foto di Goran Tomasevic / Reuters

SIRIA: La guerra vista dalla parte dei cattivi

RUBRICA: Opinioni & eresie

I colpi di mortaio martellano le strade intorno a noi e un carro armato T-72 seminascosto sotto un viadotto, ma il comandante in capo delle forze militari di Assad ad Aleppo – un generale di 53 anni con 33 anni di servizio e due ferite di pallottola ricordo della battaglia di Damasco del mese scorso – sostiene di essere in grado di “ripulire” dai “terroristi” tutta la provincia di Aleppo in venti giorni. Una affermazione che prendo con il beneficio di inventario in particolare per quanto riguarda il quartiere di Saif el-Dowla dove il fuoco dei cecchini è incessante. Insomma, la battaglia di Aleppo è lungi dall’essere finita.

Strana sensazione quella di trovarmi in una abitazione privata a colloquio con i generali siriani accusati dai leader occidentali di essere criminali di guerra. Mi trovo, per così dire, nel “covo del nemico”, ma il generale, incredibilmente alto e con un’incipiente calvizie, ha molto da dire sulla guerra che stanno combattendo e sul disprezzo per i nemici. Il generale, che si rifiuta di dirmi come si chiama, li definisce “topi”. “Ci sparano, poi scappano e si nascondono nelle fogne. Sono stranieri: turchi, ceceni, afgani, libanesi, sudanesi”. ‘E i siriani?’, domando. “Sì, anche siriani, ma si tratta di contrabbandieri e delinquenti comuni”, mi risponde.

Chiedo informazioni sulle armi dei ribelli. […] Frugando tra le armi – tutte sottratte al nemico nell’ultima settimana, mi garantiscono gli ufficiali – vedo confezioni di esplosivi di fabbricazione svedese del 1999, ma con la dicitura “made in Usa”, un fucile di fabbricazione belga, numerose bombe a mano di provenienza incerta, un fucile di precisione russo, una pistola da 9mm di fabbricazione spagnola, una vecchia pistola automatica, una mitragliatrice sovietica del 1948, una serie di lanciamissili e lanciagranate di fabbricazione russa e una cassa di medicinali.

“Ogni gruppo di terroristi dispone di una ambulanza da campo”, mi dice un ufficiale dei servizi segreti. “Rubano i medicinali dalle nostre farmacie, ma dispongono anche di altre fonti di approvvigionamento”. È vero. Trovo infatti analgesici libanesi, bende pakistane e molti farmaci provenienti dalla Turchia. Sarebbe interessante sapere a chi hanno originariamente venduto le armi le fabbriche spagnole, svedesi e belghe. […] “Sì è vero”, dice il generale. “I disertori esistono, ma si tratta di soldati risultati inidonei ai test e che erano rimasti nell’esercito solo per la paga”. […]

Almeno una dozzina di civili escono dalle loro case e, ignari della presenza di un giornalista straniero, abbracciano i soldati siriani. Uno mi dice che è rimasto chiuso in casa perché i combattenti “stranieri” sparavano alle truppe governative dal suo giardino. “Io parlo turco e la maggior parte di loro parlavano turco. Altri però avevano lunghe barbe e pantaloni corti come quelli dei sauditi e parlavano arabo con uno strano accento”.

Sono talmente tanti i civili siriani che – lontano dai soldati – mi parlano di “stranieri” armati accanto a siriani “delle campagne”, che deve esserci del vero nell’affermazione del regime secondo cui nel Paese sono presenti numerosi combattenti di nazionalità non siriana. Mentre in alcune zone della città la vita sembra proseguire normalmente con qualche colpo di mortaio in lontananza, in altri quartieri decine di migliaia di cittadini sono stati costretti ad abbandonare le loro case e ora dormono nella casa dello studente dell’università. […]

Mentre mi allontano mi passa accanto un giovane che cerca di raggiungere casa sua per vedere se è ancora in piedi. Ha una maglietta con una citazione di George Barnard Show: “Vedi le cose e dici ‘Perché?’. Ma io sogno cose che non sono mai esistite e dico ‘Perché no?’”. Niente male per Aleppo.

foto di Goran Tomasevic / Reuters

© The Independent / pubblicato in italiano dal Fatto Quotidiano 

L’articolo completo in italiano lo trovate qui

La versione originale è disponibile qui

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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6 commenti

  1. Ok, tra i ribelli siriani ci sono elementi stranieri. E dunque? C’erano anche nella guerra civile spagnola del ’36-’39, così come in Bosnia a supporto dell’Armija BiH. La presenza di mercenari non ci dice molto sul conflitto in corso. Non capisco quale sia il punto di Fisk.

    • Esatto, è proprio questo il punto! La presenza di mercenari non dice molto sul conflitto in corso, dice però che esistono ingerenze esterne e che la rivolta popolare forse non è così spontanea e diffusa. Personalmente non sono di quelli che si stracciano il peplo per le ingerenze esterne, le trovo ovvie e vecchie come il mondo. Capire però la fonte di quelle ingerenze aiuta a inquadrare meglio il conflitto dal punto di vista geopolitico. Fisk questo non lo dice, non offre un punto di vista, perché è un giornalista anglosassone. Fa il reporter, non l’opinionista. A chi legge farsi qualche domanda.

      Poi, esulando dal contesto, secondo me occore dirci una cosa: che la stragrande maggioranza delle persone si informa tramite telegiornali, la sera, quando torna a casa dal lavoro stanca. O si legge i titoli di qualche giornale on-line nella pausa pranzo. Non hanno il nostro privilegio. Ecco perché anche solo dire: “ci sono i mercenari” e già qualcosa quando tutti i media mainstream ti raccontano la storia della rivolta popolare. Una storia raccontata, nella migliore delle ipotesi, per semplificazione. Nella peggiore, per interesse.

      Quello che chi informa deve fare è levarsi di dosso l’arroganza del dire: “ma sì, lo sanno tutti”. No, non lo sanno tutti. Lo sai tu (non tu Davide, “tu” generico. Un “tu” che riguarda che anche me) che hai tempo di informarti, che hai la capacità di discernere tra propaganda e informazione. Forse sì, i nostri lettori “lo sanno tutti” perché noi abbiamo il difetto (secondo me è un difetto) di parlare “a quelli come noi” (istruiti, preparati, tendenzialmente giovani, che cercano approfondimenti) ma quelli del Fatto (che hanno tradotto l’articolo) parlano a un pubblico più ampio. Il seme del dubbio, sul conflitto siriano, va seminato. E non è che ci siano molte voci credibili a farlo, finora solo complottisti e Giulietti Chiesa. Per questo trovo interessante il reportage di Fisk.

      Matteo

  2. finchè esisteranno america europa e israele… nemmeno cina e russia potranno salvare il mondo

  3. Fuori gli eserciti, dentro i mercenari. La recente proposta di una Convenzione internazionale per una più ferrea regolamentazione dei servizi di sicurezza privati non è stata approvata a causa dell’opposizione di Stati Uniti e Unione Europea. Ma la battaglia è solo rimandata.
    Questo il manifesto programmatico della campagna contro la privatizzazione della guerra condotta dall’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI), che già nel maggio del 2011 si era scontrata con la forte opposizione dei governi (americano in primis).
    Dal 13 al 17 agosto, a Ginevra, presso il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il progetto è nuovamente naufragato per il veto compatto di Usa e UE, con la sola differenza che quest’ultima, diversamente dal 2011, ha accolto con ‘favore’ il gruppo di lavoro all’Onu.
    Sul fronte opposto, Cina, Russia, Egitto, Sud Africa e Venezuela hanno invece sottolineato la necessità di approvare una forte regolamentazione varata dall’Onu, dal momento che queste agenzie operano a livello transnazionale.
    Ricerche indipendenti rivelano come il settore della sicurezza privata, in Europa come negli Stati Uniti – i paesi con il maggior numero di compagnie private militari e di sicurezza del mondo -, sia attivo già dal 1970, segnando una crescita media del 10% all’anno.
    osservatorio iraq

    .. e poi ci vengono a dire che nei balkani si sono uccisi tra fratelli..
    sappiamo chi li ha uccisi !
    non erano nè i fratelli nè i cugini e nemmeno i parenti fino alla settima generazione !

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