Stanislaw Witkiewicz, l'insaziabilità del male

 

 

Quando aveva ospiti, Stanislaw era solito condurli nel prediletto salotto di casa, ove un personale museo degli orrori accoglieva il visitatore. Quest’ultimo, posati cappello e cappotto, veniva graziosamente fatto accomodare tra una lingua essiccata (strappata a un cadavere di neonato), un capello appartenuto alla testa di Bejilis (un ebreo russo ingiustamente accusato, nel 1913, dell’assassinio di un ragazzo cristiano) e una lettera di una ninfomane.

Queste annotazioni sono contenute tra le memorie di Witold Gombrowicz, amico di Stanislaw, per la precisione Stanislaw Ignacy Witkiewicz, uno dei pià geniali scrittori del Novecento, e pittore e filosofo, polacco -come molti geniali scrittori- nato a Varsavia nel 1885, morì alle soglie della catastrofe, nel 1939. Era il 18 settembre. Quel giorno l’esercito sovietico invase la Polonia.

Insaziabilità

 

Witkacy, questo il suo diminutivo, seppe in certo modo prevedere quella catastrofe nell’opera “Insaziabilità” (1927), la cui trama non è facile riassumere e la cui lettura risulta ostica a noi “moderni”. La vicenda è ambientata “nel superbordello di una metropoli cosmica” in un’epoca immaginaria in cui disfacimento e superomismo si fondono, segnando la fine di una civiltà corrotta e minacciata dall’arrivo di un esercito “rosso” che come cavallette tutto divora e distrugge. Insaziabile.

La visione di Witkiewicz sta nell’aver predetto l’invasione di una forza omologatrice, proveniente da oriente, “gialla” poiché cinese e “rossa” poiché comunista, echeggiando le più remote invasioni di mongoli e tartari che ancora oggi sopravvivono nella coscienza collettiva polacca per la quale “l’oriente” porta sventura e distruzione.

Genezyp e il mondo in rovina

Dicevamo che la trama è di ardua sintesi. Il protagonista, Genezyp, è un rampollo della nobiltà in decadenza, cresciuto nell’ossessione dell’autorità paterna e con morbose pulsioni erotiche che lo portano a masturbarsi con il cugino Taldzio e a rendere la libertà ai cani attraverso i sogni. Utilizzando una prosa visionaria e aggressiva, carica di digressioni sociologiche e filosofiche volutamente sparse, in un ritmo di allucinata confusione, l’opera racconta dell’amore di Genezyp per la principessa Irina Ticonderoga, signora di mezza età amante dei fanciulli vergini, erotomane dominatrice. La principessa ha uno spasimante abietto, Stuifan Tengier, deforme e laido, viscido apocalittico suonatore di pianoforte. La scena del bacio con cui Tengier “inizia” Genezyp alla depravazione ha un valore gnostico. Il bacio è, appunto, iniziatico e porta la “gnosi”, cioè la conoscenza del male, secondo la lettura che alcune sette gnostiche (tra cui il cainismo) ha fatto dei testi sacri e che Witkiewicz, intellettuale “eretico”, doveva conoscere.

In un accrescersi di sonate bestiali e furiosi amplessi l’aristocrazia polacca dimentica quanto le avviene intorno: Russia, Romania ed Europa intera vengono assoggettate dalle “cavallette rosse”. Resta solo la Polonia, in onore della migliore tradizione martirologica nazionale, come baluardo contro il nulla. Ma la tradizione viene rovesciata, la Polonia “redentrice d’Europa” è in preda alla più profonda corruzione, la sua civiltà è destinata a perire. E’ un monito, quello di Witkiewicz: contro i totalitarismi la democrazia è debole, la corruzione è il suo male.

La vulnerabilità del mondo uscito dalla Prima Guerra mondiale è così grande che per sopravvivere a quel mondo in rovina Genezyp si rifugia (come la sua classe, la classe “dirigente”) nella più sfrenata sregolatezza: dalle droghe mistiche alla depravazione dei costumi,  la civiltà occidentale affonda da sola prima ancora di essere calpestata dalle orde dei mongoli.

La fine sarà inevitabile, e sarà la fine dell’uomo libero e pensante. Il nuovo potere totalitario ha già pronta una droga che annulla la volontà, è il Murti Bing, nome parodico e grottesco dello strumento del potere: l’idiozia che diventa norma. Il Murti Bing è il simbolo dell’appiattimento, del trionfo dell’opinione comune, della morte della diversità, dell’omologazione televisiva.

Non ci sono eroi in questa storia, soltanto vittime, in un orrido massacro di anime rantolanti nel buio.

Stanislaw, la vita e la morte

Stanislaw fu educato dal padre, anch’egli critico e scrittore, convinto che il sistema scolastico portasse all’annichilimento della personalità del bambino. Nel 1903 si diplomò da esterno a Leopoli per iscriversi nel 1904 all’Accademia di Belle Arti di Cracovia , viaggiando spesso in seguito per perfezionarsi artisticamente in Italia, Germania e Francia. La sua vita conobbe anche l’avventura: nel 1914 accompagnò come pittore, fotografo e segretario il celebre antropologo Malinowski nella sua spedizione in Australia. Durante la Prima Guerra mondiale fu in Russia come ufficiale zarista (essendo nato a Varsavia, allora sotto il dominio russo, era suddito di questo paese), e dopo la Rivoluzione d’ottobre fu trasferito a San Pietroburgo dove iniziò gli studi filosofici (mai conclusi) e svolse la funzione di “commissario politico” del proprio reparto, pur non essendo comunista.

Tornato in patria si dedicò alla pittura, e col suo “formismo” fu avanguardia, e alla filosofia. Intanto la sua critica verso la civiltà contemporanea si radicalizzava sempre più: nel nazismo ad Occidente e nel bolscevismo ad Oriente vedeva una minaccia mortale alla cultura e alla civiltà d’Europa, sicché quando le truppe sovietiche, in seguito al patto Molotov-Ribbentrop, invasero il territorio polacco, egli preferì darsi la morte. Così Stanislaw Ignacy Witkiewicz si uccise il giorno dell’invasione sovietica, in una aristocratica e individualistica protesta contro il regime di massa da lui paventato.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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5 commenti

  1. Bello.
    Grazie.

  2. Mi hai incuriosito…
    ” La principessa ha uno spasimante abietto, Stuifan Tengier, deforme e laido, viscido apocalittico suonatore di pianoforte. La scena del bacio con cui Tengier “inizia” Genezyp alla depravazione ha un valore gnostico.”
    Tra chi e` il bacio e che fine fa la principessa?

    • Il bacio è tra l’abietto Tengier e il giovane (e vergine) Genezyp. La principessa subito dopo copula con Tadzio facendo assistere Genezyp alla scena, perché ne soffra. Più avanti, dopo essersi abandonata alle orgette cui è solita, copula anche con Genezyp. La corruzione di Genezyp, che all’inizio sembra l’eroe del romanzo (un romanzo che infine si scopre senza eroi) ha però inizio con la lingua del viscido Tengier che s’insinua tra le labbra di Genezyp che subisce tra umiliazione e voluttà quell’iniziazione… La principessa Tigonderoga la ritroviamo alla fine della vicenda immersa in un carnaio erotico. Ma questi sono i lati più turpi di un romanzo che ad altro si indirizza.

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