NORD CAUCASO: Sogni di Califfato, il fondamentalismo islamico che spaventa Mosca

di Alessandro Mazzaro

Ha scelto Kavkaz.net per rivendicare l’attentato all’aeroporto Domodedovo di Mosca Doku Umarov, “emiro del Califfato del nord Caucaso”. “Questa operazione speciale è stata condotta su mio ordine – ha detto Umarov in russo – e, se Dio vorrà, speciali operazioni di questo tipo continueranno a essere realizzate”. La rivendicazione dell’attentato, compiuto per vendicare “i crimini russi nel Caucaso”, non è stata una novità per gli analisti che si occupano dell’area. Anzi, più che sull’attentato in sé, vale la pena soffermarsi sul presunto “Califfato”, vessillo agitato dai combattenti islamici indipendentisti come spauracchio sia nei confronti dei russi che nei confronti degli occidentali.

L’ESTERO INTERNO

“Tra il Caucaso settentrionale e la Russia il fossato si allarga rapidamente. Le divaricazioni sono ormai tali che ci si può chiedere se questa periferia non costituisca una sorta di ‘estero interno”. Questo diceva, quasi dieci anni fa, Viatcheslav Avioutskii, esperto di geopolitica caucasica. Si può tranquillamente affermare che nulla sia mutato dall’analisi appena citata, anzi è possibile notare i segni di un peggioramento diffuso che, però, vede Mosca in una posizione guardinga e silenziosa, per niente fedele all’immagine “di ferro” russa, che ha fatto della repressione un credo politico per decenni.

Uno studio recente ha stimato che nel Caucaso del nord l’età media dei combattenti è scesa sensibilmente. Tra i motivi una precarietà/povertà diffusa che ha portato i giovani a seguire (o inseguire) un radicalismo che li porta a combattere per una “idea”. Non deve sorprendere, dunque, il favore che il fondamentalismo incontra negli strati sociali più in difficoltà. A cambiare invece è stata, secondo Markedonov autorevole analista per il centro studi strategici e internazionali di Washington, la strategia nel progettare l’attentato: “L’attacco all’aeroporto Domodedovo ha messo in pericolo non solo cittadini russi, ma anche stranieri. Prima d’ora non era mai accaduto. Ci sono stati attacchi ai principali nodi di comunicazione (l’esplosione nella metropolitana di Mosca nel marzo 2010 ne è un esempio). Ci sono stati tentativi di attaccare simboli del progresso (l’attacco alla centrale idroelettrica di Baksan in Kabardino-Balkaria, nell’estate dello scorso anno). Ma attaccare la parte destinata ai voli internazionali di un aeroporto è una pratica sconosciuta ai terroristi. Lo scopo di tale azione è evidente. Da un lato esso dimostra la vulnerabilità della Russia alla vigilia di due grandi eventi sportivi (le Olimpiadi invernali del 2014 e i Mondiali di calcio del 2018); dall’altro è un segnale da inviare ai “fratelli” nel mondo: “Guardate, la jihad caucasica sta arrivando, abbiamo la forza e le risorse”.1

JIHAD NORDCAUCASICA

La guerra santa contro gli infedeli (jihad) è, da duecento anni, un fattore costante della geopolitica nord caucasica. Una storia che si trascina da due secoli e che ha portato i musulmani dell’area ad essere pedine di un “grande gioco” che non sempre hanno compreso. Nel 1942 furono strumentalizzati da Hitler, il quale provò a mobilitarli contro l’Urss. Lo confermano i documenti dell’epoca, che citavano i nomi di alcuni mullah collaborazionisti, i quali arrivarono a proclamare il Furhergrande imam del Caucaso”.2

Jihad è stato poi il termine con cui i ceceni definirono la guerra combattuta contro la Russia, e altre molteplici volte tale etichetta è stata affibbiata a qualche crociata contro il “nemico”. Alcuni analisti del Cremlino hanno parlato di Caucaso come di un “cancro”, pieno di “metastasi” capaci di distruggere la Russia. C’è da dire che lo spostamento a sud nello scacchiere geopolitico del caucaso settentrionale non ha aiutato la distensione tra il centro e la periferia. Tale spostamento è databile intorno ai primi anni ’90, quando la fine del socialismo reale indusse i paesi arabi a creare dei fondi per ricostruire le moschee del nord Caucaso. “Il che ha fatto sì che parecchi predicatori sauditi – ricorda Avioutskii – si recassero in quella regione per introdurre la loro variante dell’islam”. Poi la guerra del golfo, con Saddam Hussein visto dai musulmani nord caucasici come “un simbolo di liberazione”, fino ad arrivare ai giorni nostri.

CALIFFATO IN SALSA CAUCASICA

Il mondo arabo ha dunque sostenuto l’islam nord caucasico in maniera quasi assoluta: fondi finanziari, corsi di addestramento per combattenti, supporto logistico e accoglienza dei rifugiati (in particolare Turchia, Giordania e Iran). Non a caso il Califfato (“il rimedio per i conflitti interetnici”) fa parte di un progetto molto più ampio che vede il Caucaso come l’estremita occidentale di un territorio che si estende sino allo Xinjiang cinese, passando per l’Asia centrale, e il cui nucleo starebbe nelle montagne tra Afghanistan e Pakistan. A questa si aggiunge la versione meramente caucasica del Califfato, che comprenderebbe le sole repubbliche di Cecenia, Daghestan e Inguscezia

“Ma questi combattenti che parlano da anni di ‘Califfato’ – si chiedono gli osservatori in questi giorni – ci credono davvero?

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1 Fonte: www.caucasustimes.com

2 Limes, l’Arabia Americana. 2002

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