SERBIA: I socialisti di Milošević tornano a guidare il paese

di Filip Stefanović

Tadić verso le elezioni: più Kosovo per tutti.

È di oggi, mercoledì 4 aprile, l’annuncio a sopresa delle dimissioni del presidente serbo Boris Tadić, a 10 mesi dalla scadenza naturale del suo mandato (febbraio 2013).  Domani, giovedì 5 aprile, Tadić recapiterà la lettera formale di dimissioni alla Presidente del Parlamento serbo, Slavica Đukić-Dejanović, che diverrà così automaticamente Presidente pro tempore della Serbia, col compito di indire le elezioni presidenziali.

Tadić ha dichiarato di aver preso tale decisione per senso di responsabilità, poiché si prospetta una campagna politica difficile e accesa per le elezioni legislative del 6 maggio prossimo, e che non vuole rallentare la strada delle riforme, distraendo anche il futuro governo con una nuova tornata elettorale a pochi mesi di distanza, questa volta presidenziale. Il presidente uscente ha allo stesso tempo affermato che sarà nuovamente lui, alla testa del Partito Democratico (DS, Demokratska Stranka), a presentarsi alle prossime elezioni, che con tutta probabilità verranno indette per il 6 maggio, in concomitanza con quelle politiche. Anche perché, in ogni caso, il Presidente pro tempore ha per legge l’obbligo di indire le nuove elezioni presidenziali tra i trenta e i sessanta giorni dalla data di dimissioni del capo di stato uscito.

Tadić non ha perso tempo nel riaffermare che la sua politica schizofrenica sia Europa che Kosovo sarà al centro anche della prossima campagna elettorale, poiché, come ha dichiarato egli stesso, <<la Serbia non riconoscerà l’indipendenza del Kosovo>>, e <<non sarà facile, ma non rinunceremo>>.

I giornali italiani di oggi, nonché i maggiori media occidentali, titolavano chi più chi meno “Tadić annuncia le sue dimissioni”. A noi, che del facile make-up filoeuropeo del presidente non siamo mai stati grandi estimatori, la cosa interessa poco.

Slavica Đukić-Dejanović

Più interessante troviamo la notizia di chi gli succederà per il prossimo mese: Slavica Đukić-Dejanović, classe 1951, docente universitaria e direttrice dell’ospedale di Kragujevac, città da cui proviene, ha iniziato la sua carriera politica a 18 anni, come iscritta al PC jugoslavo. Passata sin dal settembre 1990 al Partito Socialista di Serbia (SPS, Socijalistička partija Srbije), a soli tre mesi dalla sua fondazione a opera di Slobodan Milošević, arrivò a sedere nel comitato esecutivo del partito ed a rivestirne la carica di vicepresidente a cavallo tra 1996 e 1997, in pieno regime e all’apice delle feroci proteste di piazza contro Milošević a fine 1996, risoltesi poi in un nulla di fatto (era l’affaire Telekom Srbija).

A nemmeno dodici anni dalla morbida rivoluzione d’ottobre che avrebbe dovuto segnare la fine di un regime e di un’era, ed a quattro dallo sdoganamento politico del 2008, quando i socialisti, guidati da Ivica Dačić, strinsero una coalizione coi democratici di Boris Tadić, il partito fondato da Milošević torna alla guida del paese. Un partito che, pur spazzando sotto al tappeto l’ingombrante passato, non ha mai saputo recidere i fili che ve lo legavano, e d’altronde come avrebbe potuto, quando la maggior parte dei suoi quadri non sono mai stati cambiati? Il partito responsabile di tutte le scelte politiche e storiche che la Serbia ha fatto nel decennio 1990, trascinando più volte il paese in guerra, depredando le risorse dello stato, immiserendone la popolazione, uccidendone il futuro.

Forse questo passaggio del testimone è troppo tecnico, troppo breve per scandalizzare l’opinione pubblica (e non è affatto detto che se fosse prolungato qualcuno in Serbia se ne meraviglierebbe davvero), ma è uno schiaffo morale non indifferente a tutte le vittime della storia recente, ed un segnale preoccupante dell’apatia in cui è scivolata la Serbia, tanto più per un paese che ad oggi non ha ancora saputo fare i conti col proprio passato, assumendosene tutte le gravose responsabilità.

Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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25 commenti

  1. giorgiofruscione

    io davvero non capisco queste dimissioni…che non voglia fare come Sanader in Croazia? bah…comunque temo che il Kosovo, in campagna elettorale, sarà l’arma a doppio taglio che useranno tutti i partiti, chi più e chi meno.

    • come Sanader… cioè scappare in America per fuggire ai boss del narcotraffico?
      Matteo

      • giorgiofruscione

        in Austria…come Sanader perchè mi sembra strano che un leader abbandoni la carica prima delle elezioni quando si è già preso la briga di fare l’uomo dell’Europa

  2. Premesso che condivido in pieno lo scetticismo verso la figura di Tadic e le critiche sul metodo e merito delle sue dimissioni affrettate, faccio una domanda: queste dimissioni sono davvero così sorprendenti? Tadic è passato in testa nei sondaggi (e non di poco: 40% contro 32%) dopo mesi in cui era datto in netto svantaggio contro Nikolic.
    Quindi le dimissioni potrebbero essere semplicemente una mossa tattica per anticipare le elezioni presidenziali, che avrebbero dovuto svolgersi a dicembre, accorparle alle parlamentari e capitalizzare al massimo il consenso che sembra (ripeto, sembra) tornare ad appoggiare Tadic dopo l’OK della UE. O no?

    • Si, su questo mi trovi perfettamente d’accordo.
      Penso che Filip volesse catalizzare l’attenzione sullo “schiaffo morale” di avere un politico SDS come capo dello stato pro tempore.

    • Alfredo, nulla da ridire. Non sono così aggiornato sugli ultimi sondaggi e non sapevo della rimonta dei democratici sui progressisti, ma le ragioni di Tadic sono a mio vedere tutte di carattere elettorale:
      1) cavalcare l’onda della recente candidatura UE (che comunque non va sopravvalutata, perché la gente è ormai piuttosto fredda sull’argomento).
      2) dare un forte segnale di vigore e self-confidence per rinvigorire a sua volta l’elettorato (io sono Tadic, so chi sono, e non ho paura): penso che sul brevissimo periodo questa sia la ragione più forte per il salto di consensi dei democratici.
      3) si prospetta una lotta acerrima per le elezioni del 6 maggio, e i giochi sono tutto tranne che fatti, i democratici sanno che rischiano grossissimo. Se Tadic fosse rimasto alla presidenza, e avesse perso le prossime legislative, non avrebbe matematicamente avuto chance di venire eletto alla presidenza nel 2013: dimettendosi invece rimette tutto in gioco, e anche se sembra rischi il tutto per tutto, la sua mossa gli consente in realtà di tornare in sella in una maniera altrimenti per lui quasi impossibile.
      4) I democratici erano già fino a ieri il partito più agguerrito in campagna elettorale, figurarsi se questa mossa improvvisa Tadic e la sua squadra non la stessero preparando da settimane: in 48h molla tutto, lasciando storditi tutti gli altri leader di partito (che comunque, da Dacic, a Nikolic, a Jovanovic hanno già tutti dichiarato che si candideranno), i quali non avevano la minima idea di dover correre anche per le presidenziali, mentre sicuramente Tadic ha già pronta una bella campagna elettorale con tappe, date e programma da presentare all’elettorato. E scusate se è poco…

      Ma come dice Davide, a parte i machiavellismi politici, trovavo moralmente scioccante il ruolo di una ex di Milosevic come è la Djukic-Dejanovic al potere, tanto più che nessuno mi pare ci abbia fatto caso. Per questo ho concentrato su di lei le mie considerazioni.

      • Ok lo schiaffo morale, ma non sopravvaluterei troppo la questione Djukic-Dejanovic. Alla fine è solo un capo di stato ‘pro-tempore’, dovrà limitarsi all’amministrazione degli affari correnti, e lo resterà solo per due mesi (per questo il titolo del pezzo mi sembra “mis-leading”).
        Piuttosto, come ci è arrivata alla presidenza del Parlamento? Immagino fosse una condizione dell’alleanza DS-SPS

      • Davide, il titolo l’ho scelto provocatorio apposta, ma spero non scandalistico-sensazionalistico. 😀 In fondo penso di essere stato chiaro sul fatto che è una soluzione tecnica e temporanea, non penso certo che la Djukic-Dejanovic si metta a dichiarare guerra al Kosovo in quattro settimane. Però in un quadro più ampio mi sembra che la notizia non sia così fortuita: come immagini giustamente tu, se i DS non avessero aperto anni fa all’SPS certo non avremmo mai avuto un presidente parlamentare socialista, ed è stata quindi la scelta “riconciliante” di Tadic a far sì che oggi siano loro a prendere il testimone. Però se uno pensa al Parlamento in fumo il 5 ottobre 2000, poi alla risalita di consensi dell’SPS, poi a una coalizione maggioritaria di governo con quel DS che era tra i primi artefici politici della sconfitta del regime e ora ci cammina a braccetto, e adesso un presidente serbo dell’SPS, non troverei nulla di sconvolgente se tra pochi anni questi tornassero alla guida vera e propria del paese, magari con un presidente eletto. In fondo con uno sdoganamento a tappe graduali (ma veloci!) così efficace, la cosa apparirebbe del tutto naturale. E se a questo aggiungi il fatto che davvero l’SPS non solo non è scomparso dalla scena politica nazionale, ma non ha mai fatto un reale mea culpa, a me l’unico sapore che lascia in bocca è quello di un’amara sconfitta di qualsiasi speranza di rinnovamento.

  3. giorgiofruscione

    si ma, negli anni 90 chi è che NON era con Milosevic e che è ancora in gioco nella politica serba???

    • Beh, adesso, i democratici (DS) e i liberaldemocratici (LDP – che neanche esisteva) non mi pare fossero con Milosevic. Poi possiamo disquisire per ore dei problemi attuali dei DS, ma non arriverei a dire che hanno le mani sporche di sangue.

      • giorgiofruscione

        ma no, però come dici te uno neanche esisteva e l altro (DS) cosa faceva? inoltre io sono scettico anche sulle manifestazioni di Belgrado…cosa chiedevano in fondo quei ragazzi che mostravano le tre dita? che alla Serbia fossero tolti embargo e milosevic ma che allo stesso tempo gli lasciassero kosovo e mladic? (per Mladic intendo tutti quei cani che come lui sono stati difesi)

      • I liberaldemocratici sono l’ala djindjiciana dei DS, purgata dal partito dopo la sua morte. Il Partito Democratico nacque nel 1989/90 in seguito alla liberalizzazione politica tentata alla fine dell’era jugoslava, ma rimase fortemente minoritaria e più un partito d’intellettuali che di massa, con più fortuna nelle amministrazioni cittadine che a livello politico nazionale – cosa doveva fare? Fu solo dal 1996/97, sotto Djindjic (eletto sindaco di Belgrado), che i DS cominciano ad acquisire consensi maggiori, soprattutto di piazza.

        Riguardo alle manifestazioni, non sono certo di capire a quali alludi: quelle del ’91, del ’97, del 2000? Il Kosovo non era nemmeno attuale, e poi sinceramente non capisco chi avrebbe dovuto fare cosa. Cioè, gli studenti serbi dovevano scendere a Belgrado per chiedere l’indipendenza del Kosovo? Stiamo scherzando spero. :S Io sono il primo a criticare ogni volta tutte le colpe della guerra, le derive nazionaliste e le involuzioni serbe del decennio 2000, ma non esageriamo… Penso che la Serbia abbia dimostrato più volte di possedere uno zoccolo duro, una classe media borghese e bassoborghese, studentesca e non, intellettuale e liberista, che non si è mai lasciata schiacciare da Milosevic, e che ha tentato di riaffermare la propria voce. In un regime, ed in un paese in guerra. Non dimentichiamolo.

  4. giorgiofruscione

    nelle prime manifestazioni dei primi anni 90 nessuno scendeva in piazza per “presentare il conto” delle campagne di croazia e bosnia…le immagini del jna che parte da belgrado salutato dalla folla mentre “va a recuperare i suoi ragazzi” le conoscerai; nel ’97 era pieno regime e la gente chiedeva cosa? sono convinto che probabilmente rappresentassero la parte piu sana della società ma a mio avviso erano poco organizzati e prevaleva il “tutti contro tutto e tutti sempre e comunque”, cioè mancavano di idee…
    nel 2000-2001 è un altro discorso….
    quello che critico alle manifestazioni di belgrado è il fatto che per rimanere uniti hanno fatto ben poco…a loro non importava avere slovenia croazia e bosnia, importava solo della serbia (non una cosa negativa sia chiaro)

    • Nel ’91 i manifestanti non chiedevano nessun conto, chiedevano la pace, che mi sembra la cosa più importante. E rimanere uniti è dura quando ti trovi contro, per le strade di Belgrado, i carri armati dell’esercito chiamati dal tuo presidente. Nel 1996 la frittata era fatta, e sinceramente con un regime in corso mi sembra che la punizione dei criminali di guerra non sia al primo posto tra le richieste, al massimo lo sono le dimissioni (o la cacciata) del dittatore. Questi andavano ad affrontare i cordoni della milicija con 10 sotto zero, mica a redigere la costituzione!

      • Nelle manifestazioni a Belgrado dei primi anni Novanta, molto banalmente, c’era di tutto.
        Settori ultra-nazionalisti, certo, capeggiati da quel furbacchione di Vuk Draskovic (peraltro recentemente s’è convertito all’antinazionalismo: sostiene il riconoscimento del Kosovo e vuole allearsi con l’LDP, dopo una carriera trascorsa con posizioni ultra-scioviniste).
        Ma c’erano anche movimenti pacifisti e antimilitaristi, e non in scarsa misura. L’esempio più noto è quello della manifestazione del 9 marzo 1991. Che raccolse, appunto, qualunque cosa era contro Milosevic, dall’estrema destra, alle ONG liberali, agli studenti universitari pacifisti. E arrivò davvero a un passo dal rovesciarlo.
        Nelle elezioni presidenziali del 1992, Milan Panic (che pure era un personaggio un po’ losco, catapultato dagli USA, ecc,) fu sconfitto da Milosevic grazie a pesantissimi brogli e, anche con questi, ottenne comunque più del 30% dei voti, con una coalizione molto ampia e un programma che prevedeva un netto ridimensionamento (se non proprio un ritiro, che Panic in persona aveva iniziato a discutere con la comunità internazionale, ma poi Milosevic lo silurò) delle forze serbe da Croazia e Bosnia.
        Insomma, non è che nella Serbia degli anni Novanta sia proprio successo nulla contro Milosevic o contro il nazionalismo serbo. Ed è bene ricordarlo. Poi, certo, non è bastato.

  5. food for thought

    Vediamo. In Romania hanno sepolto il comunismo e Ceausescu da più di vent’anni ma EastJournal non perde occasione per cercare di convincerci che comandano quelli di prima (cosa anche solo anagraficamente impossibile, per non parlare di tutto il resto). In Serbia si produce un normale snodo della dialettica democratica, Milosevic è sotto terra da anni, ma EastJournal annuncia il ritorno del duce per inteposta persona. E’ una vera e propria linea editoriale, ormai. Se vai su East Journal per capire qualcosa dell’Est ti sembra di essere sempre all’inizio degli anni ’90. Cambiate il titolo del blog in Ex Journal, fate prima.
    Incredibile la frase “A nemmeno dodici anni dalla morbida rivoluzione d’ottobre che avrebbe dovuto segnare la fine di un regime e di un’era…”. “Avrebbe”? Cioè, per capirci, Tadic (mica Milosevic eh?, Tadic, Partito Democratico) dimette, fra un mese fanno elezioni, nel frattempo si insedia ad interim una che era nel partito quando c’era Milosevic e questo fa annunciare al giornalista che il regime non è mai finito? Veramente, capisco la necessità del sensazionalismo, ma provate a non farvi prendere la mano, almeno qualche volta. Se no si finisce per non capirci nulla. Sono passati vent’anni da tutto e più di dieci dagli ultimi residui degli antichi regimi, ragazzi fatevene una ragione, provate ad alzare lo sguardo. Ne va della credibilità di chi scrive e dell’interesse di chi legge.

    Saluti.

    Enzo Reale

    • Reale, la ringrazio dei suggerimenti, è che non vorrei inciampare nel non guardarmi i piedi. 😉 Che il sistema di Milosevic sia crollato l’abbiamo ahimé dovuto capire anche noi, pur duri d’orecchio. Non penso che sia tornato il regime, non nelle forme degli anni ’90, oggi è un regime di corruttele privatiste invece che belliche, più simile forse al sistema italiano odierno che a quello serbo di vent’anni fa. A parte il titolo, che ho spiegato, ritengo comunque di aver espresso la mia posizione piuttosto chiaramente sia nell’articolo che nei commenti che sono seguiti. Per quanto mi riguarda non ho detto né pensato che l’avvento della Djukic-Dejanovic alla presidenza segni l’avvento in terra del totalitarismo, la mia era una critica morale di cui sono convinto. Inoltre, come detto, la signora non era “una che era nel partito quando c’era Milosevic” (che è, una militante tesserata?), ma la vicepresidente. Se a lei piace così… Forse che in Italia abbiamo fatto del trasformismo una virtù secolare, ma a me certe cose urtano.
      Quanto agli effetti della rivoluzione d’ottobre, per quanto mi riguarda è morta non ieri, ma con la presidenza stessa di Kostunica e la rivolta armata con occupazione dell’autostrada di Belgrado del novembre 2001 da parte dell’Unità per le Operazioni Speciali (JSO) di Ulemek “Legija”, e sigillata con l’assassinio di Djindjic nel 2003. Il seguito è solo uno spartirsi cariche, poltrone e appalti senza alcuna prospettiva per il paese (l’unica prospettiva blandemente inseguita è quella dell’ingresso in UE, guarda caso eredità della visione politica di Djindjic, non certo di Kostunica). L’unica cosa che mi rimprovero è forse di non aver seguito a sufficienza questi temi, ormai storici, per EJ (magari in futuro), ma non certo di essere fortemente aspro nei confronti di Tadic&co. D’altronde, ad incensarlo c’è tutto l’apparato dei media nazionali serbi e dei media internazionali che ne seguono l’attualità una o due volte all’anno. Non c’è bisogno che mi ci applichi pure io… Per il resto, sono perfettamente d’accordo che ci debbano essere disparità di vedute, e le Sue sono benvenute, solo non pensi che io personalmente segua delle bandiere.

      Cordiali saluti

    • si vede che a lei piacciono le democrazia autoritarie. A noi no. Quindi sì, è una line editoriale. Cordialmente
      Matteo

  6. food for thought

    A me le democrazie autoritarie non piacciono ma, a parte che è discutibile che questo sia il caso della Serbia, mi piacciono ancora meno i titoli gridati e gli slogan ad effetto. Prima della precisazione del Sig. Stefanovic, da alcuni passi dell’articolo si poteva dedurre che secondo l’autore (e quindi la redazione) in Serbia fosse tornato Milosevic per il solo fatto che un’esponente socialista assumerà per un mese (un mese) la presidenza ad interim (ad interim) della nazione. Non credo di essere sospettabile di simpatie socialiste né nel contesto serbo né altrove ma penso di poter dire che dalla caduta di Milosevic ne sia passata di acqua sotto i ponti perfino per il PS serbo, e questo andrebbe spiegato invece di gridare al lupo.
    Ringrazio comunque il Sig. Stefanovic per la precisazione, che ricolloca almeno in parte le cose nel loro giusto contesto. Il contesto è importante e un serio lavoro giornalistico non dovrebbe mai dimenticarlo.
    Quando alla risposta della “redazione”, che credo di poter identificare con il Sig. Zola, mi sembra del tutto fuori luogo. Primo perché gratuita nei confronti di un’obiezione motivata (come si può dedurre dalla risposta dell’autore), secondo perché certe approssimazioni e superficialità d’analisi in questo sito stanno ormai diventando proverbiali e il Sig. Zola lo ha spesso onestamente riconosciuto. Credo che scrivere “A nemmeno dodici anni dalla morbida rivoluzione d’ottobre che avrebbe dovuto segnare la fine di un regime e di un’era (…) il partito fondato da Milošević torna alla guida del paese”, sia una di quelle frasi che richiedono una confutazione, e certamente non degne di un sito di approfondimento sull’est europeo come questo pretende di essere. Ripeto, ringrazio l’autore della precisazione, tutti possiamo scivolare sulle ali dell’ansia da titolazione, ogni tanto. Al Sig. Zola mi permetto solo di ricordare che errare è umano, perseverare è diabolico. E rispondere con sufficienza alle legittime critiche di qualche lettore minimamente informato non è la miglior forma di migliorare la qualità del proprio lavoro. Grazie, saluti.
    Milosevic non è tornato, siamo tutti d’accordo, lo dico a beneficio di chi per un momento si possa essere spaventato.

    Saluti.

    Enzo Reale

    • In effetti ha ragione: i socialisti di Milosevic sono tornati al potere nel momento stesso in cui hanno stretto una coalizione di maggioranza con Tadic, il titolo sensazionale l’avrei dovuto lanciare 4 anni fa. 😀
      Sotto i ponti di acqua ne sarà anche passata, ma di dirigenti della vecchia guardia socialista mica tanti. Lo stesso Ivica Dacic, a guida del partito, è stato giusto portavoce del Partito Socialista di Serbia dal 1992 al 2000. Che ora si dica democratico e filoeuropeo francamente fa ridere. E anche se lo fosse a seguito di un vaso di fiori cadutogli in testa, visto che ha passato otto anni a seguire Milosevic da una guerricciola in Croazia, a un’altra in Bosnia, alla repressione dell’opposizione interna fino all’eliminazione fisica degli avversari, e fino al Kosovo e alle bombe NATO (ancora, da portavoce di partito, non a “seguirlo in TV”), dovrebbe essere democratico e filoeuropeo da privato cittadino nascosto al buio dietro le tende di casa per il resto della sua vita, e non a dirigere ministeri e negare il diritto di indire gay pride.
      La ringrazio per le dritte giornalistiche, ma dal basso delle mie storture mentali non riesco a non pensare che è proprio perché ci tengo a contestualizzare PER BENE i protagonisti della politica serba, oltre a una innocente reggenza pro tempore, che ho scritto quello che ho scritto, dal titolo all’ultima riga. Riletto, firmato e siglato. E se una rivoluzione democratica ha riportato questa gente agli stessi posti di prima, beh, francamente non la reputo rivoluzione. A me piacciono quelle con le teste che ruzzolano eccetera, ha presente? Sono balcanico…

      Ah, infine: non confonda il “Partito Socialista di Serbia” coi partiti socialisti del mondo normale. In Serbia va tutto al rovescio: i socialisti sono nazionalisti, i radicali sono ultranazionalisti, e i democratici sono… qualcosa.

  7. food for thought

    Vede Sig. Stefanovic, il problema non è il suo giudizio sui socialisti serbi di oggi. La Serbia, come tutti i paesi usciti dal comunismo, avrà la sua percentuale di nuove leve e di riciclati. Non stupisce, visto che ai tempi della stella rossa l’unica scuola politica era quella del Partito. Non è questo il punto.
    Il punto è come lei ha descritto l’attuale situazione, come se non ci fosse differenza tra un regime dittatoriale e una democrazia (per quanto autoritaria lei la voglia definire), tra un tiranno alla Milosevic e la normale o peculiare (non mi interessa) alternanza dei partiti al potere o i tradizionali giochi di coalizione. La prima è una situazione abnorme, tragica, emergenziale, la seconda è frutto di una dialettica parlamentare più o meno fluida, più o meno apprezzabile, ma che rientra nelle regole del gioco di una giovane democrazia. So che lei percepisce la differenza, ma allora lo scriva chiaramente e non giochi a confondere le acque.
    Il titolo, la frase e la logica del suo articolo sono fuori luogo (direi fuori dal mondo) per almeno due motivi: 1) Perché i socialisti (per ora) non sono tornati al potere ma hanno semplicemente sostenuto un governo di coalizione e adesso detengono una presidenza ad interim per un mese (e non vinceranno le elezioni); 2) Perché se anche tornassero al potere non lo farebbero nelle condizioni in cui lo erano ai tempi del dittatore ma nel contesto di regole del gioco democratiche. Ammetterà che non è la stessa cosa. Solo questo era il senso della mia obiezione, che ritengo comunque sostanziale e definitiva.
    A me non interessa il suo giudizio sui socialisti, né su Tadic, né se lei ha bandiere. Non mi importa. Mi importa però che il giornalista che mi informa sulla Serbia non cerchi di convincermi che la dittatura miloseviciana e l’attuale assetto democratico sono la stessa cosa. Perché chiunque possieda un minimo di senso comune sa che non sono la stessa cosa.
    Bastava che lei avesse scritto: “A nemmeno dodici anni dalla morbida rivoluzione d’ottobre che SEGNÓ la fine di un regime e di un’era”, invece di “A nemmeno dodici anni dalla morbida rivoluzione d’ottobre che AVREBBE DOVUTO SEGNARE la fine di un regime e di un’era” e il suo pezzo avrebbe raggiunto lo scopo di provocare senza falsificare.
    Fa bene a provocare, è il mestiere del giornalista acuto, ma le falsificazioni ideologiche costringono poi ad arrampicature sui vetri come quella che lei mi ha dedicato nel suo ultimo intervento di risposta.
    Se la Serbia nel futuro patirà un’involuzione autoritaria che nessuno si augura torneremo qui tutti a confrontarci sulla sua preveggenza, ma per adesso il cammino intrapreso dal suo paese per fortuna va in un’altra direzione, seppur con tutte le cautele del caso. Tadic e il PS oggi – bene o male – si avvicinano all’Europa, Milosevic si incaricava di riproporre alle porte dell’Europa i fantasmi della sua storia recente, campi di concentramento e rifugiati. Deve riconoscere che c’è una bella differenza.

    P.S. Ovviamente non sono qui a difendere i socialisti serbi, dai quali mi separano distanze siderali, ma il rigore, la logica e la coerenza storica.

    Cordiali saluti e buon lavoro.

    Enzo Reale

    • dunque “giochiamo a confondere”, “falsifichiamo”, siamo “fuori dal mondo”.

      a me pare un tantino sopra le righe.

      Matteo

    • Sig. Reale, ecco, ad esempio io avrei più timore di lei ad usare il termine “dittatura” con Milosevic, non a caso fin qui l’ho sempre definito regime, senza scendere in specifiche. La stessa ragione per cui Timothy Garton Ash parlava di “demokratura” più che di “diktatura”: la presenza, nel decennio 1990, di un sistema multipartitico (addirittura nelle alleanze di governo, mai monolitiche, che vedevano uniti SPS, JUL e SRS), di media d’opposizione, di una certa – seppure labile e nei tratti più cupi pericolosa – libertà di opinione e critica. Milosevic frodava le elezioni, ma, come Putin oggi, forse non ne avrebbe avuto bisogno, dato che godeva dell’appoggio della maggioranza. Una maggioranza (soprattutto rurale) scarsamente istruita e imbevuta esclusivamente di propaganda della TV di stato. Si stupirebbe forse nel constatare l’ingerenza della classe dirigente politica odierna nei media e nella stampa serba, le prevaricazioni, le pressioni economiche e giuridiche a cui vengono spinti i sempre più rari giornali indipendenti (più rari addirittura che ai tempi di Milosevic, quando almeno su certi Vreme, Danas, B92 potevi inequivocabilmente contare). E in un contesto del genere sarebbe interessante capire quanto la “dialettica democratica” sia genuina e la “volontà popolare” espressione legittima della nazione.

      Mi è ben chiaro che oggi non ci sono sanzioni internazionali, né cetnici che violentano donne bosniache e carri della JNA a cannonare Vukovar. Ma se riduciamo Milosevic a macchietta sanguinaria mistifichiamo la storia recente, e mistificando la storia non misuriamo veramente il significato politico della sua caduta. Milosevic non era un sadico deciso a sterminare i musulmani, non era minimamente interessato alla questione. Come più volte abbiamo ribadito su EJ, le guerre balcaniche erano guerre di profittatori, ladri, mafiosi che si sono arricchiti depredando le ricchezze dello stato e lucrando dai traffici del mercato nero civile e militare. Questa parentesi è definitivamente chiusa, ma è anche logico che dovesse andare così: centinaia di milioni di marchi sono stati portati in Russia, a Cipro ed in altri paradisi fiscali. L’avvento della democrazia era necessario per iniziare un processo di privatizzazioni tramite il quale far riconfluire quei capitali in patria, riciclarli, fondare imperi: Milosevic era ormai un nome troppo ingombrante, inutile in questo processo, ed infatti se è caduto non è certo merito di un giorno in piazza, ma dell’aver prima ancora perso i sostegni dell’esercito e dei servizi segreti (ad oggi gli stessi dell’epoca di Slobodan Milosevic).

      È per questo che, lo ribadisco, la rivoluzione d’ottobre AVREBBE DOVUTO SEGNARE la fine di un regime e di un’era, e NON L’HA FATTO. Se proprio ci tiene, possiamo dire che ha segnato la fine di un ciclo, quello miloseviciano, e l’avvento di quello democratico. Ma l’era è quella, perché gli interessi sono gli stessi, e non sono gli interessi del popolo serbo ma di oligarchie nate negli anni ’90. Se in fondo dopo 12 anni l’unico esempio che sappiamo portare a prova del cambiamente dei tempi è che non si spara più e non ci sono più i campi di concentramento in Bosnia, lo trovo piuttosto sintomatico. E per carità, non per sminuire la sofferenza di chi c’era, ma se dobbiamo ancora applaudire alla Serbia giusto perché non attacca gli stati confinanti e null’altro, campa cavallo… Il problema non sta nel fatto che la democrazia serba soffra dell’essere “giovane” e quindi ancora da perfezionare, ma che tale democrazia, rispetto alle promesse e premesse del triennio 2000-2003, tende sempre più visibilmente ad un regime di stampo russo più che europeo.

      Francamente rimango perplesso, non per le sue critiche (le dissi fin da subito che ognuno è libero di pensarla come vuole, e accetto che abbia sensibilità differenti dalle mie), ma per le sue accuse di vendere fumo e voler turlupinare chicchessia, lei in primis. Non mi sono posto in maniera franca e aperta per sentirmi dire che “mi arrampico sui vetri”, ma evidentemente lei apprezza la “dialettica democratica” solo al momento delle urne, poi è tutta mistificazione informativa.

      Certo di non averla convinta, e sereno di ciò, le porgo i miei più sentiti omaggi.

      Filip Stefanovic

      • Filip, ciò che dici sul regime di Milosevic mi fa pensare, soprattutto in relazione a ciò che è la Bielorussia di questi anni. Bisognerebbe approfondire lo studio di questi regimi autoritari misti, che introducono elementi di pluralismo (elezioni, stampa libera) per aumentare la propria legittimità internazionale.
        Sul resto, la svolta liberal-capitalistica come continuazione dell’economia di guerra sotto altre spoglie, non so bene cosa pensare: ma mi rimanda alle riflessioni sul rinnovo delle nomenklature socialiste in neo-imprenditori negli anni ’90 in centro europa: c’è un elemento patologico (la mancanza di lustracija) ma anche uno fisiologico (chi ha più capitale sociale e ha fatto parte dell’élite ha più facilità a rinnovarsi nel nuovo sistema).

  8. Premetto che non sono un esperto di Est-Europa, quindi le mie osservazioni saranno puramente dettate dalla logica. Non posso non ammettere che il titolo e il tono dell’articolo siano un po’ troppo sensazionalistici: un profano di storia balcanica come me si potrebbe già immaginare la rinascita di una feroce dittatura. C’è un punto, però, con cui sono d’accordo con Filip: laddove politici che occupavano piani alti di governo e/o partito sotto Milosevic si riciclano in un sistema democratico (imperfetto magari), non possiamo semplicemente guardare e gioire della rinnovata dialettica democratica, ma domandarci perché non ci sia stato un ricambio. E’ un punto molto importante che noi italiani non siamo mai riusciti a sciogliere. Riciclarsi, cambiare, reinserirsi nel sistema significa rifarsi la verginità da un periodo crudele o significa semplicemente riciclarsi? Le persone possono cambiare, non c’è dubbio, ma un sistema politico più o meno sano che non riesce a esprimere persone davvero DIVERSE può dirsi trasformato?
    E’ una domanda che lascio aperta. Ripeto, per noi italiani è un nodo dolente: la nostra incapacità di mettere un punto a capo e ricominciare per davvero ci àncora al vecchio e ai riciclati. Così capita con la Serbia, o è solo tanto rumore per nulla?

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