JUGOSLAVIA: L'antipasto della guerra che verrà. La partita di calcio che iniziò il conflitto

13 maggio 1990, ecco servito l’antipasto della guerra che verrà. Il Maresciallo era morto da dieci anni esatti, ma il suo mito era già stato velocemente eroso. Qualche mese prima, in gennaio, anche la sua Lega dei comunisti si era dissolta. In un paese “normale” si sarebbe parlato di transizione, ma nella agonizzante Jugoslavia di 25 anni fa il clima oscillava tra la confusione politica, la crisi economica ed i livori nazionalistici.

Sarà una partita di calcio a svelare – ben poco sportivamente – ciò che negli anni successivi diverrà realtà. Dinamo di Zagabria contro Stella Rossa di Belgrado: scenario lo stadio Maksimir della capitale croata. In Croazia pochi giorni prima si era votato ed i nazionalisti di Tudjman avevano stravinto. Ad accompagnare gli ultras serbi (detti Delije, eroi) arriva un certo Zeljko Raznatovic, più tardi noto (purtroppo) come Arkan. Che dirà: “Avevo previsto la guerra proprio dopo quella partita a Zagabria” (più che prevista: pianificata).

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L’aggressività serba inizia già con i vandalismi sul treno per poi arrivare alle devastazioni lungo la strada che porta allo stadio zagrabese. Alle 18 va in onda l’inferno: la tifoseria serba inizia a spaccare i sedili di plastica ed i cartelloni, lanciandoli sui tifosi della Dinamo (detti i Bad Blues Boys, da un film con Sean Penn), i quali reagiscono trattenuti da una polizia (la Militija) che mostra un incredibile atteggiamento lassista se non chiaramente tollerante verso gli ospiti serbi. Il motivo è semplice: nella Croazia (ancora) jugoslava i serbi – che erano il 14% della sua popolazione – lavoravano perlopiù nell’esercito e nella polizia e quindi l’obiettività delle forze dell’ordine in quel pomeriggio di maggio lasciava comprensibilmente a desiderare. Perfino alcuni giocatori della Dinamo entrano in campo ma non per giocare (la partita era ormai sospesa) ma per partecipare agli scontri. Con il noto episodio della ginocchiata con cui il capitano della Dinamo, Zvonimir Boban, colpisce alla mascella un poliziotto. Si saprà più tardi che quest’ultimo era un musulmano-bosniaco.

Il tutto produsse circa cento feriti. A settembre dello stesso anno, durante la partita a Belgrado tra il Partizan e la Dinamo, il copione presenta per così dire una escalation: i tifosi croati invadono il campo con spranghe chiedendo la nascita di una federazione calcistica solo croata e riescono ad ammainare la bandiera jugoslava con la stella rossa sostituendola con quella a scacchi croata. Vinse il Partizan, ma perse la Jugoslavia, che di lì a pochi mesi avrebbe conosciuto la guerra vera. Il poliziotto colpito, anni dopo, perdonerà il suo feritore, perché – disse in una intervista – in quel periodo le persone erano tutte cieche. E saranno cieche a lungo, dato che occorrerà aspettare il mese di agosto del 1999 perché i calciatori serbi e croati giochino ancora insieme. Giocheranno a Belgrado, sfregiata dai bombardamenti della Nato di pochi mesi prima.

 

 

Chi è Vittorio Filippi

Sociologo, docente Università Ca’Foscari e Università di Verona, si occupa di ricerca sociale, soprattutto nel campo della famiglia, della demografia, dei consumi. Collabora nel campo delle ricerche territoriali con la SWG di Trieste, è consulente di Unindustria Treviso e di Confcommercio. Insegna sociologia all’Università di Venezia e di Verona ed all’ISRE di Mestre. E’ autore di pubblicazioni e saggi sulla sociologia della famiglia e dei consumi.

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