POLONIA: “Campo di sterminio polacco”, Obama scivola sui nervi di Varsavia

DA BRUXELLES. “Polish death camp”, campo di sterminio polacco. Parole uscite dalla bocca di Barack Obama il 29 maggio, e di cui si deve essere pentito immediatamente. La polemica che ne è seguita, una tempesta in un bicchier d’acqua che ha intorbidito le relazioni polacco-americane, ha completamente fatto dimenticare l’occasione del riferimento: il conferimento della Medaglia della Libertà a Jan Karski, partigiano polacco fuggito da Auschwitz che cercò di avvertire gli Alleati della Shoah in corso.

Tusk è intervenuta a gamba tesa: “Non possiamo accettare tali parole in Polonia, anche se escono dalla bocca del leader di un paese alleato. Quando qualcuno dice ‘campi di sterminio polacchi’, è come se non ci fosse nessun nazista, nessuna responsabilità tedesca, nessun Hitler”. La Casa Bianca ha cercato di salvarsi in corner, con una comunicazione di un portavoce secondo cui si è trattato solo di un lapsus, e riportando la dizione polonicamente corretta – ‘campi di sterminio nazisti in Polonia’.

Ma Tusk ha reiterato la polemica: “sono convinto che i nostri amici americani possano permettersi oggi una reazione più forte che una semplice espressione di dispiacere dal portavoce della Casa Bianca – una reazione più incline ad eliminare una volta per tutte questo tipo di errore”, sostenendo che Obama fosse colpevole di “ignoranza, mancanza di consapevolezza, cattive intenzioni”. Anche il ministro degli esteri Radoslaw Sikorski ha fatto sapere tramite Twitter che la Casa Bianca avrebbe dovuto “chiedere scusa per questo oltraggioso errore”, mentre il presidente della repubblica Bronisław Komorowski scriveva in una lettera di tono più conciliatorio ad Obama di “contare sulla sua cooperazione nel correggere questo sfortunato errore”. Le parole di Tusk sono apparse eccessive tuttavia anche ad alcuni commentatori interniL’ex premier Włodzimierz Cimoszewicz sostiene che Tusk si sia lasciato trasportare: “La reazione dovrebbe essere chiara, non ambigua, appropriata e non aggressiva. E non troppo forte, a livello formale.” Alla fine Obama ha placato la rabbia dell’establishment polacco attraverso una risposta alla lettera di Komorowski, in cui ammette:

“Ho inavvertitamente utilizzato una frase che ha causato angoscia a tanti polacchi nel corso degli anni, e che la Polonia ha giustamente fatto campagna perché sia eliminata dal discorso pubblico in tutto il mondo.”

La polemica si accende esattamente un anno dopo la calorosa accoglienza riservata da Obama a Tusk a Chicago, la città americana con la più rilevante comunità polacca.  La polemica sul termine “Polish death camp” non è affatto nuova, e la reazione di Varsavia è sintomo di un nervo ancora scoperto nella sensibilità dell’opinione pubblica e dell’élite politica – lo storico antisemitismo presente in Polonia e la responsabilità, mai chiarita e mai apertamente discussa, di almeno una parte della popolazione polacca nell’Olocausto e nei massacri del dopo-guerra, tema già sfruttato dalla propaganda stalinista negli anni ’50 e risollevato dalle opere di Jan T. Gross.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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