STORIA / 7 – Vent'anni dopo, Back to USSR

di Susanne Scholl

traduzione di Lorenza La Spada

/1: Il 1991, un anno chiave

/ 2: L’Unione Sovietica di fronte a una prova decisiva

/ 3: Primavera 1991, al culmine della crisi

/ 4: Il matrimonio tra Eltsin e Gorbaciov

/ 5: La Russia elegge Boris Eltsin

/ 6: Lo scontro si inasprisce

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La fine dell’Unione Sovietica e le sue conseguenze (leggi l’articolo originale)

Era una giornata nuvolosa, quella in cui ebbe inizio la fine dell’Unione Sovietica. Il 19 agosto 1991 tutti si svegliarono di buon mattino con la notizia che il loro presidente Mikhail Gorbaciov, che era appena stato in vacanza in Crimea, non era più in condizione di svolgere le sue attività ufficiali ed aveva perciò delegato il potere ad un comitato di emergenza. La guida del comitato di emergenza era stata assunta dal vice di Gorbaciov, Gennady Janajev, un burocrate piuttosto debole e modesto che si era imposto su altri avversari interni al partito per ricoprire questo ruolo. Altri golpisti erano il Primo ministro, il capo del KGB, il Ministro degli interni e quello della difesa.

Il tentativo di golpe era seguito a diversi anni di lotte continue tra riformisti e conservatori all’interno del PCUS. Mikhail Gorbaciov aveva cercato la maggior parte delle volte di rimanere neutrale, anche se aveva riconosciuto la necessità di una riforma. Non a caso si era presentato con le famose parole d’ordine di ricostruzione e trasparenza. E la trasparenza gli aveva procurato più di un problema, visto che la gente aveva preso questo motto molto più seriamente di quanto potesse andar bene alla parte più abile e arretrata del comitato centrale. E proprio questa parte della direzione del Partito vedeva con preoccupazione crescente il tentativo di Gorbaciov di dare all’Unione Sovietica un abito più moderno e liberale.

Quando il Presidente sovietico, nell’agosto 1991 andò in Crimea per passare un paio di giorni di vacanza con la moglie e i nipoti, sembrò arrivata l’occasione giusta. Tuttavia i golpisti avevano sottovalutato quante persone, durante gli anni di presidenza di Gorbaciov, si fossero liberate in fretta dalla paura, che era divenuta fondamentale e quasi genetica. Più di tutti il fresco eletto dal voto popolare, il Presidente russo Boris Eltsin, che aveva già rassegnato le sue dimissioni dal Partito.

Mentre il cosiddetto Comitato di emergenza dichiarava Gorbaciov incapace, Eltsin si schierò immediatamente contro i golpisti e con lui tutti i moscoviti. Intorno alla sede del Soviet supremo, la famosa Casa bianca sul fiume Moscova, si raccolse tutta la gente. Le armate che avrebbero dovuto effettuare il colpo di Stato esitavano. Alcuni soldati si rifiutarono di obbedire ai golpisti e si schierarono dalla parte del Presidente russo. E Boris Eltsin fece il gesto mediatico di salire su un carro armato e invitare i golpisti ad abbandonare il campo. In questo modo, comunque, i resistenti non furono arrestati. Dopo tre giorni era tutto finito e la scomparsa definitiva dell’Unione Sovietica aveva avuto inizio. Gli effetti di 70 anni di dominazione sovietica, tuttavia, sono ancora visibili e riscontrabili tutt’oggi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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