NAGORNO KARABAKH: La salvezza non verrà da Mosca. La soluzione del conflitto dovrà venire dal basso

Traduciamo qui di seguito l’incipit e le conclusioni di un’analisi di Anahit Shirinyan per Caucasus Edition sul ruolo della Russia nella mediazione tra Armenia e Azerbaijan sul conflitto del Nagorno Karabakh. 

Il ruolo della Russia negli sforzi per risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh: dalla percezione alla realtà

Il processo di pace nel conflitto del Nagorno-Karabakh ha raggiunto la sua più profonda situazione di stallo da quando armeni e azeri si sedettero al tavolo dei negoziati per aprire una tregua nel 1994. I recenti sviluppi, come l’escalation di scaramucce frontaliere e il famigerato ‘affare Safarov‘, insieme con la retorica bellica senza sosta, hanno aggravato senza precedenti la frattura tra le parti a livello sia statale sia sociale. Le preoccupazioni per una possibile ripresa delle ostilità sono aumentate. In mancanda di segni di cambiamento del clima all’orizzonte, anche i ‘prudenti’ ottimisti tra gli osservatori sembrano essere divenuti scettici.

L’assenza di qualsiasi progresso palpabile nei Nagorno-Karabakh colloqui di pace è spesso attribuita agli attori esterni, e i paesi membri del gruppo di Minsk – Francia, Russia e Stati Uniti – sono naturalmente i primi sospetti. Si sostiene che interessi geostrategici stranieri trincerati nella regione siano sempre più il motivo per cui il conflitto rimane di fatto ad oggi congelato.

Tra i paesi con tali interessi, la Russia si prende la parte del leone della colpa. Esperti e osservatori, da Yerevan a Baku, da Washington a Bruxelles, hanno sostenuto che Mosca non è interessata alla risoluzione del conflitto. E’ opinione diffusa che la Russia ostacola gli sforzi di risoluzione dei conflitti e sostiene lo status quo, dal momento che quest’ultimo consente di Mosca di mantenere la regione sotto il suo predominio.

La pratica del Cremlino di esercitare tattiche aggressive nella sua politica estera, ancora di più nel suo vicinato post-sovietico, getta benzina sul fuoco di questa percezione. La percezione negativa del ruolo della Russia in altri conflitti – Abkhazia, Ossezia del Sud e Transnistria – viene automaticamente attribuito anche al conflitto del Nagorno-Karabakh.

Ma uno sguardo più da vicino la situazione attuale presenta un quadro meno a senso unico di questo coinvolgimento. Anche se è vero solo che la Russia è stata in grado capitalizzare sul conflitto per promuovere i propri interessi nei confronti sia dell’Armenia sia dell’Azerbaigian, il suo ruolo nella risoluzione del conflitto resta ampiamente sopravvalutato. Non ci sono prove, in particolare, del modo in cui la Russia potrebbe ostacolare la risoluzione del conflitto, se armeni e azeri fossero davvero pronti a ciò, o di come come Mosca potrebbe aiutare a risolvere tutto da sola senza avere il coinvolgimento attivo delle parti in conflitto.

Rinforzato dalle aspirazioni e dalla retorica di Mosca, sembra che alla Russia venga attribuito un ruolo più importante di quanto essa non abbia in realtà. Ma se non è possibile trascurare l’impatto di più ampie proiezioni regionali geostrategiche sul Nagorno-Karabakh, sopravvalutare il loro ruolo può portare conseguenze ancora più negative per la risoluzione del conflitto. Dare tutta la colpa  ad attori esterni e ai loro interessi per i tentativi finora falliti di risoluzione del conflitto è una tendenza pericolosa. Non riesce a riflettere l’essenza del conflitto stesso, mentre effettivamente nutre l’illusione che la chiave di risoluzione non sia nelle mani di armeni e azeri, ma altrove. Essa può anche servire come un conveniente paravento per le parti in conflitto che non sono né pronti né disposto ad assumersi la piena responsabilità e pari per risolvere il conflitto.

La salvezza non verrà da Mosca. La chiave per la soluzione del conflitto dovrà venire dal basso.

Che la Russia dimostri o meno un atteggiamento attivo e positivo nel processo di pace per il Nagorno-Karabakh, essa rimane un attore importante sia come membro fondamentale negli sforzi di mediazione del Gruppo di Minsk, sia in virtù dei suoi legami bilaterali con le parti in conflitto. Tuttavia, il suo ruolo nella risoluzione del conflitto non deve essere sopravvalutato.

Forse la principale fonte di frustrazione generale rispetto al coinvolgimento russo sono state le aspettative non realizzate da Mosca su tutti i fronti. La convinzione che la Russia avrebbe potuto spingere le due parti verso una soluzione, o prendere posizione e sostenere la ‘verità’ di una delle due, ha provocato delusione e la tendenza a incolpare la Russia per i fallimenti del processo di pace – a maggior ragione da parte dell’Azerbaigian.

Il fatto che la Russia stiia sfruttando il conflitto per perseguire i propri più ampi interessi nella regione non ha permesso a molti di vedere i limiti della sua influenza sulla risoluzione del conflitto. I recenti sviluppi hanno dimostrato che Mosca non ha né gli strumenti sufficienti per forgiare una soluzione, né la volontà di offrire vantaggi unilaterali ad alcuna delle parti. La sua capacità percepita di influenzare il processo, quindi, il più delle volte non si dimostra più efficace di quella di Washington o Parigi, o di tutti e tre insieme. Mosca manca anche di reali pratiche ed incentivi di soft power, che potrebbe forse rivelarsi un valido strumento combinato con la sua influenza generale della regione. Infine, l’impegno della Russia rimane essenzialmente una strada a doppio senso e continuerà a dipendere non solo dalle sue ambizioni, ma anche dalle scelte politiche fatte da Erevan e Baku.

Nel complesso, attribuire significati ingiustificati al fattore russo si è dimostrato controproducente per entrambe le parti. In questo modo, l’Armenia e l’Azerbaigian hanno volontariamente conferito più peso a Mosca nelle loro relazioni bilaterali con essa. Le speranze di vantaggi unilaterali che Mosca avrebbe potuto concedere ha creato aspettative irrealistiche nelle parti, e ha inciso negativamente sul loro impegno nei confronti del processo di pace. In un certo senso, il fattore russo è anche servito come una comoda distrazione per le parti dalla necessità di assumersi maggiori responsabilità per la risoluzione del conflitto per conto proprio.

D’altra parte, la tendenza – maggiore tra gli osservatori occidentali – a caricare il conflitto con schiaccianti implicazioni geopolitiche è stata un’altra erronea linea di percezione. Trattare il conflitto soprattutto come una pedina nelle mani della Russia nei suoi giochi di potere regionali è derivato spesso da una sorta di ignoranza nei confronti del conflitto stesso e delle sue sensibilità. Le specifiche dinamiche del conflitto, le sfide immediate della sicurezza, la comprensione di come e perché gli interessi delle parti si trovano in dove sono, e, infine, più importante – la dimensione umana del conflitto, sono state in qualche modo stato trascurate e messo in ombra dalla incapacità di vedere un quadro più concreto dietro una banale geopolitica.

Infine, assegnare alla Russia un ruolo cruciale potrebbe alla fine diventare una profezia che si autoavvera. Incolpare la Russia per tutte le nefandezze in corso nello spazio post-sovietico ha già nutrito una estesa, ed errata, retorica di alcuni ambienti politici russi. Negli ultimi due decenni si è andati sostenendo che i paesi post-sovietici, in generale, non possano andare avanti senza che la ‘mano forte’ della Russia li spinga da dietro. Nel complesso, tuttavia, la tendenza generale nella comunità politica russa è stata l’adesione a considerazioni più di realpolitik per quanto riguarda il conflitto del Nagorno-Karabakh. Malgrado Mosca sia ancora ostile ad alcuni casi di ‘intervento’ dall’esterno della regione, essa tende ad avvicinarsi a diverse questioni regionali in maniera inclusiva piuttosto che esclusiva rispetto ad altri partner. Il Nagorno-Karabakh è una di quelle questioni su cui la Russia è desiderosa di collaborare con i suoi partner occidentali.

E’ molto improbabile che lo status quo sul ruolo della Russia, e l’importanza che armeni e azeri danno alla stessa, vacillino tanto presto. Né sarà Mosca a rinunciare alla propria tattica di stare seduta su due sedie e sfruttare il conflitto a proprio vantaggio. E’ comunque importante riconoscere queste dinamiche come conseguenza della attuale situazione di stallo piuttosto che come causa di essa, e concentrarsi sugli sforzi immediati di risoluzione dei conflitti piuttosto che su distrazioni estranee.

In questo senso, armeni e azeri dovrebbero essere i meno interessati alla ‘geopoliticizzazione’ del conflitto. Solo in relazione e in cooperazione con l’altro, entrambi possono salvaguardare importanti interessi nazionali ed elaborare soluzioni vantaggiose. Il fatto che la voce della Russia sia resa così importante su tutti i fronti, mentre la parte principale del conflitto – la repubblica de facto del Nagorno-Karabakh – rimane assente dal processo di pace dimostra anche la logica in qualche modo intrinsecamente sbagliata dietro il processo di pace in corso e i limiti di ciò che esso può raggiungere. Indipendentemente dal coinvolgimento di interessi terzi, è prerogativa di armeni e azeri raggiungere una risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh. La chiave per la risoluzione dei conflitti non è né a Mosca né altrove, ma in Armenia, Nagorno-Karabakh ed Azerbaigian.

Foto: Joseph Ferris, da Flickr

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