SERBIA: Arrestato Dobrosav Gavrić, uccise la tigre Arkan

di Matteo Zola

Zeliko "Arkan" Raznatovic

Dobrosav Gavrić è stato catturato a Città del Capo, comparirà in tribunale il mese prossimo con l’accusa di traffico di droga. Gavrić è stato condannato nel 2006 a trent’anni di carcere per avere ucciso Zeljko «Arkan» Raznatovic, il famigerato capo delle milizie paramilitari serbe denominate “tigri”. La Serbia ha l’intenzione di chiederne l’estradizione.

L’omicidio

Erano le cinque del pomeriggio del 15 gennaio 2000 e Arkan si trovava all’Intercontinental Hotel di Belgrado, intento a chiacchierare con due amici, quando l’ex poliziotto Dobrosav Gavrić, si avvicinò a lui con fare calmo e da dietro lo colpì facendo esplodere numerosi proiettili dalla sua CZ-99.  Arkan fu trasportato in ospedale dalla guardia del corpo, Zvonko Mateović, ma morì durante il tragitto. Ai suoi funerali parteciparono ventimila persone.

Da poliziotto a criminale, una parabola serba

Dobrosav Gavrić

Dobrosav Gavrić aveva allora ventitré anni, poliziotto dal 1996 si avvicinò progressivamente ad ambienti criminali in una Belgrado dove lecito e e illecito, polizia e crimine, non avevano soluzione di continuità. Così Gavrić, a fine anni Novanta, in una Serbia alla ricerca di nuovi padri e “padrini” fece la sua scelta: lasciò la divisa per unirsi alla mafia belgradese da cui – probabilmente – ebbe l’ordine di uccidere Arkan. Catturato dalla polizia serba nel 2001 e rinviato a giudizio, fu scarcerato nel 2003 dopo che la Corte di cassazione serba invalidò il procedimento a suo carico ordinando un nuovo processo. Avrebbe dovuto difendersi da uomo libero ma preferì le fuga. Condannato in contumacia nel 2006 è da allora latitante.

Le ombre sulla morte di Arkan

L’arresto di Dobrosav Gavrić non darà seguito a un nuovo processo dal quale si sarebbero forse potute conoscere nuove verità sui mandanti dell’omicidio Arkan. E quindi sul movente. E’ possibile ritenere che l’omicidio sia maturato all’interno della mafia serba che in quegli anni si stava ristrutturando e per la quale Arkan rappresentava il vecchio potere: quello della guerra contro tutti, quello della guerra perduta, quello dei traffici di armi, quello della predazione. Ma adesso c’era l’eroina, tanta eroina, da gestire. Forse la vecchia “tigre” aveva perso la sua influenza, forse era un ostacolo al ‘nuovo corso’. Forse.

Il nuovo corso

Quel che è certo è che dopo la morte di Arkan, nel 2000, e l’arresto di Slobodan Milosevic, nel 2001, si assiste alla nascita di una ‘nuova’ Serbia nella quale mafia, polizia segreta e ambienti politici vicini a Vojislav Koštunica (che nel 2000 assunse la carica di Presidente della Serbia) organizzeranno un potere occulto capace persino di ordire la morte di Zoran Đinđić. Dal 2000, inoltre, la mafia serba farà un salto di qualità diventando una delle più potenti del mondo favorendo l’ascesa di uno dei boss più feroci dei Balcani occidentali, quel Darko Saric ormai noto alle cronache occidentali.

Così Dobrosav Gavrić è forse stato la miccia inconsapevole del rinnovamento criminale: un cambiamento gattopardesco in cui diversi sono i nomi ma uguale è il potere. Un potere fatto di crimine organizzato,  politici corrotti e collusi, apparati militari e polizie segrete. Un potere che sarebbe illusorio pensare finito oggi, malgrado le chimere europee e le cosmesi democratiche.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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