POLONIA: Varsavia vigila sulla propria memoria? La gaffe di Obama e l'antisemitismo polacco

In seguito alla “gaffe” di Obama del 29 Maggio quando il presidente americano ha usato la definizione di “campi delle morte polacchi” (polish death camp) durante la cerimonia di conferimento post-mortem della medaglia della Libertà a Jan Karski l’opinione pubblica polacca ha vissuto una particolare effervescenza. La reazione a livello politico è stata forte soprattutto da parte della destra all’opposizione: Jarosław Kaczyński (Diritto e Giustizia) ha parlato di una “nazione polacca che è stata insultata in maniera drastica”e Bartosz Kowacki (Polonia Solidale) di un “Obama che ha sputato in faccia ai polacchi”. Immediata è stata anche la reazione a livello istituzionale. La più sintomatica è stata quella del premier Tusk che ha detto“ se qualcuno oggi parla di campi della morte polacchi parla come se non ci fossero stati i nazisti, la responsabilità tedesca e Hitler”. Il presidente Komorowski ha mandato una lettera di protesta al presidente americano. Il 1° Giugno Obama nella lettera di risposta ha parlato di un errore e della necessità di far in modo che questo “incidente” sia il punto di partenza per una sensibilizzazione dell’ opinione pubblica americana e mondiale su questo delicato aspetto storico invitando a considerare la vicenda come un’occasione per garantire che questa e le generazioni successive conoscano la verità.

L’uso improprio del termine “campo di concentramento polacco” per definire gli ex lager nazisti purtroppo è una cattiva abitudine, o peggio ignoranza storica, che hanno dimostrato a più riprese, soprattutto negli ultimi anni, numerosi media europei ed internazionali.

Una parte dei giornalisti si è scusata asserendo che l’inglese “Polish death camp” o “Polish concentration camp” ha un carattere polisemico che in questo caso assumerebbe un significato squisitamente topografico riferendosi ai campi sul territorio polacco.

La definizione “campi di concentramento polacchi” in questo senso “topografico” è stata curiosamente usata già subito a ridosso della guerra dalla

scrittrice polacca Zofia Nałkowska nella sua opera ” Medaglioni” del 1946. In questo caso l’insigne polacca non è mai stata sfiorata da nessun vento di critica perché all’epoca era ben vivo il ricordo della guerra e tutti sapevano distinguere tra “vittime ” e ” carnefici” .

Oggi, con la tendenza ad “appannare” la memoria, sostengono soprattutto i diplomatici polacchi, c’è invece bisogno di chiarezza perché l’uso improprio di questa definizione può non essere di per sè in malafede però potrebbe diventare esplosiva se collegata con un’altro stereotipo sui polacchi, l’antisemitismo. Infatti come ha sottolineato lo storico Timothy Garton Ash “la correlazione automatica della Polonia con l’antisemitismo e da ciò una connotazione con la colpa per l’Olocausto sono sempre presenti nel mondo Occidentale”. Per evitare ogni ambiguità il ministero del Esteri, le ambasciate e varie associazioni dei polacchi all’estero hanno cominciato, soprattutto dal 2004, a monitorare i media europei e internazionali invitando ogni volta a correggere la definizione “sbagliata” con la più lunga ma più chiara di “campi di concentramento nazisti nella Polonia occupata”.

Tra gli interventi di maggior risonanza si può ricordare quello nei confronti della redazione del Wall Street Journal e delle redazioni del San Francisco Chronicle, del New York Times e del portale Yahoo. Nel 2012 l’ intervento ha riguardato l’agenzia Associated Press e poi ci sono state proteste dell’Ambasciata polacca indirizzata alla redazione del “Los Angeles Times”.Questi vari interventi dei funzionari polacchi sembrano aver raggiunto un buon risultato: molte redazioni hanno inserito nei

propri stylebook il divieto di usare l’espressione “Polish death camp”. La “gaffe“ di Obama sembra quindi una buona opportunità per rafforzare ulteriormente la rotta.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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