La vecchia Europa e la rivoluzione

L’Europa dà un’impressione di paralisi di fronte a sconvolgimenti politici nel Mediterraneo dopo la caduta del regime di Ben Ali in Tunisia, nel mese di febbraio 2011. Tuttavia, senza cadere nell’indulgenza, l’UE non sta affrontando un cambiamento di stato d’animo, ma un cambiamento rivoluzionario nei paesi limitrofi.

Da un sostegno iniziale ai regimi tunisino o egiziano per paura degli islamisti, al decisivo intervento in Libia, o all’incapacità di far fronte alla guerra civile siriana, non è difficile notare che l’Unione europea non ha una strategia globale per far fronte alle trasformazioni del suo vicinato meridionale. E’ perciò essenziale procedere ad un doppio inquadramento sulla dimensione rivoluzionaria di questi cambiamenti e ad estendere la cornice storica e geografica prima di riportare il fallimento dell’Europa di fronte alla primavera araba.

Lo storico e sociologo Charles Tilly nel suo studio delle rivoluzioni europee dal 1492 al 1992 definì le rivoluzioni come movimenti sociali che avanzano rivendicazioni concorrenti sul controllo dello Stato e sono costituiti da una situazione rivoluzionaria – guerre civili, rivolte e colpi di stato  – e da un risultato rivoluzionario che coinvolge la presa del potere da parte dei nuovi governanti.

Da questo punto di vista, il vicinato in senso ampio dell’Europa ha conosciuto non meno di una dozzina di situazioni rivoluzionarie a partire dal 2000: in Serbia nel 2000, in Georgia nel 2003, in Ucraina nel 2004-2005, Kirghizistan e il Libano nel 2005, in Iran nel 2009, Tunisia, Libia, Egitto, Siria e Bahrein nel 2011 e 2012. Anche Algeria, Giordania e Marocco hanno sperimentato ondate di protesta nel 2011, ma i regimi sono riusciti a controllarle con la repressione e la riforma prima che si trasformassero in situazioni rivoluzionarie. Naturalmente è difficile mettersi d’accordo sul risultato di queste trasformazioni rivoluzionarie. La situazione attuale in Ucraina, Kirghizistan, Libano, Iran e Bahrein non è fondamentalmente diverso da quella anteriore al momento rivoluzionario. Da un punto di vista normativo, molti europei deplorano che la conseguenza della caduta dei regimi autoritari sia la presa del potere da parte degli islamisti in Tunisia e in Egitto. La metafora semplificatrice della Primavera dei Popoli del 1848, soffocata nel sangue o che dà luogo dopo il 1851 a regimi autoritari di tipo nuovo come quello di Napoleone III in Francia sembra essere dominante nel pensiero di molti.

In ogni caso, dobbiamo essere comprensivi se non indulgenti con l’Europa. Un altro esempio è necessario. Dopo la caduta, anch’essa rivoluzionaria, dei regimi comunisti in Europa centrale nel 1989, l’UE ha dovuto attendere fino al vertice di Copenaghen del giugno 1993 per decidersi ad offrire la prospettiva di adesione ai nuovi regimi democratici. La paralisi non è forse a causa di una fondamentale diffidenza nei confronti delle capacità democratiche dei suoi vicini, ma della trasformazione di una regione che può oscillare tra democrazia e nuovi regimi autoritari.L’Europa, progetto di pace e consenso, si trova in difficoltà a reagire ad un tipo di evento che ha ormai archiviato: la rivoluzione. Ma può ancora capire la loro portata storica: la rivoluzione mette sempre avanti una parte del popolo nell’azione politica ed è quindi sempre un’opportunità democratica.

Per andare oltre

– Uno dei migliori analisi politica delle rivoluzioni del 1848 e le cause del successo e del fallimento delle rivoluzioni: Karl Marx [1852] Il 18 Brumaio di Luigi Napoleone Bonaparte.

– Il primo studio che suggerisce che le rivoluzioni non sono scoppi d’ira, ma l’esito di processi storici di decenni o addirittura secoli: Alexis de Tocqueville [1856] L’antico regime e la rivoluzione.

– L’analisi dei fattori che hanno caratterizzato cinque secoli di rivoluzioni in Francia, isole britanniche, Russia, Paesi Bassi,  penisola iberica e Balcani: Charles Tilly (1993) Rivoluzioni europee 1492-1992, Oxford: Blackwell.

Luis García Bouza è coordinatore accademico degli Studi Europei Generali (Collegio d’Europa, Bruges). Articolo originale in lingua francese sul blog L’Europe en débat (Arte.tv).

foto Wikimedia commons

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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