STORIA: Alla corte di Vlad l’impalatore, le origini del mito di Dracula

Lungo le sponde del lago Siverskoye era la primavera del 1460, anno più, anno meno. Le possenti mura del monastero di Kirillo-Belozersky proteggevano i monaci dai freddi venti che arrivavano ancora dalla Russia orientale. I figli cadetti delle più importanti famiglie boiare della Moscovia studiavano le sacre scritture e dipingevano icone. Tutti tranne uno, il cui nome non sappiamo per certo. Forse si trattava di Fedor Kuritzyn, un uomo della corte dello zar Ivan III, forse no. Sappiamo solo il nome con cui prese i voti, Efrosin.

Per quanto giovane, è uomo colto e smanioso di dare il proprio contributo all’affermazione del suo signore, Ivan III, presto noto con l’appellativo di Ivan il Grande, colui che unì “tutte le Russie” conquistando i principati di Novgorod, Jaroslav, Tver, Pskov. Il nuovo stato aveva bisogno di un nuovo progetto politico, un nuovo modello di gestione del potere. Efrosin si offrì di andare a studiare da vicino un paese di cui all’epoca si faceva un gran parlare, la Valacchia, guidata da un temutissimo principe, Vlad III. Fu così che partì per un lungo viaggio, fino all’attuale Romania meridionale, di cui abbiamo testimonianza grazie al Povest’ o Drakule Voevode, il “Racconto di Dracula voivoda” (Sellerio, 1995) che Efrosin redasse per il suo zar.

Giunto in Valacchia rimase ospite di Vlad III per alcuni anni. Vlad, membro della  Casa dei Drăculești, ebbe una giovinezza difficile. A seguito della crociata di Varna, con cui gli ungheresi cercarono di respingere senza successo l’avanzata turca, fu mandato dal padre come ostaggio a Edirne presso la corte del sultano Murad II. Il padre, Vlad II, non ebbe scelta: il ragazzo era la garanzia che la Valacchia avrebbe versato ogni anno i tributi all’impero ottomano. Il principato di Valacchia si trovò così a servire due padroni, da un lato il regno d’Ungheria, di cui era vassallo, e dall’altro l’impero ottomano, di cui era tributario. Presso i turchi forse Vlad fu vittima di sodomia, e forse da questo derivò la sua ossessione successiva. Alla morte del padre, ucciso dagli ungheresi, i turchi lo posero come principe di Valacchia inviandolo a riconquistarsi il trono con una scorta di soldati turchi. Era il 1456, tre anni dopo la conquista di Costantinopoli.

Efrosin ci restituisce alcuni aspetti del suo modo di esercitare il potere. Attraverso una serie di esempi “edificanti” il monaco russo getta le basi per la futura ideologia di potere russa (poi pienamente incarnata da Ivan il Terribile) ma quegli esempi, ai nostri occhi, sembrano solo gratuita crudeltà. Tra tutte le malvagità di Vlad c’era l’abitudine di far impalare i propri nemici. La pala era una punizione ben nota presso i turchi ma nella mani di Vlad divenne “un vero e proprio strumento di terrore di massa” (N. Davies, 1996) con cui il voivoda suggellava il proprio potere. Con una punta affilata e ingrassata, la pala “alla valacca” veniva conficcata nel retto della vittima fino a uscirne dalla bocca. Il supplizio poteva durare diversi giorni. Si ritiene abbia ucciso così migliaia di persone, a partire dalla nobiltà locale fedele alla casata dei  Dănești, il ramo nemico dei Drăculești. Tale pratica gli valse l’epiteto di “tepeș“, l’impalatore. Efrosin insiste su come quella crudeltà non fosse né gratuita né frutto di follia: Vlad era un sovrano giusto e imparziale, non è il capriccio a guidare i suoi giudizi. Ha emanato leggi che devono essere rispettate in un paese attorniato da nemici in cui l’ordine interno è l’unica garanzia di sopravvivenza.

Il monaco slavo lasciò la Valacchia prima della guerra con gli ottomani ma fece in tempo a riportare nei suoi appunti come Vlad ricevette gli emissari turchi che chiedevano la riscossione del tributo annuale: fece loro inchiodare i turbanti alla testa come punizione per non averli voluti togliere al suo cospetto. Questa fu la dichiarazione di guerra, Vlad si unì alla crociata ungherese contro i turchi che terminò, dopo alterne vicende, con la sconfitta. Ma Vlad si distinse per grandi vittorie al punto che il papa lo salutò come “salvatore della cristianità”. Al termine della guerra, Vlad trascorse alcuni anni prigioniero del sovrano ungherese Mattia Corvino, e divenne un personaggio noto al mondo tedesco grazie al Geshtichte Dracole Wayde, un resoconto sulle sue gesta pubblicato a Vienna nel 1463. Il testo contribuì in modo decisivo alla fama negativa di Vlad ed è alla base di molte invenzioni successive che lo scrittore irlandese Bram Stoker convoglierà nel suo Dracula (1897).

Il monaco Efrosin, tornato in Russia, pubblicò nel 1488 il suo Racconto di Dracula voivoda che è oggi l’unica testimonianza coeva della vita di Dracula. Quella pagine, secondo alcuni storici russi, influenzarono la politica di Ivan il Terribile. E’ interessante ricordare come Ivan il Terribile, nel 1944 venne rappresentato – nell’omonimo film – da Ejzenstejn come “modello” di Stalin. Un modello di crudeltà patologica che muove, forse, proprio da Vlad dandogli una longevità nel mondo russo non dissimile da quella avuta nell’Europa occidentale con il romanzo di Stoker.

Vlad non era però quel mostro di male assoluto che oggi siamo abituati a pensare. E’ interessante notare come nella tradizione e nel folclore romeni non esista alcuna testimonianza di un Dracula “succhiasangue”, simbolo del male (si veda Mihai Marinescu, “Il mito di Dracula nella tradizione romena“) ma sia invece presente il ricordo di Vlad III di Valacchia come campione della “storia sacra” del paese. Si è infatti visto come tutta la cristianità salutò le sue vittorie contro i turchi facendo di Vlad un “eroe di Cristo“. E nell’unione in Cristo c’è la comunanza del sangue (nel rito cristiano si beve il sangue di Cristo) ma in Dracula il simbolo è rovesciato: bere il sangue per il Dracula di Stoker è il modo in cui si inizia l’umanità al male. La moderna rappresentazione di Vlad III di Valacchia come campione del male è infatti un rovesciamento simbolico e una mistificazione della figura del voivoda romeno, che diventa prototipo di quel vampiro prestatosi a innumerevoli reincarnazioni letterarie. E le credenze sui vampiri nascono e si sviluppano proprio in Romania e nei Balcani, dove il retaggio dell’antica mitologia slava era sopravvissuta alla cristianizzazione. L’opera di Stoker unisce quindi folklore balcanico e verità storica in un intruglio romanzesco fatto di gusto per la paura, allegorie sessuali, fantasie gotiche, condannando la figura di Vlad III di Valacchia all’eternità del mito. Un mito moderno che viene da lontano, iniziato quando il monaco Efrosin si mise in cammino, seicento anni fa, dal suo remoto monastero verso il cuore dei Carpazi.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

Leggi anche

Quando i vichinghi difesero Costantinopoli

Vichinghi, normanni, norreni che dir si voglia. Uomini del nord, genti scese con le loro drakkar dalla fredda Scandinavia. Nel 1204 li troviamo a combattere all'ultimo sangue nella difesa di Miklagard, questo il nome che davano a Costantinopoli. Che ci fanno dei vichinghi a Costantinopoli e contro chi combattono?

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com