STORIA / 6 -Vent'anni dopo, back to Ussr

di Susanne Scholl

Traduzione di Lorenza La Spada


/1: Il 1991, un anno chiave

/ 2: L’Unione Sovietica di fronte a una prova decisiva

/ 3: Primavera 1991, al culmine della crisi

/ 4: Il matrimonio tra Eltsin e Gorbaciov

/ 5: La Russia elegge Boris Eltsin

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Lo scontro si inasprisce (leggi l’articolo originale)

Il luglio 1991 fu un mese pieno di inquietudine in Unione Sovietica. Nella Repubblica russa prestava giuramento il primo presidente eletto dal popolo, Boris Eltsin. Negli stessi giorni, le tre repubbliche baltiche dichiarano unilateralmente la propria indipendenza, riconosciuta anche da parte della Repubblica russa.

Il capo dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov, nel frattempo, cercava disperatamente di ottenere il consenso delle dodici rimanenti repubbliche sovietiche per varare un nuovo Trattato di unione che concedeva loro maggiori autonomie, ma che allo stesso tempo salvaguardava l’esistenza dell’Unione Sovietica.

La contrapposizione non avrebbe potuto essere più forte. Mentre Boris Eltsin puntava a costruire un nuovo sistema presidenziale nella Repubblica russa e, tra le altre, avanzava la richiesta che l’intera proprietà statale sovietica che si trovava in territorio russo diventasse proprietà russa, Gorbaciov metteva in guardia le singole repubbliche dal tentativo di riforme autonome, dicendo che queste avrebbero peggiorato il caos economico.

La crisi, diceva Gorbaciov, avrebbe potuto essere superata soltanto restando uniti. Nel parlamento russo, ma anche nei parlamenti delle altre Repubbliche Sovietiche, si combatteva aspramente riguardo al nuovo Trattato di unione che avrebbe dovuto essere firmato a metà agosto. Eltsin, ad esempio, si era opposto al diritto del governo centrale di imporre le tasse e chiedeva che questa prerogativa spettasse alle singole Repubbliche che ne avrebbero poi versato una quota al governo centrale.

Infine Eltsin fece un passo che agitò nuovamente le acque: ordinò la separazione tra Stato e Partito e proibì tutte le attività di partito all’interno delle istituzioni e delle strutture statali. Il PCUS (partito comunista sovietico) reagì indignato agli attacchi sferrati dal riformatore radicale, adirandosi con Eltsin e contemporaneamente facendo naufragare il tentativo di fondare un nuovo partito democratico. Si trovò l’accordo solo su una sorta di piattaforma.

In questo clima giunse a Mosca, alla fine di luglio, il presidente degli Stati Uniti George Bush senior per una visita di stato. Gorbaciov parlò con Bush di nuove relazioni politiche ed economiche e con Boris Eltsin delle sue aspirazioni democratiche. La popolazione si dimostrò poco impressionata dalla visita degli americani, alle prese com’era con la vita difficile di tutti i giorni in quel momento di confusione nella politica interna.

Poche settimane prima che i vecchi uomini del cosiddetto “comitato di crisi” dessero inizio alla fine dell’Unione Sovietica, nemmeno il molto percettivo Boris Eltsin sembrava aspettarsi una simile evoluzione, quando disse in un’intervista che avrebbe sostenuto come presidente dell’Unione Sovietica Mikahil Gorbaciov in una libera elezione.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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