La minoranza polacca in Bielorussia chiede aiuto

Sono 400 mila i polacchi di Bielorussia, su 10 milioni di abitanti, e hanno chiesto al premier Donald Tusk una prova di forza nei confronti di Minsk: “La cooperazione con le autorità bielorusse dovranno dipendere dal loro rispetto dei diritti dell’uomo” dichiara Andzelika Borys, presidente dell’associazione culturale che -con fondi dello stato polacco- promuove scuole parificate a quelle bieolorusse ma in lingua polacca. Scuole che oggi rischiano un duro colpo. Non si tratta solo di fondi, la stessa Borys ha subito 81 controlli in tre settimane. L’intento di Minsk è quello di agire con forza contro le minoranze, che mal digerisce.

La Polonia è stato però il primo Paese dell’Unione Europea ad aver teso la mano a Minsk, dopo decenni di isolamento: lo scopo di quella distensione fu anzitutto economico, la Bielorussia rappresenta un mercato vergine per l’Unione Europea (vedi Berlusconi e l’ultima dittatura europea). L’opinione pubblica polacca si spacca di fronte all’atteggiamento da tenere con Minsk, il quotidiano conservatore Rzeczpospolita dichiara fermamente che:  “Bisogna dire no a Lukaschenko!”. Anche Gazeta Wyborcza è scettica sulla politica di distensione che, afferma dalle sue colonne, si è rivelata infruttuosa. Il quotidiano lucidamente pone l’accento sull’opportunismo di Lukaschenko che ha approfittato della distensione con l’Unione Europea, promossa da Varsavia, portando avanti solo riforme di facciata mentre i diritti umani sono ancora calpestati.

Nel mirino di Minsk non sono infatti solo le minoranze ma anche tutte quelle Ong che s’impegnano nella diffusione e nel monitoraggio dei diritti umani: reprimerle e sradicarle è lo scopo primo della dittatura bielorussa, che ha approfittato dell’apertura alla UE per sottrarsi all’abbraccio fatale di Mosca, ma che non intende ricevere ingerenze nella gestione del potere autoritario.

Le colpe dell’Unione Europea non sono secondarie: la scarsa efficacia della sua azione politica ha permesso a Lukashenko si riaffermare il suo potere. Con gli investimenti europei si è smarcato dal Cremlino, ha rafforzato economicamente la sua leadership, si è sottratto agli aut aut di Bruxelles senza che questa reagisse. Ecco allora che “persone come Andzelika Borys rappresentano un’avanguardia nella lotta per l’avvenire democratico della Bielorussia”, conclude Gazeta Wyborcza.

Foto Gazeta Wyborcza

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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