KIRGHIZISTAN: Tra democrazia e fast food

DA LONDRA. L’Asia Centrale, come si sa, non brilla certo per rispetto dei diritti umani e per i suoi regimi democratici. I richiami di organizzazioni come Human Rights Watch sono all’ordine del giorno e, come già scritto da East Journal, anche l’Unione Europea preme per una democratizzazione politica al fine di garantire più stretti e stabili rapporti commerciali. In questo panorama il Kirghizistan rappresenta un’eccezione. Quella che fu chiamata la “Rivoluzione dei tulipani” nel 2005 portò alle dimissioni del Presidente Askar Akayev, il politico che guidava il paese dall’indipendenza del 1991. Le proteste di piazza si ripeterono nel 2010, allorché anche il nuovo Presidente Kurmanbek Salievič Bakiev fu ritenuto essere il maggior esponente di un governo rappresentante una classe politica corrotta.

L’importanza della società civile kirghisa può essere vista anche tramite il continuo aumento di gruppi organizzati di cittadini ed ONG operanti sul territorio. Secondo alcune stime nel 2010 le associazioni di cittadini kirghisi sarebbero state più di 1800, facendo del paese l’avanguardia di un fenomeno che si sta diffondendo in Asia Centrale: infatti l’aumento della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica si registra anche in Kazakistan, in Tagikistan (dove e’ fortemente legato alle problematiche del post guerra civile) ed in Uzbekistan (dove è però non trascurabile l’ingerenza governativa).

Proprio in Kirghizistan un importante banco di prova per le associazioni di attivisti sarà il verdetto che verrà emesso nei confonti di Vladimir Farafonov, cittadino kirghiso e giornalista indipendente accusato secondo l’articolo 299 del codice penale che prevede il crimine di istigazione all’odio inter-etnico, inter-razziale o inter-confessionale. Processo che le organizzazioni kirghise per la salvaguardia dei diritti civili hanno seguito con particolare attenzione, viste le mai sopite tensioni con la comunita’ uzbeka.

Il dinamismo della società kirghisa si può riscontrare anche nella storia di Begemot, la prima catena di fast food “made in Kirghizistan” di proprieta’ dei fratelli Kim che prende dichiaratamente ispirazione da Mc Donald. I fratelli Kim nella loro catena applicano, unici nell’Asia Centrale, modalità europee: bassi salari, bonus per i dipendenti in base alle vendite fatte ed addirittura “clienti ombra” per monitare la qualita’ del servizio. Per migliorare i propri margini di profitto e rendere la gestione aziendale più proficua Begemot si avvale addirittura di consuelenza tedesca (German International Cooperation) e adotta la tecnica giapponese del “kaizen”, ossia un processo continuo di crescita del business.

Molto siginificativo è il fatto che Begemot abbia aperto diversi punti vendita in Kazakistan, e che gli stessi proprietari dichiarino di voler continuare la propria espansione nel territtorio del’immenso vicino centro-asiatico, scontrandosi con colossi come KFC, piuttosto che tentare di affermarsi in Kirghizistan al di fuori della capitale o dell’area del lago Issyk-Kul. I pur bassi prezzi di Begemot sono comunque siginficativi per la media dei cittadini kirghisi, senza parlare poi della difficoltà di zone come Osh ancora oggi, come già detto, cariche di tensioni inter-etniche.

La linea di diffusione del Gamburger (un neologismo russo per Hamburger), sembra quindi segnare un confine tra diverse realtà centro-asiatiche: da un lato il Kazakistan come polo di attrazione e antesignano della modernizzazione, seppur con moltissimi limiti, e dall’altro lato paesi dove l’economia e la società restano ancorate a strutture tradizionali e autoritarie.

Basti dire che mentre Begemot accresce il proprio business in Kirghizistan e Kazakistan paesi come il Turkmenistan ed il Tagikistan hanno vietato, tramite censure o altre forme di boicottaggio, “The dictator”, l’ultimo film di Sacha Baron Cohen.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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