EURO 2012: Alla scoperta di frate Artur e del suo collega Oleksandr

Tra stragi di cani randagi e stadi inadatti al giuoco del calcio, rimaniamo io e i miei due pesci rossi ad analizzare le squadre ospitanti dal punto di vista tecnico-tattico (come direbbero i colleghi raisportivi). Lo faremo partendo – banalmente – dai pali.

Il primo personaggio di questa storia è un signore che di nome fa Artur e di cognome Boruc (nella foto è il frate di destra), ed è il numero uno della Fiorentina nonché della squadra biancorossa (la Polonia) allenata dal simpatico Franciszek Smuda. Un ragazzo che ha una storia particolare, soprattutto se siete di quella razza (metà del globo) che quando pensa alla Polonia pensa subito al papa e al Vaticano (l’altra metà non credo pensi alle suore): portiere titolare dei cattolicissimi Celtic di Glasgow per 5 lunghi e religiosi anni, nato a Siedlce nel 1980, da un paio d’anni difende (con alterne fortune) la porta della Viola. Correva l’anno 2006 e durante un derby contro i Rangers (“Old Firm”, lo chiamano da quelle parti), al bell’Arturo venne in mente di farsi un segno della croce rivolto verso la curva degli avversari, storici rappresentanti della parte protestante di quella che è la seconda città più grande del Regno Unito. Apriti – letteralmente – cielo.

“Superstizione papista” o meno, la polizia arrivò persino ad indagare il gigante polacco fino a portare il procuratore ad emettere una sorta di fatwa giudiziaria, un “ammonimento per aver provocato la folla con il segno della croce”. Scatenati, ovviamente, i tifosi dei Rangers: “Boruc è andato dietro la porta con il viso contorto, guardandoci come se fossimo dei laidi peccatori e poi si è fatto il segno della croce”. Ovviamente, dall’altro lato del cielo, parlarono di attentato alla libertà religiosa: “La Scozia è uno dei pochi Paesi al mondo dove un semplice gesto religioso è considerato offensivo”. Ma questa è storia vecchia: ora Artur giocherà in casa, dove anche le traverse risultano regolarmente battezzate.

Il suo compagno di ruolo nell’altra nazione ospitante, l’Ucraina, è il simpaticissimo Oleksandr Volodymyrovyč Šovkovs’kyj. Sono affezionato a Sciovcoschi, come lo chiamo dall’età di 14 anni memore delle sintesi di Champions League che mandavano su Italia1 alle 2 di notte, per due motivi: mi ricorda, appunto, la mia infanzia pallonara; e – motivo da non sottovalutare – è cresciuto calcisticamente sotto il pugno di ferro del colonnello Lobanovs’kyj, Eroe d’Ucraina, straordinario allenatore, figura mitica, imbacuccato e silenzioso condottiero che affascinò generazioni di 14enni immersi nella neve di un televisore 14 pollici. Ci sarebbe anche un terzo motivo, storico-politico: Šovkovs’kyj è il portiere titolare della Dynamo Kiev, una squadra alla quale da giovane siculo-sovietico cresciuto a massicce dosi di Che fare? non posso che essere affezionato (sì lo so, ora ci sarà qualcuno che commenterà: ma se gli ucraini furono le prime vittime del terrore rosso etc etc. Va bene, ok: ma non c’entra, adesso). La storia è questa, e la sintetizzo wikipedianamente per coloro che non la conoscono (e che non sanno che “Fuga per la vittoria” fu ad essa liberamente ispirato): durante la seconda guerra mondiale molti giocatori ucraini vennero usati come prigionieri di guerra nazisti nel panificio di Kiev. I tedeschi, non appena seppero del talento dei giovani della Dynamo, li sfidarono. La compagine ucraina (chiamata Start) era formata da 8 elementi della Dynamo e da tre della Lokomotiv, altra squadra locale: vinsero la prima partita 4-0, la seconda (dove leggenda vuole che avessero l’obbligo di perdere) 5-3.

Le tensioni non finirono appena usciti dal campo, com’è intuibile: “L’attaccante Korotchich fu torturato e poi fucilato, altri sette giocatori finirono in un lager. Anche il portiere ed altri giocatori vennero uccisi – per rappresaglia – da lì a qualche giorno. Le cronache narrano che solo due furono i superstiti: Mikhail Sviridoski e Makar Goncharenko, proprio colui che con la sua doppietta aveva portato lo Start sul 3-1”. Oggi in suo onore la Dynamo ha eretto un busto con la dedica A uno che se lo merita. Ah, Sciovcoschi: è un portiere solido, moderatamente farfallone.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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