occupazione Ottomana. Oggi alla vigilia di una grande invasione deve esserci riconosciuto questo merito. Siamo anche vittime dell’ingiustizia del Trianon e della tragedia del 1956 e adesso siamo finalmente sovrani. Siamo inoltre pragmatici: con la Russia non abbiamo problemi, perché non dobbiamo rivendicare il passato, con cui abbiamo fatto la pace. Siamo dei partner per Bruxelles, ma dei partner che non dicono sempre sì, diciamo anche no. Quando vediamo i fenomeni dal punto di vista dei nostri interessi e questi non si allineano alla decisione comune, non abbiamo paura di dire no.

Un popolo che, come ce lo descrive Argentieri, finalmente riesce a mettere insieme i pezzi del puzzle della sua identità. 

 

L’intervista è stata pubblicata originariamente su Economia.hu

Chi è Claudia Leporatti

Giornalista, è direttore responsabile del giornale online Economia.hu, il principale magazine in italiano sull'economia ungherese e i rapporti Ungheria-Italia, edito da ITL Group. Offre tour guidati di Budapest in italiano e inglese. Parla inglese e ungherese, ma resta una persona molto difficile da capire. Scrive racconti e sta lavorando (o pensando) al suo primo romanzo. Nata a Bagno a Ripoli (Firenze) senza alcuna ragione, vive a Budapest, per lo stesso motivo.

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