STORIA: I prigionieri di guerra italiani in Unione Sovietica

Da poco è stata pubblicata dalla casa editrice Il Mulino la seconda edizione (rivista e ampliata) del lavoro di Maria Teresa Giusti sui prigionieri di guerra italiani in Unione Sovietica.

Il lavoro di Maria Teresa Giusti si basa sulle testimonianze dei reduci e sulla documentazione inedita, ritrovata in archivi sovietici fino a poco tempo fa assolutamente inaccessibili, relativa ai militari appartenenti al CSIR (il Corpo di spedizione italiano in Russia), inviato da Mussolini sul fronte orientale nel luglio 1941, che fu poi inquadrato nell’Ottava armata italiana (Armir), in partenza per il fronte nell’estate successiva.

Attingendo alle nuove fonti russe e italiane Giusti ha ricostruito e documentato, per la prima volta nella sua completezza, il calvario dei prigionieri: dal momento della cattura alle terribili marce del “davai” verso i campi di raccolta nelle retrovie; dai lager al difficile e contrastato rimpatrio che per alcuni si realizzò solo nel 1954, fino alla contabilità dei morti che è stata possibile solo dopo il crollo del sistema comunista sovietico.

Prima dell’uscita di questo volume, la tragedia degli italiani sul fronte orientale era una sorta di tabù: malgrado il destino di migliaia di italiani catturati dai sovietici fosse comune a tante famiglie e la questione del loro rimpatrio avesse monopolizzato l’interesse dell’opinione pubblica dell’epoca, il tema è stato confinato alla memorialistica dei reduci e ha subito una sorta di oblio nella storiografia italiana.

Grazie all’apertura degli archivi ex sovietici negli anni Novanta Giusti ha potuto accedere ai documenti segreti e studiare il tema da un’altra ottica, più completa. Dalle carte è anche emerso che l’indice di mortalità tra i prigionieri italiani fu quello più alto rispetto ai prigionieri di altre nazionalità.

Un aspetto originale del volume è poi dato dalla ricerca sulla propaganda antifascista, organizzata tra i prigionieri degli eserciti invasori e volta a trasformarli in alleati dell’Unione Sovietica. Nel corso delle nuove ricerche documentarie, Giusti ha conseguito importanti acquisizioni storiografiche, portando alla luce alcuni aspetti della vicenda poco noti, come le direttive emanate dallo stesso Stalin per lo sfruttamento dei prigionieri come manodopera; la negligenza e il caos che caratterizzarono i primi mesi della prigionia e che sovente furono la causa dell’alta mortalità.

In questa nuova edizione del volume, si getta luce anche su alcune questioni di rilievo, quale l’opera di spionaggio intrapresa nei lager tra i prigionieri e incoraggiata dalla polizia segreta, l’NKVD; l’azione della CGIL e in particolare del segretario Giuseppe Di Vittorio, tesa ad ottenere il rimpatrio dei prigionieri italiani; il contributo fornito dalla Santa Sede nell’opera di collegamento tra i prigionieri e i loro familiari in Italia.

Di notevole interesse anche le nuovi informazioni sui prigionieri italiani a cui vennero addebitati crimini di guerra. Dai documenti sovietici risulta che se alcuni di loro si erano comportati effettivamente in maniera brutale, gli altri non avevano affatto compiuto le atrocità di cui erano accusati, ma erano colpevoli soltanto di comportarsi come fascisti convinti, rappresentando così il fallimento della propaganda comunista. I presunti criminali di guerra italiani furono trattenuti anche dopo la fine del conflitto, insieme al personale diplomatico della RSI, catturato dall’Armata Rossa nelle legazioni di Sofia e Bucarest.

Il governo italiano dovette piegarsi alle richieste di Mosca: con un accordo del 1949 otteneva il rimpatrio dei prigionieri italiani ma solo dietro consegna di tutti cittadini sovietici, anche donne e bambini, che avevano trovato rifugio nel nostro paese durante e prima del conflitto e che non volevano rientrare in Unione Sovietica, perdendo la loro libertà. Gli ultimi prigionieri italiani accusati di crimini sarebbero rimpatriati soltanto dopo la morte di Stalin.

Infine, un’altra vicenda che Giusti sottrae all’oblio è quella degli “Internati militari”, catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 nei Balcani. Migliaia di loro, nel 1944, durante l’avanzata dell’Armata Rossa verso occidente, caddero in mano sovietica e furono arbitrariamente deportati nell’Urss come prigionieri di guerra, sebbene da internati si fossero rifiutati di collaborare con la Germania e nonostante l’Italia del Regno del Sud fosse ormai paese cobelligerante al fianco degli Alleati.

La prima edizione del lavoro di Maria Teresa Giusti è stata pubblicata anche in Russia (San Pietroburgo, Aleteya, 2010). Il libro ha vinto il premio nazionale “Cherasco Storia”, edizione 2005, ed è stato selezionato, nelle edizioni 2004, tra i cinque finalisti al Premio città di Acqui (saggistica) e al Premio Ostia di Mare–Roma. Maria Teresa Giusti insegna Storia contemporanea e Storia sociale presso il Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali dell’Università «G. d’Annunzio» di Chieti-Pescara.

Mercoledì 22 aprile 2015, alle 17,30, a Trento, nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55) il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza l’incontro-dibattito “I prigionieri italiani di guerra in Unione Sovietica”. Intervengono Lorenzo Gardumi, Maria Teresa Giusti e Fernando Orlandi. Introduce Massimo Libardi.

Chi è Fernando Orlandi

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2 commenti

  1. Bonaiti Emilio

    Io ho vagamente sentito parlare di un interessamento di Togliatti per la sorte dei prigionieri italiani in Russia

    • Certo che ne parlò, e se la cosa ti incuriosisce approfondisci l’argomento e capirai come al peggio non c’è mai fine.
      Cordialmente
      Vito Eliseo

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