SLOVENIA: Contesi con l'Italia quadri di scuola veneziana

di Valentina Di Cesare

E’ di qualche giorno fa la notizia di una richiesta al Governo Italiano che arriva dal ministro degli Esteri sloveno, Karl Erjavec: il parlamentare ha dichiarato di voler riportare in patria alcuni quadri che sarebbero stati  trafugati alla Slovenia dagli italiani  prima e durante il secondo conflitto mondiale. Così qualche giorno fa a Montecitorio durante  una delle consuete interrogazioni  parlamentari  presentata da esponenti dei maggiori partiti italiani al governo ( UdC, Pdl e Pd),  alcuni esponenti hanno chiesto risposte dal Governo in merito alla decisione sulla  restituzione delle opere  contese con la Slovenia.

I parlamentari hanno dichiarato infatti che il Governo si esprima quanto prima sulla questione, rifiutando la richiesta slovena anche per fornire rassicurazioni agli esuli italiani in Istria. Per i deputati i quadri non sarebbero stati derubati alla Slovenia ma riportati a Roma tra il 1939 e il 1940 da Capodistria, Pirano e Isola. Si tratta di capolavori di scuola veneziana tra cui spiccano le tele di Vittor e Benedetto Carpaccio, Paolo Veneziano, Alvise Vivarini, Giovan Battista Tiepolo e molti altri, alcuni dei quali conservati attualmente al Museo Sartorio di Trieste; i deputati italiani sostengono che i quadri  furono trasportati in Italia per precauzione visto l’imminente pericolo bellico.

I parlamentari hanno sottolineato ancora che i tre comuni sloveni coinvolti nella questione Isola, Pirano e Capodistria furono annessi alla Jugoslavia solo nel 1975, quindi quando lo spostamento avvenne non attraversò nessuna frontiera, trattandosi di territorio italiano in ambedue i casi;  la Slovenia inoltre  è diventata  indipendente   nel 1991. Sulla questione sono intervenute molte associazioni friulane tra cui l’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia)  e la Federazione delle Associazioni degli Esuli italiani in Istria, che hanno giudicato la richiesta di Erjavec  piuttosto bizzarra.

Ad aprire la polemica è stata l’Unione degli Istriani che qualche mese fa, oltre ad aver richiesto la restituzione dei quadri, ha fatto luce sul rafforzamento del bilinguismo a Trieste. La polemica arriva proprio nei giorni dell’inaugurazione dell’importante mostra d’arte novecentesca “Orizzonti dischiusi”  tra Slovenia e Italia che sarà esposta dal 21 aprile al 17 giugno 2012 al Salone degli Incanti di Trieste.

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22 commenti

  1. “Isola, Pirano e Capodistria furono annessi alla Jugoslavia solo nel 1975.”
    Mah, quando negli anni ’60 andavo al mare da quelle parti, nessuno mi ha mai chiesto il passaporto. I locali si credevano sloveni, parlavano sloveno e il primo punto di controllo al confine italiano era Rabuise. E invece, a loro insaputa, vivevano già in Italia… I parlamentari (poco informati) si riferiscono, probabilmente, ai Patti di Osimo; ma essendo quelli stati ratificati nel 1977, allora perché proprio nel 1975? Vorrei ricordare agli onorevoli parlamentari, se leggono East Journal, che i Patti di Osimo trattavano solo le questioni non risolte con il Memorandum di Londra del 1954, confermando i confini esistenti.

    • Bonaiti Emilio

      Io vorrei confermate alla gentile Jelena l’esattezza dei suoi ricordi. Negli anni ’60 a Capodistria non si parlava l’italiano ma solo lo sloveno. Gli Italiani erano in buona parte seppelliti nelle foibe, I restanti, per fortuna la maggioranza, erano fuggiti in Italia per evitare la stessa fine. Colpito dalla sua conoscenza del problema mi piacerebbe sapere se i profughi siano stati in seguito indennizzati per la perdita delle case e delle proprietà.

  2. Gentile Sig. Bonaiti, non mi piace evocare troppo il passato, le mie conoscenze sono forse superficiali, direi, di una persona mediamente istruita; non ho approfondito questo tema. Le mie conoscenze provengono dai rapporti personali con le famiglie istriane, tante di loro lacerate, perché uno voleva andare (ed è andato) in Italia, l’altro voleva rimanere (ed è rimasto). Si parlava italiano, altroché, molte famiglie (comprese quelle croate o slovene) erano bilingue; negli anni ’80 conoscevo il preside di una scuola italiana di Pola. Degli indennizzi non so niente; né di quelli agli italiani che hanno lasciato le proprietà; né di quelli alle famiglie slovene, croate, montenegrine o serbe che hanno visto uccidere i propri cari in uno dei numerosi campi di concentramento italiani oppure in battaglia. C’era la guerra, c’erano dei vincitori, c’erano dei vinti e c’erano pure quelli misti. Ma il contare delle ossa dei morti non porta bene, mi creda. La Jugoslavia ormai non esiste più e la sua fine è iniziata proprio contando le ossa. Questo tipo di calcoli rischia di non essere mai definitivo e forse e meglio lasciar perdere.

  3. “La Jugoslavia ormai non esiste più e la sua fine è iniziata proprio contando le ossa”. Rileggevo oggi Pirjevec, e questa frase è la sintesi migliore che si possa fare secondo me

    M.z

  4. @Jelena: Brava 🙂

    • Bonaiti Emilio

      Cara Jelena, la mia annotazione si riferiva solo agli Italiani di Capodistria di cui hai rilevato l’assenza. Per il resto, associandomi alla Redazione, aggiungo “Lasciamo che i morti seppelliscano i morti”.

      • Alt! Non ho mai, in nessun modo, rilevato l’assenza/presenza degli italiani a Capodistria. Ho scritto che da quelle parti negli anni ’60 si parlava sloveno, che non implica l’assenza degli italiani. E’ come dire che a Trieste si parla italiano, eppure ci sono quelli che parlano sloveno. Lei ha fatto le conclusioni che non derivano dalle mie parole.

  5. La Jugoslavia è finita non da quando ha iniziato a “contare le ossa”, ma da quando, crollati il muro di Berlino ed il blocco comunista, ha dovuto fare i conti con il suo passato di violenza politica su cui ha avuto fondamento (qui la contabilità riguarda le coscienze, non i morti). Inoltre, dimenticare il passato per cattiva coscienza sarà pure un esercizio liberatorio, ma è come nascondere la testa sotto la sabbia; non si cresce più, non si ha più coraggio, non si ha più storia. E’ una regola ferrea che i popoli che non vogliono ricordare la loro storia (bella o brutta che sia) sono destinati alla decadenza.

    • La sua è un’opinione; non sono d’accordo. Il crollo jugoslavo ha poco a che fare con il crollo del blocco comunista, mentre sono pochi i popoli che potrebbero vantarsi di coscienza pulita o ripulita, eppure non sono (ancora) crollati e, speriamo, non crolleranno. La sua regola ferrea è solo un luogo comune e non un modo per preservare un popolo, anzi può diventare un circolo vizioso dal quale non si esce mai.

      • Con tutto il rispetto, ma mi permetto di far osservare che, rapportandosi al passato, non è un buon sistema quello del “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”. E’ un modo sciatto per buttarsi tutto alle spalle ed, oltre tutto, sarà sempre accettato solo da chi “ha avuto” e mai da chi “ha dato”. Questa, più che una regola ferrea, è una legge di natura a cui, purtroppo, nessuno può sottrarsi. Non si esce dal passato attraverso la porta dell’oblio, ma attraverso la porta della condanna degli orrori commessi (questo ovviamente vale per tutti: croati, italiani, sloveni ecc.). Solo in questo modo si cambiano le classi dirigenti, si eliminano rendite di posizione basate su vecchie legittimazioni e delegittimazioni, si rigenerano i paesi. Poi, se croati o sloveni preferiscono dimenticare, questo è affare loro, ma la storia sta lì, e tornerà sempre a galla a dividere e a turbare la loro vita sociale.

  6. @Enrico: “Inoltre, dimenticare il passato per cattiva coscienza sarà pure un esercizio liberatorio, ma è come nascondere la testa sotto la sabbia; non si cresce più, non si ha più coraggio, non si ha più storia”

    Bravo, Infatti sarebbe proprio ora che gli italiani iniziassero a fare i conti con la loro storia.

    • Bonaiti Emilio

      Sono d’accordo con la gentile Jelena, il crollo del blocco sovietico fu solo una causa secondaria della decomposizione della Jugoslavia che, come cuscinetto tra Europa Occidentale e Unione Sovietica, non serviva più. La Jugoslavia si dissolse perché era venuto meno il maresciallo Tito col suo carisma e la sua polizia segreta, dittatore di un paese che, prima di lui, solo un autocrate come re Alessandro, di seguito assasinato riiscìatenere insieme stabilendo una dittatura di fatto dopo che il 20 giugno 1928 un parlamentare macedone uccise a colpi di pistola in pieno parlamento due deputati del partito contadino croato e Radec capo del partito republicano croato.
      Pongo una domanda: perché di un insieme di gruppi nazionali diversi con diverse tradizioni, inestricabilmente frammentati, divisi dalla religione, senza una storia comune solo la Slovenia, paese etno-linguisticamente compatto, non é uscito con le ossa rotte.

    • Concordo perfettamente. Come tutti i paesi del mondo, l’Italia ha fatto i conti con il suo passato solo là dove è convenuto alla maggior parte della sua classe politica. I conti con il fascismo li ha fatti, ed anche con una condanna totale (e questo va bene); ma avrebbe dovuto farli anche con il comunismo del vecchio PCI, che per tanti decenni, con la sua larga base popolare, ha condizionato la cultura, il lavoro, la scuola, la magistratura e tutti i gangli della vita sociale. La sinistra italiana oggi, avendo eliminato i socialisti riformisti, è rimasta prevalente stalinista, e come tale i conti con il suo passato non li vorrà mai fare (il comunismo è finito, ma i suoi semi qui si sono ben radicati). Per questo abbiamo oggi in Italia un paese pietrificato, incapace di rinnovarsi, sempre più diviso, debole e corrotto (a questo porta l’oblio con cui si vuole liquidare il passato). Approfittando di questa situazione, la Croazia può oggi permettersi di chiedere al governo italiano la restituzione di quadri (secondo lei addirittura trafugati) di maestri di scuola veneta, o negare, per via costituzionale, gli indennizzi ai cittadini italiani che, con pressioni di ogni tipo, come disse Kardelj, furono indotti dopo la guerra a lasciare i loro beni e a scappare dalla Venezia Giulia.

      • @Enrico: per cortesia, questo cumolo di approssimazioni, mezze verità e crassi errori che paiono sortire dalle tv del signor B. (come lo chiama il buon Cordero) o dai “libri” di certi “giornalisti” le vada a raccontare a qualcun’altro o, meglio ancora, si astenga.

        ps: uno dei pochi pregi che aveva l’italia era l’assenza di nazionalismo. Io sono nato in un paese non nazionalista e la considero una fortuna straordinaria . Eco sottolineò questa assenza di nazionalismo in un testo in cui raccontava il suo dialogo con un tassista a New York. Eco raccontava che il tassista insisteva per sapere chi era il “vostro nemico” perché non poteva credere che gli italiani non avessero un “nemico”….bei tempi.

        La “resurrezzione” del nazionalismo italico é tra il peggio che é avvenuto in italia negli ultimi 15 anni.

  7. Appunto. Enrico sta delirando. Non ha azzeccato nemmeno una. Ma non ho più voglia di discutere; dai conti che Italia avrebbe fatto con il passato, fino alla Venezia Giulia.

    • Bonaiti Emilio

      Enrico, per il ‘cumulo di approssimazioni’, ‘mezze verità’, ‘crassi errori’, per ‘lo vada a raccontare a qualcun’altro’, per ‘l’invito perentorio alle astensioni’, ‘per i mancati azzeccamenti’ che fanno passare alla gentile Jelena la voglia di continuare a discutere, per il grido di allarme lanciato da Eitan sulla ‘resurrezione del nazionalismo italico’ ti invito a una pubblica autocritica di quelle che si usavano in Jugoslavia e nei ‘paesi del socialismo’.

  8. Concordo Jelena. Un abbraccio 🙂

  9. Sig. Bonaiti, io non vorrei dare a Lei le lezioni di storia italiana, ma, per piacere, si astenga Lei di dare le lezioni di storia dei popoli jugoslavi a me. Ho avuto la fortuna di non conoscere le pubbliche autocritiche, non saprei come farle; ma non sono mai stata tirchia con le critiche verso i serbi, soprattutto, ma nemmeno verso altri popoli jugoslavi.
    Eitan Yao: anche un bacio! 😉

    • Bonaiti Emilio

      Gentile Jelena, le mie non sono lezioni di storia non avendo neppure una modesta cattedra, ma bisogna stabilire un principio: si possono avere idee diverse su un determinato periodo storico? Si possono esprimere senza essere invitati perentoriamente ad astenersi?
      Gentile Eitan, nel mio vetusto vocabolario della lingua italiana Zingarelli edizione 1986 (!) per nazionalismo leggo: 1)Tendenza e prassi politica fondata sull’esasperazione dell’idea di nazione e del principio di nazionalità.2) Esaltazione eccessiva di ciò che appartiene alla propria nazione. Tanto premesso, salvo che non si riferisca al tifo calcistico per i prossimi campionati europei, veramente lei pensa che in questo disastrato paese sia imminente il
      ritorno a “un italico nazionalismo”?
      Casti baci e paterni abbracci ad entrambi.

      • “si possono avere idee diverse su un determinato periodo storico?” Certo, ma se non sono identiche alle sue, bisogna fare l’autocritica…
        Nazionalismo in Italia? Ci sarebbero tante cose da dire, ma le dico soltanto una, banalissima, che, però risponde al punto 2):
        “Noi abbiamo X che tutto il mondo ci invidia…noi abbiamo Y che tutto il mondo ci invidia…noi abbiamo Z che tutto il mondo ci invidia… ” Io sento le dichiarazioni del genere tutti i giorni; lei no?

        • Bonaiti Emilio

          Gentile Jelena l’invito all’autocritica, in chiave a me sembrava ironica, era rivolto non a lei ma a Enrico a seguito delle sue dichiarazioni da lei stigmatizzate. Il “noi abbiamo questo” ecc.ecc. é al massimo una forma di campanilismo, il nazionalismo é altra cosa, é un mostro terribile che ha provocato nazismo e fascismo in questa povera Europa, é, a mio avviso, una delle cause della catastrofe jugoslava.

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