SERBIA: Dal clan di Zemun fino a Koštunica, nuove ipotesi sull'omicidio di Zoran Đinđić

di Matteo Zola

Piccola necessaria introduzione

Mercoledì 12 marzo 2003, il primo ministro serbo Zoran Đinđić viene ucciso da un cecchino. Oppositore di Slobodan Milosevic, sincero democratico, uomo di cultura, Zoran Đinđić era il nemico numero uno della Serbia dei criminali: criminali di guerra, mafiosi, politici corrotti. Si scoprirà che il cecchino, Zvezdan Jovanović, è un membro del clan mafioso di Zemun. Indagini e processi porteranno all’arresto di altri membri del clan: Miloš Simović e Dejan Milenković “Bagzi”. Questi, con le loro testimonianze, inchioderanno Milorad Ulemek detto “Legija”, comandante della polizia segreta dei “Berretti rossi“. La ricerca dei mandanti politici è però in corso, e forse mai vedrà la fine.

Due ministri accusati di essere i mandanti

Nebojša Čović, politico serbo di alto livello, sarebbe uno dei mandanti dell’omicidio di Zoran Đinđić, ucciso il 12 marzo 2003 dagli uomini del clan di Zemun. Čović, che è divenuto primo ministro – per soli quattro giorni – proprio dopo la morte di Đinđić, nega ogni accusa. Attualmente però è oggetto di una denuncia presentata dalla madre e dalla sorella di Đinđić. Con Čović è accusato anche Velimir Ilić, già ministro delle Infrastrutture all’epoca di Koštunica: nella denuncia si può leggere che i due sarebbero “colpevoli di non aver informato le autorità dei preparativi per un omicidio che attentava all’ordine costituzionale”.

Le testimonianze della mafia serba

Ma si va molto oltre. Le donne accusano Nebojša Čović di essere il mandante della morte di Zoran Đinđić. Le loro accuse si fondano sulla testimonianza di  e di Miloš Simović e di Dejan Milenković “Bagzi”, membri del clan di Zemun (“Bagzi” è autore di un fallito attentato a Đinđić precedente all’omicidio del 12 marzo). Proprio il clan di Zemun, dedito al narcotraffico e alle armi, che prende il nome dall’omonimo sobborgo belgradese, è responsabile dell’esecuzione materiale dell’omicidio Đinđić.

Dejan Milenković “Bagzi” ha affermato in tribunale, durante una delle tante udienze dei processi fin qui svolti per individuare i responsabili della morte di Đinđić, che Nebojša Čović avrebbe dato il suo assenso all’omicidio. L’ultimo membro del clan di Zemun arrestato, Miloš Simović, ha confermato le dichiarazioni di Dejan Milenković Bagzi.

La lettera, dai Berretti rossi a Koštunica

Fra le prove presentate c’è anche una lettera indirizzata nel febbraio 2003 a Velimir Ilić a firma di Milorad Ulemek detto “Legija”, molto vicino agli ambienti della mafia serba, già comandante della polizia segreta, quei “Berretti rossi” che sono stati riconosciuti come gli organizzatori dell’omicidio di Đinđić. Ma su ordine di chi hanno agito? Ecco che nella denuncia si citano le dichiarazioni rilasciate da Čović e Ilić a un uomo vicino a Vojislav Koštunica, presidente serbo all’epoca dell’omicidio. L’identità dell’uomo non è al momento nota. Srdja Popović, avvocato della famiglia Đinđić, ha però deposto un reclamo contro Vojislav Koštunica, per le sue supposte implicazioni nel delitto.


La lettera che Milorad Ulemek “Legija” – all’epoca comandante dei Berretti Rossi –  ha inviato, nel febbraio 2003, a Velimir Ilić contiene la richiesta di un’azione congiunta tesa a «ripetere il 5 ottobre [2000]», cioè di mettere al potere delle nuove personalità che abbiano a cuore di “difendere la dignità nazionale”.

Conclusioni

Nebojša Čović è stato poi informato, come prova la corrispondenza tra i due, da  Velimir Ilić sull’esistenza di questa lettera. Ulemek, Čović e Ilić fino all’allora presidente Koštunica, avrebbero dunque tramato, promosso e organizzato l’omicidio di Zoran Đinđić materialmente ucciso da uomini del clan di Zemun. Polizia segreta, politica e crimine organizzato: un intreccio difficile da sciogliere.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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