STORIA / 9 – Vent'anni dopo, Back to USSR

di Susanne Scholl

traduzione di Lorenza La Spada

/ 1: Il 1991, un anno chiave

/ 2: L’Unione Sovietica di fronte a una prova decisiva

/ 3: Primavera 1991, al culmine della crisi

/ 4: Il matrimonio tra Eltsin e Gorbaciov

/ 5: La Russia elegge Boris Eltsin

/ 6: Lo scontro si inasprisce

/ 7: La fine dell’Unione Sovietica e le sue conseguenze

/ 8: L’impotenza dopo un colpo di stato fallito

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Più poteri al presidente della Russia (leggi l’articolo originale)

Nell’ottobre 1991 la gente in Russia era profondamente scontenta. La situazione economica non era migliorata dal golpe in agosto, le promesse riforme annunciate da Boris Eltsin non prendevano il via e nessuno sembrava sapere come si dovesse procedere.

Le altre Repubbliche sovietiche erano in fermento e il grido “via da Mosca”, soprattutto in Ucraina, non si sentiva più. Alla domanda su cosa turbasse il Paese, che ancora portava il nome di Unione Sovietica, nessuno sapeva più rispondere. Mikhail Gorbaciov rimaneva ufficialmente il Presidente sovietico e risiedeva ancora al Cremlino, ma la sua influenza era pari a zero. In quegli stessi giorni di incertezza si andavano creando le basi di ciò che oggi rende difficili le cose in Russia. L’eccessivo potere del Presidente e il conflitto nel Caucaso.

Ma procediamo con ordine.

Eltsin e tutti coloro che si consideravano democratici parlavano da anni di riforme economiche essenziali e necessarie. La gente aveva prestato ascolto con molta attenzione. Ora però i negozi erano ancora vuoti, le previsioni catastrofiche come sempre e di riforme non c’era l’ombra.

Boris Eltsin che aveva voluto fortemente queste riforme, avrebbe potuto diventare un grande nei panni di funzionario del partito e della burocrazia, ma come Presidente poteva crescere solo fino ad un certo punto, aumentando il suo grande potere per realizzare delle serie riforme come aveva assicurato.

Il vizio in questo modo di procedere sarebbe emerso quando Eltsin non era più nella condizione di gestire le cose e gli sarebbe subentrato un piccolo uomo del KGB assetato di potere. Avrebbe goduto di quella concentrazione di poteri di cui Eltsin in quel momento non aveva pensato di abusare e che perciò aveva rivendicato.

E mentre a Mosca si discuteva delle riforme e dei poteri del Presidente, nella piccola Repubblica della Cecenia-Inguscezia scoppiò una rivoluzione che passò inosservata. Senza l’approvazione di Mosca si tennero delle elezioni e l’ex generale sovietico Dzokhar Dudaev fu eletto come primo presidente della piccola Repubblica caucasica. La Cecenia-Inguscezia non avrebbe più beneficiato dell’offerta che Eltsin aveva fatto ai moderati ingusci di separasi dai ceceni. Il presidente Dudaev aveva portato la tensione alle stelle prendendosi la libertà di dichiarare l’indipendenza dalla Russia e di essere disposto a combattere.

Come si sia concluso questo tentativo di liberarsi dopo 200 anni dall’oppressione russa dello Stato è cosa ben nota. Nel 1991 Dudaev dichiarò l’indipendenza. Nel 1994 ci fu l’invasione da parte delle truppe russe.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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